Minima Cardiniana 295/4

Domenica 4 ottobre 2020, San Francesco d’Assisi

L’ISLAM, LA FRANCIA, LA LIBERTÀ
L’efferato assassinio a coltellate compiuto qualche giorno fa nel Métro di Parigi ha riproposto il tema dell’Islam fondamentalista, o radicale, che non coincide certo col terrorismo ma che può esserne l’anticamera o una delle fonti ispiratrici.

In realtà, c’è da chiedersi perché da un po’ di tempo i media di ciò non parlavano più. Si usa puntare il dito contro i paesi arabi all’interno dei quali agiscono élites che alimentano e addirittura promuovono e sostengono il fondamentalismo. Ma fino a che punto è lecito tacere che tali élites sono anche di recente entrate a far parte di ambienti che sostengono il “patto a tre” statunitense-ebraico-arabo di riequilibrio della “questione mediorientale” in una funzione prevalentemente antisciita e antiraniana, laddove sciiti (hezbollah compresi) e iraniani, checché ne dicano Trump e Netanyahu, possono avere le loro colpe ma del terrorismo islamico non sono responsabili.
Qualche giorno fa il presidente francese Emmanuel Macron ha puntato il dito contro il terrorismo: ma il suo discorso, e ancor più i suoi propositi, hanno dato l’impressione d’una generale criminalizzazione dell’Islam e della prosecuzione della lotta – ch’era già stata propria di altri presidenti francesi – contro la costruzione di un “Islam europeo”. E non a caso, sulla scia delle dichiarazioni di Macron, sono riaffiorate le stantìe e maniacali accuse contro un Islam che sarebbe in blocco e irreversibilmente “fanatico”, “intollerante”, “incapace di evolversi”, “nemico dell’Occidente”.
Ma guardiamoci sul serio dentro, a questo universo che coinvolge 1.600.000.000 di persone, che non conosce istituzioni normative generali e comuni (non ha “Chiese”) e che appare attraversato da forze contrastanti ma anche da urgenti dinamiche. Pensiamo all’imam della moschea
Mariam di Copenaghen, una giovane e bella signora di padre siriano e madre danese che dirige la sua comunità musulmana e presiede ogni venerdì la grande preghiera pronunziando il sermone (la “kutba”), celebra matrimoni misti e si appresta a celebrane di omosessuali.
Oggi l’Islam è anche questo. Si può esserne perplessi o scandalizzati o allarmati, ma non si può continuare sula via della negazione o del rifiuto di una realtà dinamica e complessa.
Quanto ai propositi di Macron, dei quali i
media hanno trattato in modo confuso e inadatto, queste pagine di Marina Montesano saranno utili ad avviare un giudizio più sereno ed equilibrato.

MARINA MONTESANO
L’ISLAM EUROPEO E I SUOI NEMICI. LA PROPOSTA DI EMMANUEL MACRON
Fa discutere in Francia il discorso pronunciato da Emmanuel Macron venerdì 2 ottobre a Les Mureaux (Yvelines), col quale annunciava misure relative all’organizzazione del culto musulmano in Francia. Se entreranno in vigore dovrebbero portare a una riorganizzazione fondamentale dell’Islam francese. Secondo il presidente, messa da parte la ricerca di un regime concordatario, peraltro reso difficile dalla legge del 1905 che separa le Chiese dallo Stato, bisogna mettere in atto misure per (sue parole) “costruire in Francia un Islam dell’Illuminismo”. Lo scopo principale è liberare i musulmani di Francia dalle influenze straniere in due modi: evitare i finanziamenti dall’estero per la costruzione di moschee e non ricorrere più a imam originari dei paesi finanziatori, che oggi risultano essere 300 su circa 2.500 moschee, provenienti da tre paesi con cui lo Stato francese ha stipulato accordi. Si tratta di 150 turchi, 120 algerini e 30 marocchini che hanno un contratto per venire a lavorare in Francia e sono pagati dai loro paesi d’origine; sono accusati di parlare spesso male o di non parlare affatto il francese e di avere idee che non sono al passo con la società nella quale agiscono. Per quanto concerne i finanziamenti degli edifici e delle scuole, la Francia e con essa tutta l’Europa vede però il concorso di Stati con mezzi anche maggiori rispetto ai tre citati, e latori di un Islam che noi consideriamo ancora meno accettabile, come il Qatar e l’Arabia Saudita: Macron non li nomina, non specifica se impedirà anche a loro di investire nelle moschee e nelle scuole islamiche di Francia, dal momento che entrambi i paesi mantengono interessi finanziari rilevanti in tutto l’Hexagone, dei quali certamente gli oltralpini non hanno intenzione di fare a meno.
Tuttavia, se torniamo alle enunciazioni di Macron, non c’è dubbio che un problema esiste. Nel 1905 la Francia ha requisito le chiese sul suo territorio che ora dipendono dallo Stato, come si è visto con l’incendio di Notre-Dame. Le diocesi, le scuole, i preti sono pagati dalle comunità locali attraverso collette come quelle durante le messe domenicali. Nel caso dell’Islam le cose sono andate in modo diverso. Intanto nel 1905 non c’erano molte comunità musulmane in Francia, e la Grande Moschea di Parigi venne costruita con i soldi dello Stato nel 1920, contravvenendo alla legge di quindici anni prima, per ringraziare i combattenti algerini che si erano sacrificati nella prima guerra mondiale, ossia in un conflitto che li riguardava solo in quanto colonia. Per questo la Grande Moschea dipende dal governo algerino per quanto concerne il mantenimento e la scelta del personale.
In linea di massima, non si può dire che Macron abbia tutti i torti: è necessario che nasca un Islam europeo, ma questo sta già nascendo sotto i nostri occhi grazie a un dibattito interno al mondo musulmano “di qui”, rispetto al quale però esiste un colpevole silenzio. Ci sono esperienze di imam donne, di dialogo sui diritti civili che sono ormai a uno stadio molto avanzato ma dei quali sui media si parla poco, preferendo proiettare sempre l’immagine di imam barbuti e retrogradi: che naturalmente esistono, e purtroppo anche numerosi, ma che non è detto siano quelli provenienti dai paesi che finanziano ufficialmente. Anzi, è più facile che su questi venga esercitato un controllo “all’origine”, ma lì dove piovono i soldi dei paesi della penisola arabica, chi esercita un controllo? O è meglio non aprire questo discorso per tenere buoni i rapporti con questi ricchi partner? Di fatto, le misure annunciate da Macron rischiano di essere troppo poco da una parte, dall’altra di peggiorare i rapporti già non buoni con i musulmani di Francia.
Queste misure arrivano dopo l’ultimo attentato nei pressi della sede di Charlie Hebdo, dove un diciottenne di origini pakistane ha accoltellato per fortuna non mortalmente due passanti; non è chiaro se sia affiliato a qualche organizzazione o un solitario. La scelta del momento sembra però andare verso una larga parte della società francese in cui l’islamofobia è ormai rampante, e nella quale questa si lega al profondo sospetto verso le persone, spesso ma non sempre di origine africana o araba, che popolano le banlieues delle grandi città. Mi ha sorpreso di recente un’accurata ricostruzione del caso Adama Traoré, giovane morto mentre in custodia presso la polizia dopo un arresto, condotta non da un quotidiano “militante,” ma dal rispettabile Le Monde, nel quale si sottolineavano i dubbi che restano circa la ricostruzione dei fatti fornita dalle autorità: ebbene, sotto questo articolo assai moderato, un flusso di insulti infinito rivolti al morto e ai suoi familiari, il senso dei quali, in ultima analisi, era che poco importa com’è morto, va comunque bene così.
L’amalgama che si fa in questa parte dell’opinione pubblica è tra quartieri che sono violenti e problematici e la religione di alcuni fra i suoi abitanti, il che si traduce con un odio per tutto quanto non sia visto come “integrato” rispetto alla società francese. Forse è a questa fascia di persone che Macron sta parlando: le elezioni sono nel 2022, ma il Front National è sempre in agguato; ma i veri problemi non si affrontano con misure del genere. Da una parte, come già detto, ben altre sono le influenze sull’Islam di Francia delle quali preoccuparsi. Dall’altra, i giovani delle banlieues non si “integrano” per ragioni economiche, di totale mancanza di prospettive, non per motivi religiosi; prendersela con la religione che (forse? in parte?) professano significa allargare il fossato delle incomprensioni. Quasi come un rito, in qualche celebrazione o occasione particolare, li vediamo invadere le strade “buone”, distruggere tutto, incendiare, e rubare i simboli della ricchezza che piacciono ai ragazzi: le scarpe sportive di marca, le playstation di ultima generazione, i cellulari costosi. Non c’è una rivendicazione religiosa, solo la constatazione dell’abisso che abbiamo davanti.
Mi è piaciuto di recente il film di un regista che da uno di quei quartieri proviene, Ladj Ly, originario di Bosquet a Montfermeil; lo ha intitolato Les Misérables poiché proprio a Montfermeil Victor Hugo ambientava le vicende della famiglia Thénardier. Racconta le vicende di una squadra della BAC (brigata anticrimine) in quella banlieu, dove la polizia agisce a causa della mancanza di mezzi e di preparazione come una gang fra le tante. Ma al di là della trama, colpisce il quadro di disperazione di questi luoghi, dove l’attività principale è lo spaccio e dove persino la gerarchia imposta dalle bande di adulti e di Fratelli musulmani stenta ormai a tenere a bada i ragazzi, spesso poco più che bambini, ormai incontenibili persino per loro. Pare che Macron si sia detto “sconvolto” dalla visione del film, nonché intenzionato a promuovere iniziative in favore dei quartieri a rischio. Però allo stesso tempo ha affossato il “piano Barloo” (dal nome del politico che lo proponeva) che prevedeva una revisione profonda della questione del lavoro, degli alloggi e del lavoro nelle banlieues. Ma se all’economia non si vuole metter mano, se per questi miserabili odierni i soldi e le misure adeguate non si trovano, allora cosa rimane? Brandelli di società contrapposte, polemiche su finte questioni, vuote enunciazioni dei valori della République e della laicità alla quale ci si richiama continuamente, ma che non serviranno a risolvere, da soli, i problemi che la Francia (e non solo) si trova ad affrontare.