Minima Cardiniana 304/5

Domenica 6 dicembre 2020, II Domenica d’Avvento

LIBRI LIBRI LIBRI

Franco Celenza (a cura di), Il fiore della poesia arabo-islamica. Dalle origini preislamiche al Novecento, con un’Intervista di Laura De Luca, puntoacapo Editrice, pp. 136, € 15,00

Questo è un libro che non parla di religione, che non parla di politica, ma di poesia. E la poesia è quanto di più vicino all’autenticità della persona, del cuore umano, ciò che rende gli uomini tutti uguali, in fondo. Firma questo saggio sulla poesia islàmica lo studioso Franco Celenza, edita il libro puntoacapo; il testo si intitola Il fiore della poesia arabo-islàmica dalle origini preislàmiche al Novecento (dall’intervista di Laura De Luca all’Autore)

Franco Celenza, drammaturgo e storico del teatro, ha pubblicato testi di saggistica, poesia, commedie rappresentate e sceneggiati radiofonici diffusi in rete nazionale. Come saggista: Il teatro di Luigi Antonelli Avanguardie italiane del primo Novecento (2000); Storia del teatro in Abruzzo dal medioevo al secondo Novecento (2005); Ennio Flaiano. Ritratto d’autore (2007); La ragione in fiamme. Vita, opere e follia di Antonin Artaud (2009); Femmine e Muse. Epistolari e carteggi d’amore di Gabriele D’Annunzio (2011); D’Annunzio drammaturgo. Pagine scelte da tutto il teatro (2013); Le menti prigioniere. Letteratura e dissenso nella Russia sovietica (2016).

Come drammaturgo: La notte dell’Antigone, Editoria e Spettacolo, Premio Fersen 2012; L’orchestra di Belzec, Premio Ugo Betti 2005; Il viaggio di Alice, puntoacapo (2019); Niccolò Copernico, in “Nati per la radio” a cura di Laura De Luca, Ed. Solfanelli (2020). Per puntoacapo Editrice ha pubblicato anche la silloge poetica Di certi inverni della mente (2016), il racconto Il falco pellegrino. Una fuga dalla libertà (2017). Suoi lavori teatrali editi in Sipario e Ridotto sono stati rappresentati dalle compagnie “Alla Ringhiera” (Roma), “Teatro laboratorio” (Verona), “Centro di ricerche teatrali” (Milano), “Florian proposte” (Pescara), “A.T.A. Thea-tre” di Broadway a Manhattan. Ha fondato e dirige il Premio Letterario Internazionale “Lago Gerundo”.

Giovanni Brizzi, Andare per le vie militari romane, Bologna, il Mulino, 2020, pp. 136, € 12,00

Dopo i suoi molti studi, e in special modo quelli bellissimi e rivoluzionari su Annibale – la figura, il mito, il contesto storico –, molti di noi il professor Brizzi se lo immaginano ormai abbigliato con tanto di paludamentum militare romano, tanto si è ormai tuffato nel suo ruolo di storico delle istituzioni e delle strutture guerriere dell’antichità. Come poi faccia uno studioso che s’identifica tanto nell’oggetto dei suoi studi ad essere un cultore tanto innamorato della personalità del Nemico di Roma per eccellenza, di Annibale, è un paradosso apparente che qualunque studioso conosce. Ne so qualcosa io, studioso dei crociati e ammiratore devoto del Saladino.
Ma torniamo a Brizzi. Chi non ha ancora letto il suo Il guerriero, l’oplita, il legionario, ormai “classico” e davvero decodificante capolavoro della società antica attraverso la dimensione delle armi, deve sul serio correre ai ripari. Le pagine sulla complementarità tra Ulisse e Diomede – esemplari anche per la medievistica e per la modernistica (il “prode” Rolando e il “saggio” Oliviero, il coraggio e la prudenza, l’ampia manovra e l’assalto alla baionetta, le tattiche “risolutive” e quelle “distruttive”, insomma la volpe e il leone) – sono grandiose anche al livello di world history, spiegano il mondo da Sun Tzu a Giap e oltre.
E qui non si smentisce. Aprire il suo saggio sulle strada militari di Roma e andar subito a cercare Annibale al Trasimeno è, specie per un toscano da sempre innamorato della sua Cassia, tutt’uno: e sulle prime si resta quasi delusi, quasi assaliti dal disappunto, al constatare che il suo “Annibale attorno al Trasimeno” (pp. 81-87) si muove tutto attorno all’asse della Flaminia. Il che poi è del tutto normale, dal momento che ai tempi di Annibale, a cavallo cioè fra III e II secolo a.C., la Cassia – costruita dal 154 a.C. dal console Caio Cassio Longino (da non confondersi con l’omonimo cesaricida, posteriore) per collegare Roma ad Arezzo, ancora non esisteva. Ma appunto qui sta il nucleo forte del libro, che mira limpidamente a seguire la politica e la strategia romane per la conquista e il controllo della penisola italica lungo tre assi viari concepiti e costruiti fra 312 e 187, vale a dire tra i censori Appio Claudio Cieco e Marco Emilio Lepido, le “vie consolari” Appia, Flaminia ed Emilia. Tre assi latitudinariamente stesi tra Piacenza e Brindisi e tutti non a caso incentrati sugli apici dell’Urbe, com’è ovvio, e dei porti sia romagnolo-marchigiani sia pugliesi, comunque adriatico-ionici (Brindisi e Taranto, mentre più sguarnito appare il litorale tirrenico. Certo, le guerre cartaginesi avrebbero profondamente mutato questa geostrategia.
L’impianto del libro è semplice, rassicurante. In quattro ariosi capitoli l’Autore c’informa che cosa sia una via strata, come la si costruisca, che cosa ci si deve aspettar d’incontrare lungo il suo “asse attrezzato”; quindi, partendo dall’Urbe (ma da due differenti luoghi di essa), si percorrono l’Appia partendo da porta Capena fino a Brindisi, la Flaminia da porta Fontinalis (oggi piazza del Popolo); mentre per la Via Emilia – da considerarsi una continuazione della Flaminia – si deve partire dal ponte di Tiberio a Rimini per arrivare a Piacenza. Lungo questi itinerari (che sarebbe davvero bello poter ripercorrere con calma degna dei tempi andati, a piedi), si snodano paesaggi, ricordi, meraviglie.
Ripercorriamola insieme con Brizzi, questa nostra penisola italica: e sotto la sua sicura guida. Il luogo del Domine, quo vadis?, gli otia di Capua, le tracce di Ulisse verso Terracina, il ponte Milvio, l’arco di Augusto ad Ancona e a Rimini…
Certo, per me resta un desiderio. Bisognerà percorrerla pure, con Brizzi, anche quella splendida regione attraversata dalla Cassia: il magico Latium vetus del quale mi parlava Paolo Sommella quando eravamo tutti e due allievi ufficiali d’aeronautica a Pozzuoli; e il mithraeum di Sutri; e il “Santo Sepolcro” di Acquapendente. Ma questa sarà magari materia di un prossimo nuovo libro di Brizzi.