Minima Cardiniana 305/3

Domenica 13 dicembre 2020, Santa Lucia Vergine e Martire

MENTRE BEN A ROMA AMMONIVA CONTRO IL “PERICOLO GIALLO”, EDDA FOLLEGGIAVA A SHANGHAI
Gran parte delle sciocchezze che si dicono oggi sulla Cina dipende dal fatto che l’opinione pubblica del nostro paese – beninteso, con le solite vaste eccezioni – s’è accorta di quell’immenso paese solo al tempo di Mao Zedong. Mussolini aveva ereditato dal suo passato di socialista intelligente l’attenzione ai paesi “coloniali” in un tempo nel quale in Europa ci si pensava come a plaghe piene di selvaggi e a depositi di materie prime. Peccato che, una volta al potere, cadesse nella trappola colonialista anche lui. Fosse rimasto del parere che sosteneva nel 1911, oggi forse Mediterraneo e Vicino Oriente sarebbero diversi…

LUIGI G. DE ANNA
LA CINA ERA VICINA. I RAPPORTI DIPLOMATICI TRA ITALIA E CINA DURANTE IL FASCISMO. UNO STUDIO DI GABRIELE ALTANA
Gabriele Altana è l’ambasciatore d’Italia a Helsinki. Ho conosciuto in Finlandia, nel corso dei quasi cinquanta anni della mia permanenza, molti rappresentanti dell’Italia ufficiale, alcuni dei quali intellettuali di pregio, come Ugo Barzini, per citare un solo nome. Il fatto che un ambasciatore abbia durante la sua carriera la possibilità di fare ricerca e di scrivere un libro di livello accademico è però certamente cosa non comune. A questa fatica si è dedicato Gabriele Altana, diplomatico di carriera dal 1991, che già nel 2009 aveva pubblicato con Stefano Baldi un apprezzato saggio sulla politica di sicurezza europea. Nella primavera del 2017 è uscito questo L’Italia fascista e la Cina. Un breve idillio, edito da Aracne. Un compatto volume di 311 pagine, ricchissime di note di approfondimento e di una sterminata bibliografia sia sul tema in questione sia su argomenti afferenti, nonché di utili informazioni biografiche sui personaggi citati. Il periodo abbracciato è la prima metà del Novecento, ma un capitolo introduttivo getta luce sui primordi di questi rapporti, da Marco Polo a Giovanni dal Pian del Carpine, a Matteo Ricci, per arrivare a ricordare anche la presenza degli stati pre-unitari (e ancora una volta dobbiamo notare che il precursore fu il Regno di Napoli, che nel Settecento aveva creato una Compagnia Asiatica, trasformato nel 1868 in Real Collegio Asiatico, di cui è erede l’Università nota come L’Orientale).
L’argomento dei rapporti diplomatici tra Italia e Cina non è nuovo, ma questo libro di Altana non solo fa il punto sull’indagine storiografia, anche la più recente, ma approfondisce temi mai trattati, o poco trattati in precedenza. Non abbiamo qui il semplice studio di documenti d’archivio del Ministero degli esteri, ma una indagine a tutto campo, estesa anche a fonti estere, riguardante un periodo che pur essendo in termini di anni limitato, è comunque ricco di avvenimenti addirittura epocali, come la formazione della Cina moderna o l’alleanza dell’Italia con La Germania e il Giappone. Tutto questo detto con rara capacità di sintesi (sarebbe stato facile perdersi nel labirinto della polverizzata storia della Cina del Novecento) ma anche con una scrittura piacevole, che conduce con chiarezza per mano il lettore, e lo affascina legandolo alle vicende che videro come protagonisti alcuni italiani oggi ingiustamente dimenticati.
Sintetizzando con le parole dello stesso Altana: “L’obiettivo principale è di evidenziare come e per quali motivi il nostro Paese dapprima sembrò assecondare attivamente l’aspirazione della Cina nazionalista di allacciare rapporti bilaterali più ampi ed intensi, per orientarsi invece, dopo qualche tempo, verso il sostegno delle ambizioni panasiatiche del Giappone, acerrimo avversario del governo del Kuomintang”.
Avventurarsi di questi tempi in una materia che tratta del fascismo comporta qualche rischio, ma Altana, da storico qual è a tutti gli effetti, non vuole dare giudizi sulla “qualità” della politica “cinese” del governo di allora, anzi, della sua politica estera in generale, ma intende spiegarne i motivi. Espone di conseguenza le benemerenze di questa politica come gli errori che furono compiuti. Sotto questo punto di vista, il lavoro di Altana è esemplare: il giudizio che viene espresso su quanto avviene a livello di rapporti diplomatici, militari, economici e politici, non dipende da un pre-giudizio, ma dall’analisi dei fatti. Fatti ovviamente visti dall’osservatorio italiano, che deve tenere presente quali fossero le esigenze della politica estera in generale di Mussolini.
In realtà il libro di Altana, molto abilmente, ci porta dunque fuori dalla Cina e dall’Asia, per inquadrare la politica estera dell’Italia in una dimensione più ampia. In sostanza, questo studio va molto al di là delle premesse, già ambiziose, presentate nel titolo, di osservare quanto accadeva tra Italia e Cina, per abbracciare la globalità della politica estera italiana. Politica fatta essenzialmente da diplomatici di carriera, anche se ovviamente il vertice è rappresentato da Mussolini, Grandi e poi Ciano. In particolare emerge il ruolo di Galeazzo Ciano, giovane inviato a Shangai con la moglie Edda, che rimarrà in seguito legato sentimentalmente a quel grande Paese dove aveva mosso i suoi primi passi di diplomatico. Una simpatia profonda, che però non influenza il giudizio realistico che Ciano dà della complessa situazione cinese e asiatico-orientale in generale.
In questo scenario, l’Italia deve muoversi tra più attori, che sono le parti, spesso in guerra tra loro, che si combattono per il controllo della Cina. Si tratta agli inizi di quanto resta dell’autorità imperiale, tramontata nel 1911, poi del Kuomintang, che nel 1927, dopo aver attuato una seppur precaria unità nazionale, non solo si deve confrontare col partito comunista, ma anche con le sue proprie divisioni intestine; a questo vanno aggiunte le ambizioni dei “signori della guerra”. Ci sono poi i filo-nipponici e i sostenitori del Manchukuo, e, ovviamente, i giapponesi, che nel 1937 invadono la Cina. Chiang Kai-Shek deve ritirarsi nel Sichuan, a Chungking, dove resisterà fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Vittoria effimera la sua, perché qualche anno più tardi subirà la sconfitta nella nuova guerra civile. La Cina continentale passerà sotto il controllo del partito comunista e i nazionalisti dovranno ritirarsi a Taiwan.
In questa partita a scacchi della diplomazia mondiale, rientrano anche quelle potenze occidentali, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che avevano fortissimi interessi da difendere, nati già con gli infami “trattati ineguali”. Questi furono applicati in parte anche dall’Italia. Essa infatti aveva contribuito, insieme alle altre potenze, a soffocare la rivolta dei Boxers. Con l’accordo del 7 giugno 1902 il Regno d’Italia otteneva così dal Celeste Impero “in perpetuità, in qualità di concessione” una porzione del territorio di Tientsin e il diritto di extraterritorialità nel quartiere delle legazioni a Pechino con il diritto di mantenervi un proprio distaccamento di truppe. Tientsin però non sarà una vera e propria colonia, e il numero degli italiani residenti in Cina rimarrà limitato.
In questo panorama estremamente complesso, manca in parte il comunismo. Certo, compare l’Unione Sovietica con la sua vocazione ad estendere la propria influenza e ad assicurare i propri confini asiatici, ma il comunismo cinese non è del tutto percepito nella sua componente ideologica e nella dirompente capacità che esso ebbe di affermarsi tramite lotte sanguinose, da cui emergerà come vincitore. Ma qui usciamo dai limiti cronologici prefissi. E in ogni caso lo sviluppo dell’ideologia comunista in Asia, dalla Cina all’Indocina, non fa parte della storia della diplomazia, cui, metodologicamente, appartiene questo lavoro di Altana.
Se da parte italiana gli strateghi della politica estera restano Mussolini, Grandi e Ciano, chi ha il compito di realizzare sul campo queste premesse sono quei diplomatici, quei militari e quegli operatori economici che l’Italia rappresentano, tutti, o quasi, di alta professionalità. Costoro sono fedeli al Regime (e come non potrebbero esserlo?) ma non sono fascisti tout court, tanto è vero che dopo l’8 settembre chi era rimasto sul territorio incorrerà nelle ire dei giapponesi. Aggiungo che proprio la parte finale del libro, dedicata agli avvenimenti post-armistizio, in particolare ai rapporti tra le “Cine” (è necessario qui usare il plurale data la frammentazione causata dai tre governi che controllano il territorio geografico della Cina) e la Repubblica Sociale, di cui fino ad ora poco si sapeva, è uno dei molti contributi originali portati da Altana.
Per quanto riguarda i protagonisti della vicenda cinese, spicca la figura di Chiang Kai-Shek, in un certo senso qui rivalutata, venendo sottratta alla negativa visione che di lui aveva dato una storiografia ispirata alla simpatia per l’antagonista Mao Zedong. Chiang Kai-Shek, ancor più di Mao Zedong, è lo strenuo difensore dell’indipendenza cinese, il quale mai volle venire a compromessi con i giapponesi e di conseguenza con il governo di Wang Ching Wei di osservanza nipponica, che però non si presenta come filo-fascista, ma come continuatore della tradizione di SunYat Sen e del Kuomintang. Sarebbe stato facile bollare quest’ultimo di “collaborazionismo”, ma i motivi della sua politica filo-giapponese rispondono alla stessa logica di quei governi che in Europa attuarono una politica di acquiescenza nei confronti degli interessi della Germania, e questo per evitare una ancor più brutale oppressione e occupazione.
Molti sono gli spunti che la lettura di questo libro ci offre, ma dobbiamo purtroppo limitare il nostro excursus. Quello che colpisce, a livello di considerazione generale, è l’ampiezza di vedute e di interventi della politica estera italiana in questo periodo (una visione globale che Altana espone con esemplare chiarezza), se paragonata alla situazione odierna. Potremmo partire dalla considerazione: “ma che ruolo ha oggi la Cina (e l’Asia in generale) nella politica estera italiana”? Una politica estera, e qui esprimiamo la nostra personale opinione, che deve tenere presenti gli interessi dell’Unione Europea, e soprattutto deve restare fedele all’atlantismo, il che, in pratica, vuol dire rinunciare alla propria indipendenza nel campo della politica estera. In altre parole, l’Italia è obbligata a rispettare alleanze che da quasi settanta anni la condizionano e in certi casi la soffocano.
Gli anni del fascismo sono anni che vedono l’Italia passare da nazione di secondaria rilevanza a co-protagonista della diplomazia mondiale. Mussolini e Ciano giocano a tutto campo sulla scena internazionale. Innanzitutto c’è l’ Europa, con tutte le sue problematiche situazioni create da improvvidi trattati di pace, e con il prepotente inserirsi sulla scena internazionale del nazionalsocialismo; ma anche l’Africa, con quello che è veramente il turning point della storia italiana del Novecento, e cioè la guerra d’Etiopia che comporta le sanzioni, le quali a loro volta spingono l’Italia a scelte di campo che probabilmente non avrebbe fatto se le potenze occidentali non si fossero dimostrate ostili rispetto alle ambizioni italiane. E infine l’Asia, dove nella seconda metà degli anni Trenta compare prepotentemente un Giappone volto alla colonizzazione di Cina e Corea, e naturalmente il permanere della stessa Cina, che per anni era stata al centro delle attenzioni italiane, anzi, delle simpatie italiane.
Il Presidente Mattarella recentemente ha dichiarato che il fascismo non ha fatto nulla di buono. Mattarella non ha parlato da storico, ma da politico, qual è a tutti gli effetti. Se il “nulla” riguarda tutto l’arco della esperienza fascista, questo risulta essere un giudizio affrettato e storicamente immotivato. Basta appunto pensare al rispetto, alla considerazione che l’Italia di quegli anni riscuote sulla scena internazionale. Diventa mediatore richiesto ed ambito dalle parti che stanno giocando la grande partita del controllo dell’Asia orientale. Chiang Kai-Shek per di più ammira Mussolini, per lo meno fino a quando non si alleerà col Giappone, scelta ancora una volta da ricollegarsi allo spartiacque delle sanzioni.
Un altro spunto molto interessante fornito da Altana riguarda la politica economica italiana (Ciano in particolare è molto attento a difendere gli interessi commerciali del nostro Paese) e della produzione militare. Si è molto ironizzato sulla impreparazione militare dell’Italia che entra in guerra con un esercito dagli armamenti obsoleti. Questo non corrisponde del tutto al vero. Innanzitutto, come dimostra l’interesse dei governi cinesi di acquisire materiale bellico italiano, l’Italia è esportatrice di aerei, navi, artiglieria. Paesi europei e asiatici si forniscono in Italia e quando inizia il secondo conflitto mondiale, per fare un esempio, gli aerei Fiat CR 42 sono ancora competitivi e non è superfluo ricordare che fino ad allora i nostri bombardieri erano stati venduti con successo in Asia. La guerra comportò però un rapidissimo evolversi della tecnologia militare, basta pensare che si inizia appunto con i biplani e si finirà con i jet, e questo nel corso di appena 4 o 5 anni. Dai cannoni che avevano sparato dalle trincee della prima guerra mondiale si arriverà ai missili V2. È qui che l’Italia non riesce a restare al passo. La sua industria non può produrre quanto altre nazioni, dotate di un più complesso apparato tecnologico e di maggiori risorse, riescono a fare.
In conclusione, il libro di Gabriele Altana è altamente consigliabile a chi intende meglio comprendere non soltanto le vicende dell’est asiatico, ma anche quelle della politica estera italiana in questo periodo decisivo della nostra storia. Un lavoro anche metodologicamente utile, infatti l’Autore ricorre a fonti molteplici, provenienti da archivi pubblici e privati, ma anche dalla stampa e dai memoriali. È la storia della diplomazia nella sua forma migliore, che evita il giudizio ideologicamente improntato, come fa purtroppo spesso lo storico della polemologia che non riesce sempre a sfuggire alla tentazione di dividere i belligeranti tra buoni e cattivi (chiunque essi siano).
L’Italia fascista e la Cina è tanto più utile quanto più la Cina di oggi si appresta a diventare superpotenza. Per capire che cosa sia questo immenso Paese, da dove provenga e dove voglia andare, dobbiamo conoscerne la storia, e non solo quella intrinseca, ma quella dei suoi rapporti con il resto del mondo. La Cina non è soltanto il Paese che produce merci a buon mercato, ma l’anima dell’intero continente asiatico. Un’anima antica, che sarebbe un grave errore giudicare con i parametri che Mr. Donald Trump applica alla politica estera degli Stati Uniti.