Minima Cardiniana 298/5

Domenica 25 ottobre 2020, San Germano

COME ERAVAMO, COME SIAMO
PENSIERI D’AUTUNNO
Di tanto in tanto, ci vuole un po’ di Amarcord. Ma insomma, dove siamo andati a parare con questo Minimum Cardinianum?
Abbiamo cominciato discutendo di un signore al quale forse, in TV, è stata tolta o tagliata la parola: il che non è certo qualcosa fuor di consuetudine; provvidenzialmente forse, del resto, dal momento che si apprestava quasi a far l’elogio delle dittature. E quel signore si è detto abituato a certi scherzi: prima glieli facevano magari perché era “di destra”, ora glieli fanno perché è “di sinistra”. Solo che quando era di destra lui il mondo andava a sinistra, ora ch’è di sinistra il mondo sembra virare verso destra. Benedett’uomo, ma non potrebbe imparare una buona volta a star dalla parte giusta?
Il fatto è che lui non si sogna nemmeno di ammettere di aver cambiato bandiera: al contrario, rivendica tutte le sue scelte e se ne vanta, anche di quelle sbagliate che ormai ritiene tali. E ce ne dà di nuovo un saggio, anche stavolta paradossale: prima se la prende contro la festa neopagana-consumistica di Halloween e invoca il ritorno alla celebrazione di Ognissanti, ma subito dopo attacca con una pizza arcivandeana per finire però con una perorazione in favore del papa che difende i gays. E allora? Sarà davvero un vecchio vanesio e vaneggiante, come qualcuno l’ha finemente definito?
Cari amici, che cosa volete che vi dica? Credo avesse ragione il mio antico venerato Maestro, Ernesto Sestan, quando faceva convivialmente osservare ad alcuni suoi più giovani colleghi che bisogna sgobbare duro tuta la vita per guadagnarsi il diritto ad esser definito, appunto dai giovani colleghi, “un vecchio coglione”.
Sono tornato ieri pomeriggio al mio Maestro, nel piccolo studio di casa mia davanti alle colline di Compiobbi, durante un’uggiosa giornata di Covid-19, con il computer in ozioso stand by, un po’ del solito Mozart nell’aria, una tazza di caffè e il gatto addormentato sulla poltrona accanto alla mia. È stupefacente l’abilità dei gatti nel farti compagnia perfino dormendo. Ho ripreso in mano e sfogliato la sua lunga semiautobiografia, Memorie di un uomo senza qualità (Le Lettere), titolo musiliano che molto si addiceva a un mitteleuropeo come lui, vecchio Kaiserjäger dell’imperatore. E l’occhio mi è caduto là dov’egli – che scriveva quel suo libro quando ormai aveva passato da poco i tre quarti di secolo: quindi più giovane di quanto io non sia adesso – afferma che ai primi del secolo scorso, nel suo Trentino famoso per la longevità dei suoi abitanti, si usava dire che “dopo i settant’anni il tempo è tutto regalato”.
E mi sono lasciato cogliere dalla malinconia dei pensieri d’autunno, io che di anni ormai ne ho ottanta. È vero, dicono che la vita media ormai si è allungata: ma questa è una storiella statistica, come quelle del mezzo pollo a testa di Trilussa (il pasto quotidiano, secondo la sua visione della statistica, di due persone una delle quali abbia mangiato un pollo arrosto e l’altro nulla). Ho preso molto sul serio, giorni fa, la tirata d’orecchie di un vecchio e saggio amico il quale mi diceva che ultimamente mi sono giocato la stima di un sacco di gente che una volta era d’accordo con me, anche se – aggiungeva pietosamente – magari mi ero guadagnato altri consensi.
Non saprei: e forse non è un problema. Sta di fatto che le definizioni mi sono sempre state strette: mi sentivo “a sinistra” quando dicevano ch’ero di destra, oggi mi accade il contrario. Certo è che da circa sessant’anni mi definisco “cattolico, europeista e socialista”; e non ho mai cambiato Idea, per quanto abbia cambiato molte idee, vale a dire modificato giudizi anche profondi e perentori. Non mi aspetto che i più giovani mi comprendano. Mi rivolgo invece ai più anziani, quelli che come me, ad esempio, sono stati a lungo ingannati dal gioco di specchi della Guerra Fredda. Ce n’è voluto, di tempo, prima di rendersi conto di quanto fosse ingannevole quello schieramento e di fino a che punto ci sbagliassimo nel ritenere ostili fra loro forze che viceversa erano complementari e si sostenevano a vicenda. Nella mia generazione, io e gli amici del mio gruppo, fra anni Sessanta e Anni Settanta, abbiamo preso un abbaglio dietro l’altro seguendo senza rendercene conto la chimera fallace dell’antisovietismo: siamo stati con quel mascalzone del katanghese Mosè Ciombè contro Lumumba e l’Union Minière (della quale apprezzavamo, è vero, la brigantesca disperazione dei mercenari europei…), abbiamo tifato per l’Algerie Française contro il FLN, qualcuno di noi più tardi è arrivato perfino a simpatizzare sia pur non senza qualche dubbio per Pinochet e per i colonnelli greci… Tifoseria residuale più che riflessione corretta e sensata, senza dubbio: tanto più che intanto erano arrivati il Vietnam e il “che” Guevara – insieme ohimè con gli Anni di Piombo –, ed eravamo riusciti a intravedere chi manovrava i fili di certe marionette. Vero è che frattanto c’era stata la crisi afghana, e nessuno prevedeva ancora la piega che in quello sfortunato paese le cose avrebbero preso dopo il 2001…
Dico tutto questo perché ieri, 24 ottobre, ricorreva il mezzo secolo dalla vittoria di Salvador Allende in Cile. Quando venne tradito e assassinato, tre anni più tardi, qualcuno di noi trovò ancora che non ci fosse poi di che rammaricarsi: ma nella sostanza avevamo capito da che parte ormai si dovesse stare, e i fatti successivi all’11 settembre 2001 e alla seconda guerra del Golfo ce l’hanno confermato.
“Non son chi fui: perì di noi gran parte” diceva il vecchio Foscolo. Noi ci siamo sentiti sballottati non meno degli eroi di Stendhal o di Balzac o di Hugo tra Vandea, Cento Giorni e Restaurazione. Io, che ho fatto le elementari con il grembialino nero e il fiocco azzurro, sono nato ancora nell’Ottocento di De Amicis, mi trovo fiondato nell’era turbotelematica e mi sento il trisnonno delle mie figlie. Ottant’anni sono già una discreta età, ma duecento sono troppi. “Certo, voialtri nati durante o subito dopo la seconda guerra mondiale avete visto un bel mondo, cresciuti come siete in un Occidente senza guerre, abbondante di tutto…”, mi diceva giorni fa un intelligente liceale che sta cercando di orientarsi in un tempo d’incertezze. “Vedi”, gli ho risposto senza voler polemizzare, “il fatto è che se non altro, pur senza guerre, il servizio militare ci ha insegnato un po’ di disciplina e un po’ di rispetto per gli altri; non è colpa vostra, ma a voi questo è mancato”. Mi è sembrato che fosse tristemente d’accordo: mi ha però con pacatezza replicato accusando la mia generazione di non aver insegnato nulla alla sua di tutto questo. Aveva ragione lui.
Coincidenza. Ieri 24 ottobre ricorreva anche il ventennio dell’abolizione di quella leva militare obbligatoria che, insieme con la scuola elementare, ha “fatto l’Italia”: e forse l’avrebbe fatta, per quanto era in essa, più nel bene che nel male. Quando si dice l’identità…