Minima Cardiniana 296/3

Domenica 11 ottobre 2020, San Giovanni XXIII

FRATRES OMNES
Fratres omnes: un vocativo gioioso, un richiamo possente come un rintocco di campana pasquale. Diciamo la verità: ben più forte ed efficace della sua traduzione italiana. Ma il titolo della “terza enciclica” di papa Francesco, che in extenso suona Fratelli tutti, sulla fraternità e l’amicizia sociale, si rifà direttamente a quello della sesta Admonitio del Povero d’Assisi. Le sue Admonitiones non furono propriamente e direttamente scritte da lui, bensì riferite da ascoltatori in differenti circostanze: e tuttavia correntemente si ritiene ch’esse rispecchiassero profondamente e fedelmente il pensiero del Santo.
In questo testo i “frati minori” vengono invitati a imitare il Buon Pastore, ch’è loro fedele fino al sacrificio della croce. Il Santo Padre, che si era già ispirato al Povero d’Assisi per la sua enciclica Laudato sì’, ha siglato la Fratelli tutti proprio in Assisi, nel Sacro Convento, sulla tomba di Francesco e nel giorno anniversario della sua “Nascita al Cielo”, il 4 ottobre.
Le “encicliche” sono lettere che il papa indirizza alla Chiesa cattolica “diffusa su tutta la terra”. La prima di esse fu la Ubi primum di papa Benedetto XIV, nel 1740, dedicata alla cura da indirizzarsi ai candidati al sacerdozio. Fra le “encicliche sociali”, che scelgono come loro centro il rapporto fra il Cristo e l’umanità considerato nell’ottica del processo storico di quest’ultima e dello sviluppo delle questioni sociali, memorabili sono la prima, la Rerum novarum di Leone XIII, del 1891, la Mater et Magistra di Giovanni XXIII, del 1961, e la Populorum progressio di Paolo VI, del 1967. Quanto a papa Bergoglio, egli ci ha donato finora un’autentica, complessa e coerente “trilogia enciclica” composta di tre lettere: la Lumen fidei nel 2013, appena eletto; la Laudato si’ nel 2015, oggi infine la Fratelli tutti. Una lettura attenta e meditata di questi tre documenti è indispensabile per comprendere appieno quale sia il pensiero di un grande papa che sta esercitando la sua missione provvidenziale in un mondo quanto mai difficile, in un ambiente planetario sofferente e compromesso, in una società civile umana frammentata e disorientata, in un contesto d’ingiustizia sociale e d’insicurezza ormai divenuto intollerabile, in mezzo a difficoltà e circondato da ostilità e inimicizie quali raramente si erano viste prima agitarsi attorno al soglio di Pietro.
Il testo della Fratelli tutti mira a ricordarci che questa che stiamo vivendo non è un’epoca di cambiamenti, bensì molto di più: un cambiamento d’epoca. L’enciclica si articola in 287 brevi commi, organicamente distribuiti però in otto capitoli e distinti in settantacinque paragrafi che analiticamente ne dispongono il contenuto. Dopo i primi due commi introduttivi e il paragrafo Senza frontiere (commi 3-8) il primo capitolo Le ombre di un mondo chiuso (distinto nel preambolo del comma 9 e nei paragrafi Sogni che vanno in frantumi commi 10-12, La fine della coscienza storica commi 13-14, Senza un progetto per tutti commi 15-17, Lo scarto mondiale commi 18-21, Diritti umani non sufficientemente universali commi 22-24, Conflitto e paura commi 25-28, Globalizzazione e progresso senza una rotta comune commi 29-31, Le pandemie e altri flagelli della storia commi 32-36, Senza dignità umana sulle frontiere commi 37-41, L’illusione della comunicazione commi 42-43, Aggressività senza pudore commi 44-46, Informazione senza saggezza commi 47-50, Sottomissioni e disprezzo di sé commi 51-53, Speranza commi 54-55); il secondo Un estraneo sulla strada (distinto in una premessa incentrata sul vangelo di Luca, 10, 25-37, comma 56, e nei paragrafi Lo sfondo commi 57-61, L’abbandonato commi 62-71, I personaggi, commi 72-76, Ricominciare commi 77-79, Il prossimo senza frontiere commi 80-83, L’appello del forestiero, commi 84-86); il terzo Pensare e generare un mondo aperto (distinto in un preambolo, comma 87, e nei paragrafi Al di là commi 88-90, Il valore unico dell’amore commi 91-94, La progressiva apertura dell’amore commi 95-96, Società aperte che integrano tutti commi 97-98, Comprensioni inadeguate di un valore universale commi 99-100, Andare oltre un mondo di soci commi 101-102, Libertà, uguaglianza e fraternità commi 103-105, Amore universale che promuove le persone commi 106-111, Promuovere il bene morale commi 112-113, Il valore della solidarietà commi 114-117, Riproporre la funzione sociale della proprietà commi 118.120; Diritti senza frontiere commi 121-123, Diritti dei popoli commi 124-127), il quarto Un cuore aperto al mondo intero (distinto in un preambolo, comma 128, e nei paragrafi Il limite delle frontiere commi 129-132, I doni reciproci commi 133-136, Il fecondo interscambio commi 137-138, Gratuità che accoglie commi 139-141, Locale e universale comma 142, Il sapore locale commi 143-145, L’orizzonte universale commi 146-150, Dalla propria regione commi 151-153), il quinto La migliore politica (distinto in un preambolo, comma 154, e nei paragrafi Populismi e liberismi comma 155, Popolare o populista commi 156-163, Valori e limiti delle visioni liberali commi 163-169, Il potere internazionale commi 170-175, Una carità sociale e politica comma 176, La politica di cui c’è bisogno comma 177-179, L’amore politico commi 180-182, Amore efficace commi 183-185, L’attività dell’amore politico comma 186, I sacrifici dell’amore commi 187-189, L’amore che integra e raduna commi 190-192, Più fecondità che risultati commi 193-197), il sesto Dialogo e amicizia sociale (distinto in un preambolo comma 198 e nei paragrafi Il dialogo sociale verso una nuova cultura commi 199-202, Costruire insieme commi 203-205, Il fondamento dei consensi commi 206-210, Il consenso e la verità commi 211-213, Una nuova cultura comma 215, L’incontro fatto cultura commi 216-217, Il gusto di riconoscere l’altro commi 218-221, Recuperare la gentilezza commi 222-224), il settimo Percorsi di un nuovo incontro (distinto in un preambolo comma 225 e nei paragrafi Ricominciare dalla verità commi 226-227, L’architettura e l’artigianato della pace commi 228-232, Soprattutto con gli ultimi commi 233-235, Il valore e il significato del perdono comma 236, Il conflitto inevitabile commi 237-240, Le lotte legittime e il perdono commi 241-143, Il vero superamento commi 244-245, La memoria commi 246-249, Perdono senza dimenticare commi 250-254, La guerra e la pena di morte comma 255, L’ingiustizia della guerra commi 256-262, La pena di morte commi 263-270), l’ottavo Le religioni al servizio della fraternità nel mondo (distinto in un preambolo comma 271 e nei paragrafi Il fondamento ultimo commi 272-276, L’identità cristiana commi 277-280, Religione e violenza commi 281-284, Appello commi 285-287).
Un’architettura solida e rigorosa per una lezione altissima e intransigente. Un documento inesauribile a livello esegetico, autentico punto d’arrivo e al tempo stesso di partenza. Un capolavoro al tempo stesso autenticamente tradizionalista nel senso cristiano (commi 277-280) e in quello metastorico e universalistico (commi 198-221), e profondamente rivoluzionario nel suo nesso esplicito e dichiarato fra l’Amore di Dio per gli uomini, quello di essi per Lui e, alla luce di questo e di quello, fra loro. Amore perfetto il primo, amore perfettibile il secondo, amore da comprovarsi alla luce della storia (e il cammino è ancora lungo) il terzo.
La Fratelli tutti è edita dalla Libreria Editrice Vaticana.
L’enciclica è stata accolta con entusiasmo ma anche – bisogna dirlo – con la serietà e la preoccupazione che il suo taglio e il suo contenuto ampiamente e inevitabilmente giustificano. Dopo aver esaminato nella Laudato si’ lo stato del pianeta terra in rapporto al degrado, all’inquinamento e alla porzione di responsabilità che in tale situazione spettano alla spregiudicata sete di profitto, all’avventata sollecitazione imposta alle risorse e alle ricchezze planetarie dalla speculazione gestita da lobbies e consentita da meccanismi di potere – veri e propri “comitati d’affari” – che ormai dominano il mondo (e che, nelle note apposte al testo dell’enciclica, il pontefice indica con esplicito coraggio), ora si esamina con questo nuovo documento lo stato della famiglia umana cominciando dalla fraternità fra gli uomini espressa sia nel dialogo tra le religioni, sia in quello fra i credenti e i non-credenti uniti però nell’impegno comune volto al benessere del genere umano e alla sua convivenza con la natura e l’ambiente.
Va notato subito con chiarezza ed energia il carattere positivo, propositivo, concreto dell’enciclica. Non si tratta per nulla dell’umanitarismo e del cosmopolitismo moderno, si va ben oltre il limitativo concetto di “tolleranza” nei confronti dell’Altro-da-Sé. Qui siamo anzitutto e soprattutto su un piano limpidamente cristico, che concepisce la fratellanza e la solidarietà umana come riflesso dell’amore del Padre nei confronti dei figli e di essi fra loro nel Suo nome. Il papa ricorre sì al trinomio Libertà-Eguaglianza-Fraternità (che forse nel nostro idioma sarebbe più opportuno definire col termine “Fratellanza”) che la Rivoluzione francese ha fatto divenir famoso, ma prescinde dal suo contesto e dai suoi limiti di natura illuministica – peraltro l’illuminismo, esaltando la libertà individualistica e ponendo quindi al competizione al posto della solidarietà, era in realtà una filosofia adatta al costituirsi di nuove oligarchie e disadatta alla fondazione di un equilibrio comunitario come quello auspicato dalla Chiesa – e non a caso antepone, in un trinomio pur sentino come inscindibile, la fraternità agli altri due valori laddove la Rivoluzione francese, declinandoli, anteponeva ad essa la libertà e l’eguaglianza. È però evidente che tale sequenza era deleteria: libertà ed eguaglianza, esaminate nel contesto del valore prevalente e preponderante della Modernità, cioè dell’individualismo, sono di per sé valori intrinsecamente divergenti e concettualmente contraddittori: il crescere dell’uno comporta fatalmente il decrescere dell’altro, e viceversa. L’equilibrio tra libertà ed eguaglianza, che solo può moderare le distruttive pulsioni egoistiche in entrambi presenti, è costituito dalla fraternità. Che tuttavia non è autosufficiente in quanto non è “autarchica”, cioè non basta a se stessa, se non è sostenuta da un principio per definizione metafisico senza il quale l’essere umano è hobbesianamente homo homini lupus. Il fondamento della fraternità universale non può essere autonomo: se tale fosse, la ragione umana potrebbe respingerlo nel nome della Ragione o dell’Arbitrio, cioè della Volontà di Potenza. Ma interviene l’Amore, come Suprema Legge: e di essa Dio è garante per mezzo della Sua Grazia, come papa Bergoglio sottolinea col supporto di Tommaso d’Aquino (comma 93). A comprovare il carattere profondamente antilluministico e antimoderno della Fratelli tutti bastino i due commi 103-105: in particolare l’inizio del 105, “L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità”. E torna qui il concetto di Bene comune, che insieme con quello della funzione sociale della proprietà e dell’uso comune dei beni creati (commi 118-120) Tommaso d’Aquino desume sì da Aristotele, ma alla luce innovatrice e vivificante del Vangelo: “la semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio” (comma 110).
Tutto ciò è espresso dal centro concettuale della Fratelli tutti, lo splendido capitolo secondo Un estraneo sulla strada (commi 56-86), dove partendo dal vangelo di Luca, 10, 25-37, attraverso una magistrale concordanza di passi vetero- e neotestamentari, si giunge alla grande parabola del Buon Samaritano e all’episodio dell’incontro tra Gesù e la Samaritana al pozzo di Sichem per culminare nell’inaggirabile massima del vangelo di Matteo, 25,35: “Ero straniero e mi avete accolto”, che con le sue consonanze rispetto alle indicazioni di Gesù a proposito del Giudizio Divino (visitare i carcerati, assistere gli ammalati, accogliere gli stranieri come necessario presupposto alla Vita Eterna) costituisce un viatico indispensabile per il tempo presente.
Naturalmente, si sono levate voci di dubbio e di dissenso, quando non addirittura di opposizione. È ormai malcostume diffuso, in certi ambienti che pur si dicono cattolici (e portatori per giunta di un cattolicesimo rigoroso, intransigente), l’insofferenza nei confronti di papa Bergoglio e addirittura l’offesa, il dileggio, l’oltraggio: accompagnati da giustificazioni che – quando pur vi siano – appaiono ispirate a leggerezza, superficialità, pregiudizio se non addirittura sic et simpliciter una spiacevole miscela d’ignoranza e di menzogna, d’insipienza e di calunnia.
Per fugare ogni dubbio al riguardo, va anzitutto chiarito che pur ammesso (e sospendo il giudizio su quanto possa essere anche concesso) che il concilio Vaticano II, del quale secondo molti la Fratelli tutti sarebbe coerente prosecuzione, andasse nella direzione di quel che Jacques Maritain aveva definito “l’inginocchiarsi della Chiesa dinanzi al mondo”, la direzione intrapresa da Bergoglio è totalmente opposta. Il pensiero unico dell’ideologia mercatista, che pretenderebbe addirittura di sostituire le “libere leggi (sic) del mercato” alla funzione equilibratrice del potere pubblico (ed è appunto quanto purtroppo sta accadendo, con il deep state delle lobbies che guida i differenti poteri statali della terra riducendo al classe politica alla funzione di “comitato d’affari”), ha origine – “spontanea” sulla prime, poi teorizzata – nel primato dell’individualismo e del binomio economia-finanza sulla società europea a partire dal XVI secolo e nella sostituzione dell’economia-mondo al precedente sistema “a compartimenti stagni” di culture che poco o nulla comunicavano tra loro. Ciò ha determinato nel mondo l’avanzata dell’oppressione e dello sfruttamento colonialistici, alla quale ha corrisposto in Europa il processo di secolarizzazione e lo svuotamento pratico del messaggio cristiano anche in quei paesi nei quali, almeno fino al XVIII secolo, la Cristianità (che non equivale tout court al cristianesimo) appariva trionfante.
Ciò distingue papa Bergoglio dal suo modello ispiratore, il Povero d’Assisi. Frate Francesco viveva in un mondo duro e crudele, ch’era però pur sempre una società cristiana: ai suoi tempi, il fedele poteva scegliere fra molti modi e stati di vita, tutti religiosamente legittimi se esercitati in ossequio alla disciplina della Chiesa e in retta coscienza. In quei tempi Francesco poteva praticare e proporre la sua via, quella che con commovente lucidità propone nel suo Testamento: senza tuttavia pretendere – Francesco non era Lenin – che tutta la società si adattasse al suo sacrum commercium cum domina Paupertate.
Oggi non è più così: in tempi di trionfo del culto pagano di Mammona e nei quali la maggior parte dei fedeli della stessa Chiesa cattolica sono ridotti ad esser divenuti “cristiani sociologici”, valutati come tali solo in quanto hanno avuto accesso ad alcuni sacramenti, Bergoglio ci ricorda che la via per rimanere cristiani, se si vuol fare tale scelta, è una e una sola: quella appunto della fraternità tra le persone, le comunità e i popoli, nel rispetto delle diversità – che non annullano l’eguaglianza di tutti gli uomini dinanzi a Dio, ma al contrario la qualificano (e si veda nel Fratelli tutti il paragrafo dedicato all’Identità cristiana, stranamente “ignorato” dai critici “identitaristi” e “sovranisti” del documento) – e nel ritorno a una vita cristiana che sia tale anche dal punto di vista sacramentale. Anche in ciò, se la scelta della Modernità è postcristiana-anticristiana, quella della Chiesa di Bergoglio è postmoderna-antimoderna: il suo impegno ultimo sta nella convergenza della fraternità, della libertà (comunitaria prima e piuttosto che individuale) e dell’eguaglianza (nel senso della distribuzione di pari opportunità a tutti i membri del genere umano, quindi nella riduzione il più possibile rigorosa di quella “forbice socioeconomica” che sta dividendo oggi gli arciricchi, in numero sempre minore, dalla massa proletaria e sottoproletaria mondiale che si va espandendo mentre si assottigliano in modo allarmante i ceti medi). Un’inversione di tendenza di questo trend nel nome della carità e della giustizia s’impone, anche come garanzia suprema di una sicurezza e di una stabilità candidate in caso contrario a compromettersi sempre di più fino al collasso.
Ci voleva un papa gesuita, e un papa latino-americano, per affermare tutto ciò con questo coraggio e con questa lucidità. Non dimentichiamo che una delle ragioni per la quale i capitalisti europei del XVIII secolo, che si arricchivano giocando in borsa le azioni delle compagnie commerciali (tra le quali c’erano anche quelle dei negrieri: e il signor di Voltaire faceva soldi con quella roba), guidati dal ministro portoghese Pombal, chiesero – e ohimè ottennero – che i regnanti europei insistessero presso la Santa Sede affinché fosse sciolta la Compagnia di Gesù, che nelle sue reducciones del Guarany, tra Argentina, Uruguay e Paraguay attuali, inquadravano gli indios e li armavano per insegnar loro ad opporsi alle incursioni dei cacciatori di schiavi, i paulistas. Il vescovo dalle scarpe vecchie e pesanti che anni fa viveva nelle Vilas Miserias argentine è uno fatto di quella pasta: e Dio lo benedica.
Un’enciclica “politica”? Senza dubbio: tutti i nostri atti sono “politici”. Ma di quella politica che – come replicava nel 1931 Pio XI a chi da parte fascista lo accusava di “politicantismo” – è legittimamente tale perché “tocca l’altare”. E il malessere di milioni di persone, la mancanza di casa e di lavoro, la migrazione coatta di chi si vede sottratti in patria i mezzi di sussistenza, la fame e la malattia incurabili in quanto non si hanno i mezzi economici per farlo, richiedono misure politiche che obiettivamente, inevitabilmente “toccano l’altare”.
Obiettare pertanto che “il papa biasima la proprietà, ma ignora Cristo” è un non-senso dettato dalla mancata lettura o comunque dalla totale incomprensione del documento pontificio. Accusare Bergoglio di aver edito un documento “ideologico” in quanto egli espone sacrosanti rilievi nei confronti di liberismo, populismo e sovranismo equivale a negargli libertà di critica e limitare quindi la libertà del suo Magistero: allora, perché non si accusa Pio XI di aver emesso encicliche ideologiche quando con la Mit brennender Sorge attaccava la “statolatria pagana” dei nazionalsocialisti o quando con la Divini Redemptoris denunziava “il comunismo ateo”? Per quale ragione ontologica l’attacco nei confronti di nazismo e comunismo è lecito e quello contro liberismo e populismo no?
Del resto, un’antologia dell’antibergoglismo risulterebbe un libro singolarmente umoristico: chissà che qualcuno non pensi a raccogliere certe perle preziose. Come quelle seminate da un pubblicista che io conosco in quanto, alcuni anni or sono, mi dedicò una divertente pagina nella quale si sosteneva che, essendo io – insieme con Battiato e con Freda – uno dei “tre Franchi” ispiratori del fondamentalismo musulmano, non era strano che fossi anche un nostalgico di Mussolini, il quale amava “brandeggiare” la Spada dell’Islam. Gli risposi a suo tempo in termini lessicologici, facendogli notare che si “brandeggia” il mitra, ma che la spada ci si limita a “brandirla”. Non so se le cognizioni di quel personaggio abbiano progredito in termini lessicologici, ma lo ritrovo oggi cimentarsi nella francescanistica e tirar in ballo perfino il romanziere Houellebecq per parlare di una “sottomissione” del cristianesimo all’Islam della quale Bergoglio sarebbe sostenitore. Il riferimento è alle ultime parole del comma 3 della Fratelli tutti, dove testualmente si dice che Francesco raccomandasse ai suoi frati “di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna ‘sottomissione’, pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede”.
Ora, il pubblicista in questione non è né medievista né francescanista: il che è perfettamente legittimo. Ognuno ha le proprie specialità, ed egli ne ha addirittura tre: a quanto risulta dai suoi scritti egli ama proporsi difatti ora come enogastronomo, ora come teologo-liturgista, ora come studioso del dandysmo. Beato lui. Ma se si fosse preso il disturbo di controllare il testo della Regula non bullata dell’Ordine dei Minori proposta nel 1221 da Francesco all’approvazione di papa Onorio III (che lo rimandò a una stesura ulteriore di essa), egli avrebbe letto al capo VII versetto 2, che i frati debbono essere minores et subditi omnibus, mentre al capo XVI versetto 6, quello espressamente richiamato da Bergoglio, si raccomanda loro “sint subditi omni humanae creaturae”: e il termine subditus va tradotto in italiano non già maccheronicamente come “suddito” (espressione che secondo i casi si rende con i termini latini servus, famulus o fidelis), ma appunto con quello di “sottomesso”. Del resto, nel numero di ottobre della rivista on line “Aletheia”, Giovanni Marcotullio spiega benissimo la cosa nell’articolo “Fratelli tutti”: che cosa intende il papa per “sottomissione”. Dal canto suo papa Francesco, che parlava di “sottomissione” richiamando l’episodio della visita del Povero d’Assisi, nel 1220, al sultano d’Egitto al-Malik al- Kamil, intendeva rifarsi anche al cosiddetto “Documento di Abu Dhabi” siglato il 4 febbraio 2019 da lui e da Ahmad Al-Tayyeb, Grande Imam (rettore) dell’università coranica di al-Azhar del Cairo: un Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune ch’egli più volte richiama nel corso dell’enciclica e che offre un quadro esauriente dei rapporti religiosi tra cristianesimo e Islam e di entrambi, ovviamente, con l’ebraismo.
E allora, che cosa resta del can-can antibergoglista? Nulla: solo qualche svista in buona fede, qualche perplessità che si può serenamente appianare attraverso lo studio e la riflessione, i malumori di qualche ingenuo sprovveduto o prevenuto, le calunnie di qualche pennivendolo prezzolato e di qualche intellettuale per autoreferenza. Ma in un titolo a tutta pagina di un quotidiano che usurpa il nome di testata di un giornale glorioso, la grande “Pravda”, si proclama che “Bergoglio lancia il comunismo mondiale e sorpassa a sinistra Marx, Lenin e Mao”.
Bene. Se le cose stanno così, dal canto mio rispondo adattando a papa Francesco le parole di una vecchia canzone castrista che amo; mi sono limitato a sostituire il nome di Bergoglio a quello di Fidel, che è nell’originale:

“Si me dicen que Bergoglio
que Bergoglio es comunista,
que me pongan en la lista
porqué yo estoy con él”.

Et de hoc satis.