Domenica 8 novembre 2020, San Goffredo
…PARIGI, NIZZA, VIENNA: E POI?
UNA “RECRUDESCENZA DEL TERRORISMO ISLAMISTA” O UNO DEI MOLTEPLICI VOLTI D’UNA CRISI IN ATTO?
In pochi giorni, e dopo un silenzio al quale noi occidentali eravamo ormai da molte settimane assuefatti, sembra che il mostro si sia svegliato di nuovo. Un decapitato a Parigi, tre persone accoltellate a Nizza, quindi cinque vittime a Vienna. L’imputato, tanto terribile quanto però impreciso, è il “terrorismo fondamentalista islamico”: così buon parte dei media lo ha indicato.
Il che esige una decodificazione. Si allude evidentemente alla formazione fondamentalista musulmano-sunnita detta ISIS nella sua sigla inglese, DAESH in quella araba, che significava “Stato Islamico dell’Iraq e della Grande Siria”. L’organizzazione pseudostatale o semistatale, che conferì a se stessa l’effimera forma religioso-istituzionale del “califfato” nella persona di Abu Ibrahim al-Baghdadi, fece molto discutere nel lustro successivo all’intervento francoinglese in Siria nel 2011, che si era ripercosso immediatamente in Iraq confondendosi con la complessa realtà delle relazioni già tese tra Siria, Libano ed etnìa curda distribuita nell’area e interessante altresì territori di pertinenza vuoi iraniana, vuoi curda. Ne derivò una confusa situazione che vide la compagine dell’ISIS attaccata e alla fine sbaragliata dall’azione congiunta ma non concorde di due differenti coalizioni: una guidata dall’Arabia Saudita e appoggiata dagli Stati Uniti (con un prudente ma efficace apporto israeliano) e da un peraltro seminesistente “esercito democratico siriano”; un’altra siro-irakeno-libanese appoggiata da Iran e Russia (con l’impianto di alcune basi navali russe tra Siria e Libano), mentre la Turchia di Erdoğan mirava ad allargare i suoi confini sudorientali e i curdi cercavano disperatamente di ritagliarsi un loro vero e proprio stato.
Questa situazione vicino-orientale non si è ancora del tutto stabilizzata, anche se la grande novità in tutta l’area è stata rappresentata dall’intesa tripartita fra Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita alla quale in modo diverso hanno aderito anche gli Emirati Arabi Uniti e la Giordania mentre sia Turchia sia Egitto, seminsoddisfatte dell’equilibrio che si va delineando, stanno in posizione di attesa. Il tutto è reso ancora più instabile dalla corsa ai giacimenti di petrolio sottomarino del bacino sudorientale del Mediterraneo e dalla contesa saudito-israelo-iraniana relativa ai percorsi dei gasdotti attraverso quell’area.
Una pace che non c’è, quindi. E l’ISIS, che fino a poco tempo fa era sostenuta militarmente, economicamente e anche mediaticamente da centri sauditi e qatarioti, si trova adesso non meno della collega e rivale al-Qaeda in una situazione critica per mancanza di appoggi esterni e crisi nelle linee di comando interne. Ma ciò spinge i terroristi alla disperazione e li rende quindi più pericolosi: come si è constatato dall’Africa all’Iraq ai più lontani Afghanistan e Pakistan, dove attentati sanguinosi si sono succeduti fino ad oggi e ancora continuano.
Di tutto questo, però, in Europa abbiamo cessato di discutere e di essere puntualmente informati almeno da un paio d’anni: il che ha determinato nell’opinione pubblica dei nostri paesi la falsa ma radicata impressione che ormai tutto fosse finito, che una pagina fosse stata voltata nel libro della storia contemporanea.
Non era, non è così. La fitna, la guerra civile che vede i sunniti contrapposti agli sciiti e che si svolge parallelamente agli iterati tentativi internazionali d’isolare l’Iran, sta continuando: e da Ankara, dal Cairo, da Gerusalemme si sta soffiando sul fuoco.
Fino a poco tempo fa, la parola d’ordine dei gruppi di fanatici estremisti islamo-sunniti era il miraggio della guerra in Siria: era per combattere contro il regime alawita di Assad che venivano reclutati anche in Europa giovani guerriglieri votati al jihad ed alla shahada, al martirio nel nome di Dio. Il centinaio di “islamisti” (cioè di musulmani ideologizzati e pronti alla fitna antisciita) reclutati in Austria spesso balcanici, con qualche turco e anche alcuni austrotedeschi convertiti) che l’anno scorso fu scoperto in Austria e che sembrava pronto a partire per la Siria, era fatto di gente di quel tipo. Fra loro c’era Fejzulai Kujtim, il ventenne terrorista macedone ucciso a Vienna dalla polizia in seguito all’assalto del 2 sera e presentato come militante dell’Isis: arrestato, era stato rilasciato nel dicembre dello scorso anno. Ma della sua cellula, in parte sbaragliata dopo l’attentato, in ultima analisi non si sa quasi nulla.
Ragioniamo. Un poveraccio di macedone – un ragazzo musulmano albanese, quindi – presta giuramento a un sedicente nuovo “califfo” della ISIS/DAESH, organizzazione religioso-criminale florida cinque o sei anni or sono ma che ormai, abbandonata dei suoi patrons sauditi e qatarioti ormai passati a più solide prospettive di alleanza americo-israeliana, vivacchia e ammazzucchia qua e là, fra Afganistan e Centroafrica, e che tutto ha meno l’unità di comando e d’intenti. I paragoni col 2015 e il Bataclan non reggono: allora era ancora in piedi una qualche struttura organizzativa che oggi appare vanificata. Siamo dinanzi a schegge impazzite: e non è detto che esse non siano pericolose, anzi lo sono eccome. Ma sono schegge.
Prestar giuramento al nuovo “califfo”, quel tale al-Quraishi (vale a dire “membro della famiglia dei Beni Quraishin”, quella del Profeta: un evidente pseudonimo eroico e millantatorio), come lo avrà fatto quel tal giovane macedone, già membro di un gruppazzo austriaco sciolto un anno fa e purtroppo rimesso in libertà? Ha giurato per e-mail? Prenderemmo sul serio un ragazzaccio biondastro e svasticato dell’Illinois che, dopo aver giurato fedeltà a un qualche leader neonazista del suo paese (e ce ne sono: ricordate i Blues Brothers?), si spacciasse per Standartenführer delle SS?
Allo stesso modo, che tutti gli sderenati e gli arcisfigati sottoproletari del mondo arabo o turco o balcanico presenti in Europa che si lasciano attirare dalla predicazione di un qualche imam fanatico e ohimè spesso prezzolato siano davvero dei guerrieri del jihad, degli aspiranti martiri, è una sonora balla: che purtroppo però fa ancora danni, che produce lacrime e sangue. Al pari di molte altre sonore balle.
E gli estremi si toccano. Gli imbecilli di opposta fazione, accomunati dalla stessa stolta ignoranza, si somigliano e fanno circolare le medesime bufale: riciclate s’intende da opposti pulpiti.
A Vienna, un pugno di esaltati magari strafatti di chissacché mette insieme cinque o sei morti fra quella povera gente che aspettava l’inizio del nuovo Ramadan occidentale, che da noi è il Lockdown. Sono degli autentici musulmani, quegli straccioni assassini? Io tendo piuttosto a credere che autentici musulmani fossero i due turchi e il palestinese che hanno salvato il poliziotto ferito: e dei quali dopodomani magari non si ricorderà più nessuno.
Ma della fiaba della vendetta musulmana sull’empia Vienna che nel 1683 osò resistere agli eserciti del Profeta, che cosa resta? Eppure l’hanno diffusa decine di blogs sedicenti fondamentalisti. E dell’altra fiaba, opposta e complementare, dell’eroica Vienna cristiana che nel 1683 respinse impavide le orde fanatiche dei turchi ottomani, e che per questo i fanatici musulmani vorrebbero punire?
Sciocche, ridicole storie uscite da qualche bignami malconsultato. Questa la realtà. Nell’estate nel 1683 un gran vizir (primo ministro) che si sentiva parvenu ed era un carrierista pensò di fare ulteriore carriera nell’impero ottomano regalando su un piatto d’argento al sultano Maometto IV nientemeno che la capitale del Sacro Romano Impero, Vienna.
Si era alla fine di un periodo di tregua militare durato ben vent’anni, che si sarebbe potuto e dovuto rinnovare. L’impero sultaniale ottomano, sunnita, era potentissimo, ma minacciato da un nemico che premeva da est, l’impero degli shah persiani, sciita: ancora la fitna, la guerra tra musulmani. D’altra parte, anche l’Europa cristiana era divisa: l’imperatore asburgico che regnava sull’Europa centrorientale ed era parente del re di Spagna aveva insieme con lui un n emico, il re di Francia: Luigi XIV, il Re Sole. E, secondo le buone regole geostoriche, gli amici dei nemici erano nemici: La Francia solidarizzava con il sultano, l’Austria e la Spagna con lo Shah.
Il gran vizir ottomano assalì quindi Vienna, confidando che la Francia non si sarebbe mossa per sostenere l’impero: alla faccia della fratellanza in Cristo. Ma attraversare i Balcani era duro: ci vollero tre mesi, e quando nel luglio i turchi arrivarono sotto Vienna erano stanchi e provati; e avevano un parco d’artiglieria del tutto inadeguato. Il gran vizir era però così sicuro che i viennesi si sarebbero arresi che non aveva nemmeno fortificato il suo accampamento: così il 12 settembre gli eserciti del re di Polonia Giovanni III Sobieski e dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo sbaragliarono gli assedianti e liberarono la capitale.
Questa la realtà cronistica d’uno scontro durante il quale s’invocò sovente il Creatore (Deus, Gott, o Allah che lo si chiamasse), ma che di “guerra santa” ebbe ben poco, e di “scontro di civiltà” ancora meno. Frattanto, tra Mediterraneo ed Eurasia, cristiani e musulmani continuavano a picchiarsi ma anche a scambiarsi merci pregiate e ambascerie diplomatiche, libri e opere d’arte, poesie e opere scientifiche, in questa splendida civiltà comune ch’era quella eurasiafromediterranea. La civiltà nella quale gli europei leggevano il greco Aristotele tradotto dall’arabo-spagnolo Edrisi, dove Gentile Bellini faceva il ritratto del sultano Maometto II, Leonardo da Vinci progettava un ponte sul Bosforo per il sultano Selim e tutti andavano matti per il caffè arabo e per gli orologi e i cannoni tedeschi.
Così è, se vi pare. Questa è storia. Il resto sono balle.
E torniamo all’oggi. Esistono plausibili legami tra la decapitazione di Parigi, il triplice assassinio di Nizza e l’attentato di Vienna? Sul piano volontario e organizzativo a tutt’oggi non parrebbe, ma su quello indotto dell’ispirazione, dell’emulazione, ciò è molto possibile: e questa catena di modelli e d’influenze risulta molto più difficile da reprimere che non una vera e propria organizzazione politica e militare.
Non possiamo comunque dire di trovarci dinanzi a un nuovo fenomeno o a una “nuova ondata” di radicalizzazione dell’Islam: il fenomeno è troppo sporadico, troppo epidermico perché si possa pensare a qualcosa del genere.
Che anche questi casi siano comunque significativi, è un fatto. Ma al riguardo ha ragione un osservatore intelligente come Olivier Roy: non di “radicalizzazione dell’Islam” si tratta, per giovani sradicati e demotivati che hanno attraversato – come l’attentatore di Nizza – il tunnel dell’alcolismo e della droga prima di approdare a una fede religiosa incolta e fanatica: siamo di fronte semmai, al contrario, di sintomi di una “islamizzazione del radicalismo”. Il disorientamento e la rabbia generati dall’assenza di prospettive sociali e culturali serie, un male registrabile in modo crescente in linea generale e che riguarda trasversalmente società e culture diverse, può assumere in contesti musulmani il carattere dell’impulso in direzione di un sanguinoso Islam immaginario che in realtà, più che l’adesione al modello fondamentalista/jihadista, è la nihilistica attrazione dell’Abisso. È questo il pericolo dal quale dobbiamo salvare un numero ignoto di giovani sbandati. Nel contesto musulmano e, mutatis mutandis, in altri. O ci siamo già dimenticati delle carneficine nei campus universitari statunitensi o del pulito, educato signor Breivik che in una confortevole cella carceraria dell’Europa settentrionale sogna Templari e protesta per il cibo mediocre e il servizio informatico inadeguato?