Domenica 29 novembre 2020, Prima Domenica d’Avvento
VICINO ORIENTE: UNA PROPOSTA
Il Vicino oriente torna a ribollire, temiamo: anzi, non ha mai smesso. Il triangolo d’inedita alleanza USA-Arabia Saudita-Israele (inedito come triangolo, non come coppia di alleanze con gli USA come perno) è a una svolta, il suo padrino Trump estromesso dalla Casa Bianca sta seminando guai per il suo successore (la patata bollente dell’assassinio dello scienziato iraniano è un’altra perla della collana di crimini…) e insomma siamo in alto mare. Ciò non c’impedisce tuttavia di pensare in grande, e in modo disteso. L’amico e collega Pietro De Marco è ben noto e le sue competenze in fatto di teologia, filosofia e sociologia sono note da parecchi decenni, fino dai tempi di “Testimonianze” quando ancora furoreggiava il non mai abbastanza rimpianto padre Balducci (e quanto lo rimpiangiamo oggi, con questi chiari di luna…). Personalmente mi trovo, lo confesso, spesso in disaccordo con l’amico Pietro: e l’esserlo mi preoccupa perché ne riconosco senza esitazione la superiorità intellettuale. E allora, penserà qualcuno, dici che non sei d’accordo con lui, dici che è più bravo di te, e lo fai scrivere sul tuo blog? Lo so: prassi dei sinceri democratici sarebbe, in questi casi, lo zittire, l’abbuiare o il calunniare. È una vecchia storia. Ma io non sono mica un democratico…
PIETRO DE MARCO
IL “CONCORDATO” COME MODELLO PER UNA SOLUZIONE DI DIRITTO SACRO DEL CONFLITTO ARABO-ISRAELIANO
Scriveva Louis Massignon nel 1948 che “questa Terra santa non dovrebbe essere un oggetto di spartizione tra privilegiati [lega araba e potenze coloniali], ma la tunica senza cuciture della riconciliazione del mondo, luogo di mescolanza intima tra tutti e, per cominciare, tra coloro che hanno più ragioni di unirsi che di odiarsi, semiti, ebrei e arabi, tutti figli di Abramo, e cristiani spiritualmente semiti, che dovrebbero avere tutti rinnegato il culto degli idoli [per Massignon erano tali i poteri e i parassitismi economico e finanziari mondiali”. La straordinaria visione religiosa massignoniana, per cui vi è un “solo punto di innesto, di applicazione dello spirituale nel temporale e nella geografia, poiché ve n’è uno solo che la storia predestini, la Terra santa, con Gerusalemme, dall’epoca di Abramo”, fu resa storicamente vana – non secondariamente – dal moralismo anticapitalistico del grande arabista. L’anticapitalismo è una delle componenti costitutive del plesso ideologico antisemita, nel senso di Marr, e ne segna assieme alle dottrine biologiche il peculiare assetto moderno, non casualmente, come congiunzione ‘innovativa’ delle due componenti nel tardo Ottocento.
Ma Massignon vedeva profondamente, anche in virtù di questo distacco polemico dalla modernità economica, che “gli Ebrei hanno conservato il desiderio spirituale della Terra santa, considerata come il pegno materiale di una promessa che trascende la materialità”. Il popolo ebraico ha realizzato questo trascendimento nella Terra santa diversamente da come Massignon sperava (ovvero senza divisioni della Terra). Non aveva alcun rapporto con realtà e valori auspicare che “Ebrei e Arabi si emancipassero dal sistema economico europeo cui sono subordinati”; mentre l’attrazione esercitata dall’ideologia sovietica (che proprio Massignon ricorda) su questo terreno indica la deriva tragica di quella istanza-utopia.
Non per questo gli Ebrei hanno “demessianizzato” la loro speranza, laicizzandola e fondandola sui meri “mezzi economici”. Proprio gli sviluppi meno ‘laici’ degli ultimi decenni della società israeliana lo mostrano: lo Stato d’Israele ha l’altissima forza simbolica, per uno storico “popolo paria”, della realizzazione politico-statuale e della sua capacità di Rappresentazione dell’intero popolo ebraico.
Alla grandezza del moralismo tradizionalista di Massignon mancava dunque la dimensione teologico-politica, oltre che il senso della eticità del capitalismo. Ma la Terra santa resta, costitutivamente, per la cittadinanza religiosa ultima di Ebrei, Cristiani e Musulmani (in successione storica), materia di diritto sacro. La portata storica di una soluzione tra diritti sacri consiste a mio parere nel riconoscimento internazionale pubblico della idoneità di un diritto arabo-islamico a esercitare giurisdizione. Questa legittimità a sentenziare su eventi accaduti in una terra su cui l’islam rivendica sovranità dovrebbe essere accettata a condizione (una condizione politica) del contemporaneo autovincolarsi di questo diritto nel riconoscimento di una sovranità originaria del popolo ebraico su questa stessa terra.
L’analogia con la vicenda, all’epoca innovativa, del Trattato del Laterano del 1929 è forte: l’Islam concede e riconosce alla sovranità di altro (ma ‘originario’) ordinamento un territorio proprio, come fece lo stato italiano con la Santa Sede; reciprocamente e contemporaneamente Israele e il diritto internazionale riconoscono una legittimità sui generis alla giurisdizione islamica. Portata a buon esito, questa elaborazione giuridica e dottrinale avrebbe effetti risolutivi anche sulla componente teologico-simbolica e militante, di “milizia sacra”, del conflitto arabo-israeliano, nei due schieramenti. Vedo in questa mia proposta, anche, una sperimentazione cruciale del modello di articolazione-integrazione delle molte cittadinanze. Possiamo formularla nei termini seguenti.
La soluzione del conflitto arabo-israeliano passa per la costituzione di uno Stato palestinese, sotto vincoli ferrei di sicurezza per Israele, garantiti (se necessario) da un iniziale protettorato internazionale sullo stato palestinese. Ma la coesistenza tra i due stati esige una memoria pacificata del passato. Nella mia proposta questo implica, come sua parte integrante, la legittimazione dello stato d’Israele da parte della shariah, cioè della legge della comunità islamica mondiale, la umma.
Elevandosi alla dimensione di diritto (sacro) internazionale pubblico, la shariah – e con essa la politica islamica – definirà e statuirà l’esistenza legittima di uno stato e di una Gerusalemme ebraica sul territorio che essa (la shariah stessa) considera sotto la propria giurisdizione, e sacro, entro la relazione di fedeltà a Dio. La logica sarà analoga e inversa (= antimetrica) a quella dei Patti del Laterano del 1929 tra Italia e Santa Sede, in particolare del Trattato. I Patti “di Gerusalemme” includeranno una dichiarazione, nei termini propri del diritto internazionale pubblico islamico e nell’ambito della sovranità della umma, sui diritti, originari, del popolo ebraico alla terra e su confini dello stato d’Israele reali e intangibili. Per terra e confini si intendono quelli definiti, e riconosciuti dal diritto internazionale, all’atto della costituzione del nuovo Stato palestinese. [Uno stato palestinese senza obblighi di diritto sacro verso Israele, vincolanti per il mondo islamico, diverrebbe una macchina da guerra.]
Come lo stato italiano è stato, alla firma dei Patti lateranensi, infine riconosciuto legittimo dalla Santa Sede che sussiste territorialmente al suo interno, in termini e con effetti di grande portata pratica e dottrinale (reciprocità di riconoscimento, costituzione di uno stato teo-ierocratico [D’Avack], interpenetrazione di ordinamenti a priori inomogenei), così antimetricamente nel caso supposto un diritto sacro riconosce la legittimità di uno stato inomogeneo ad esso ma che sussiste al suo interno.
All’atto della stipula dei Patti, lo stato d’Israele e l’ordinamento internazionale riconosceranno una legittimità sui generis della passata opposizione da parte della comunità arabo-islamica ad accogliere e riconoscere efficaci nel proprio ambito di giurisdizione (di diritto sacro) le decisioni delle potenze occidentali sul territorio della Palestina. Con ciò le parti s’impegnano a considerare superata ogni ragione di reciproca delegittimazione e ostilità di principio.
A stipulare i Patti (distinti dai Trattati che definiranno i nuovi rapporti tra i due stati) saranno da un lato le autorità giuridico-religiose del popolo palestinese, in rappresentanza legittima dell’intera “comunità araba”, e dall’altro lo stato d’Israele [come stato ‘teocratico’,] con i suoi consulenti giuridico-religiosi.
Canonisti (cattolici) ed ecclesiasticisti, in quanto esperti di concordati, si metteranno a disposizione delle parti. La Chiesa Cattolica come tale, con suoi alti rappresentanti, potrà svolgere, se richiesta, funzioni di mediazione e arbitraggio.
…fantascienza, progettualità, lungimiranza? Obietterei che semai ci mancano un po’ troppo i cristiani, specie quelli arabo-palestinesi. Vero è che negli ultimi tempi sono tragicamente diminuiti. Poi ci sono gli ultimi sviluppi e della questione con le scelte unilaterali d’Israele a proposito di sovranità su Gerusalemme. Insomma, c’è credo materia per modificare, correggere, approfondire, discutere. Siamo aperti alla replica-aggiornamento di De Marco e ad altri eventuali contributi. Se il dibattito crescerà, penseremo a un volumetto che ne raccolta gli atti.