Minima Cardiniana 298/2

Domenica 25 ottobre 2020, San Germano

MARINA MONTESANO
I DEMONI DENTRO*
Tristissima vicenda quella che ha avuto luogo lo scorso 16 ottobre non lontano da Parigi. C’è stata un’ampia risonanza anche da noi, com’è comprensibile, ma se qualcuno distratto dalla pandemia non avesse seguito quanto accaduto, riassumo in poche parole. Un insegnante di storia e geografia di 47 anni, Samuel Paty, è stato accoltellato e poi decapitato a Conflans-Sainte-Honorine (Yvelines), vicino alla scuola secondaria di Bois-d’Aulne dove insegnava, da un rifugiato diciottenne di origine cecena, Abdoullakh Anzorov.
A partire dagli attentati del 2015, in Francia sono obbligatori dei corsi sul significato della “laicità” e della libertà d’espressione, nell’ambito dei quali l’insegnante verso l’inizio di ottobre aveva mostrato ai suoi alunni le caricature del profeta Mohammad pubblicate da Charlie Hebdo per avviare una discussione sul tema. Nei giorni successivi, il padre di un’allieva, un musulmano, aveva caricato su facebook un video nel quale diceva che, secondo il racconto della figlia, il professore avrebbe invitato gli alunni musulmani a uscire dalla classe per non essere scioccati, per poi mostrare agli altri l’immagine di un uomo nudo, dicendo “questo è il profeta”; avrebbe quindi insultato Paty chiamandolo “delinquente e malato di mente”. Il video ha avuto una certa circolazione, rilanciato anche da Abdelhakim Sefrioui, un islamista radicale del luogo, già segnalato. Paty è stato sentito dalla polizia avendo a sua volta querelato per diffamazione i suoi accusatori, e a quanto pare l’allieva il giorno della lezione non era presente in classe; in realtà il docente avrebbe annunciato di voler mostrare le vignette, autorizzando quanti temevano di sentirsi offesi a girare lo sguardo da un’altra parte per il tempo necessario. L’assassino, a quanto pare aiutato da alcuni complici e pagando un paio di studenti della scuola perché lo aiutassero a identificare Paty all’uscita (ma i dettagli sono ancora in parte oscuri), lo ha accoltellato e decapitato, per poi essere a sua volta ucciso dagli agenti che lo inseguivano.
Si tratta di terrorismo? O del gesto di un folle? Può darsi che il giovanissimo assassino fosse poco sano di mente; tuttavia il concorso di un paio di altri suoi amici, nonché del padre della studentessa e di Sefrioui, insieme alle circostanze che hanno preceduto l’attacco in effetti chiamano in causa un ambiente di radicalizzazione islamica presente in Francia come altrove, senza magari pensare all’azione di un’organizzazione o un movimento, che paiono da escludere: comunque molti sono stati gli arresti e l’inchiesta rimane in corso.
Nel frattempo, il presidente Macron è tornato sul tema della minaccia del radicalismo islamico in Francia con toni molto aspri, forse anche con l’intento di non dare troppo vantaggio a Marine Le Pen, che ovviamente non si è risparmiata. Macron ha rivendicato l’illuminismo e i valori della Repubblica come di consueto, ribadendo la necessità di continuare a sostenere le caricature per ciò che rappresentano. E in effetti ormai quei disegni danesi poi divenuti così celebri in Francia, a parere di chi scrive brutti e inopportuni, finiscono per divenire un simbolo della divisione che segna la Francia di questi tempi. È vero che nel paese la laicità è nata in primo luogo contro la fede cattolica, ma ormai da trent’anni a questa parte sembra essere rivolta soltanto contro l’Islam. Forse una data di inizio del contenzioso potrebbe essere il cosiddetto “affare del foulard di Creil”: nel 1989 tre studentesse di una scuola di Creil rifiutarono di levarsi il velo dal capo e furono per questo espulse. Tra il 1994 e il 2003, circa 100 studentesse sono state escluse dalle scuole secondarie pubbliche e dai collegi per aver indossato il velo islamico. In circa un caso su due, queste espulsioni sono state successivamente ribaltate dai tribunali. La situazione era però divenuta insostenibile; ogni preside era solo, e le decisioni prese caso per caso. Nel marzo 2004, è stato adottato un disegno di legge introdotto da Jacques Chirac che vieta l’uso di simboli religiosi vistosi nelle scuole. In concreto, il velo islamico, la kippa e le grandi croci sono proibiti, ma sono ammesse piccole croci, stelle di David o mani Fatma. Questa legge si applica solo a scuole, collegi e licei, ma non alle università e in altri istituti di istruzione superiore.
Di fatto, ebrei e cattolici, meglio organizzati, se rifiutano la legge sulla laicità per i loro figli (evidentemente la maggior parte non la rifiuta, come peraltro fra i musulmani) hanno la possibilità di ricorrere alle scuole confessionali. Per alcuni musulmani, la proibizione del velo è divenuta un simbolo dell’oppressione che sentono di subire, per molti francesi “di souche” è il simbolo dell’incompatibilità dei musulmani con la società europea. Per quanti volessero sapere di più dell’oggetto nella storia, al di là del riduzionismo di entrambe le letture, si consiglia il bel libro di Maria Giuseppina Muzzarelli, A capo coperto. Storie di donne e di veli (il Mulino).
La questione ha ormai superato i confini nazionali: Erdogan, autoelettosi paladino dell’Islam sunnita per ragioni di immagine all’interno del suo paese, accusa la Francia di islamofobia; come detto anche Macron ha i suoi problemi interni, e cavalca un’onda di intolleranza antislamica che diviene sempre più palpabile; magari in parte anche comprensibile, visto che gli attentati ci sono stati, e gravi, ma che comunque va a far riemergere odii antichi: la repressione contro gli algerini in Francia al tempo della guerra per l’indipendenza ha annoverato massacri impuniti come quello del 17 ottobre 1961 (manifestanti algerini uccisi a bastonate dalla polizia e gettati nella Senna a decine), dei quali si parla ancora oggi con molta reticenza, e che certo non hanno mai portato a inchieste e condanne per i massacratori. Senza contare l’astio contemporaneo per l’immigrazione, e il fatto che una parte della popolazione musulmana di Francia appartiene agli strati più poveri della società. È un amalgama esplosivo che avrebbe bisogno di qualcuno in grado di avviare il disarmo, mentre invece assistiamo a una corsa ad alzare i toni.
Il diciottenne Abdoullakh Anzorov non era noto per le simpatie islamiste, ma come piccolo vandalo delle periferie. Nel vuoto assoluto di banlieues nelle quali non ci sono prospettive per il futuro, dove ogni forma di speranza è stata azzerata, persino l’islamismo radicale può sembrare un’ideologia positiva: promette un destino migliore, magari nell’aldilà, offre uno scopo, che a noi pare orribile (e come dovrebbe sembrarci l’assassinio di un professore che faceva il suo lavoro, a detta di molti allievi anche bene?), ma che è comunque pur sempre qualcosa nel vuoto che circonda i giovani miserabili delle periferie. Il vero problema non è il surplus di identità (troppa religione, troppo Islam), ma l’assenza totale di identità, peraltro una categoria difficile da definire. Raggruppati in quartieri orrendi, che raccolgono poveri in arrivo dal sud del mondo, rifugiati da guerre e conflitti, o semplicemente dalla miseria, non sono più maliani o marocchini o ceceni. Sono semplicemente dei pezzenti per i quali abbracciare il fantasma di un Islam abborracciato significa incarnare totalmente quello a cui sono stati destinati: essere l’immagine perfetta dell’alterità per una Francia (e un’Europa) che, oggi come in passato, dà la caccia ai demoni che crea.

* Il titolo richiama il libro di Norman Cohn, Europe’s Inner Demons: An Enquiry Inspired by the Great Witch-Hunt (tr. it. I demoni dentro. Le origini del sabba e la grande caccia alle streghe, 1975).