Domenica 10 gennaio 2021, Battesimo del Signore
ANCORA SULLA TRADUZIONE DELLE SCRITTURE IN ITALIANO
Dopo il Pater Noster e l’Agnus Dei, è la volta del Vangelo di Giovanni. E voliamo alti, in quanto a inviarci un contributo al riguardo è un filologo illustre, nientemeno che Andrea Fassò dell’Università di Bologna.
Caro Franco,
ho letto con grande piacere il tuo editoriale di MC 308/1 e il brano successivo di Cacciari.
Permettimi una breve osservazione a margine. Nel primo capitolo (o Prologo) del Vangelo di Giovanni il versetto 14 inizia così in latino: Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis. Nell’ultima traduzione italiana della CEI (Edizioni San Paolo, 2009) leggiamo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Nella Bibbia concordata (Mondadori, 19992): “E la Parola divenne carne e ha abitato in mezzo a noi”.
Il problema è che il testo originale greco dice: Kaì ho lógos sàrx egéneto kaì eskénosen en hemîn.
Siamo proprio sicuri che en hemîn significhi ‘in mezzo a noi’? O invece va inteso ‘in noi’ (anche il latino dice in nobis)?
Nello stesso capitolo di Giovanni (v. 26) il Battista risponde agli inviati dei farisei: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, che viene dopo di me”; e in mezzo a voi suona in greco mésos hymôn, non en hymîn.
In Giovanni 14,17 Gesù parla ai discepoli del Paraclito, “lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché rimane presso di voi e sarà in voi”, apud vos manebit et in vobis erit, par’hymîn ménei kaì en hymîn éstai.
Ma allora perché nel Prologo traduciamo ‘in mezzo a noi’?
La frase ricalca notoriamente Siracide 24,8 (che abbiamo ascoltato appunto nella Messa di domenica 3 gennaio, subito prima del Prologo stesso). Dice la Sapienza: “Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e disse: ‘Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele’”, in Iacob inhabita et in Israël haereditare et in electis meis mitte radices, En Iakob kataskénoson kaì en Israel katakleronométheti.
“In Giacobbe”, “In Israele” significherà ‘nel popolo di Israele’, non semplicemente ‘in mezzo agli Israeliti’. Quella della Sapienza (del Verbo!) è una sorta di incarnazione ante litteram, o per lo meno di ‘inabitazione’ (il verbo latino è appunto questo).
Eppure, che io sappia, nessun commentatore del Vangelo di Giovanni si pone il problema. Nel suo ponderoso commento Rudolf Schnackenburg traduce ‘in mezzo a noi’ senza prendere in considerazione, neppure per confutarla, la possibile alternativa. Perché non ‘ha piantato la tenda in noi’ (ossia nel nuovo Israele)? (tra parentesi, sia Giovanni sia il Siracide usano l’aoristo, con significato incoativo: dunque non ‘ha abitato’, ma ‘è venuto ad abitare’, ‘ha piantato la tenda’, ‘ha preso dimora’).
C’è una qualche riluttanza all’idea dell’interiorità, dell’avere il Verbo in noi? Analogamente, in Luca 17,20-21 Gesù, “I farisei gli [a Gesù] domandarono: ‘Quando verrà il regno di Dio?’. Egli rispose loro: ‘Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, oppure Eccolo là. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!”, Ecce enim regnum Dei intra vos est, idoù gàr he basileía tou theoû entòs hymôn estin.
Di nuovo: intra vos (non inter vos) al pari di entòs hymôn vuol dire ‘dentro di voi’, non ‘in mezzo a voi’.
Perché tradurre così? Si ha paura di offuscare il senso della comunità, dell’ecclesia? Si teme di scivolare in un individualismo protestante? Ma la Chiesa è fatta di persone ciascuna delle quali ha, deve avere, una sua interiorità: ed è appunto lì, in interiore homine, che habitat veritas secondo Agostino. Lutero era agostiniano, va bene; ma Agostino non era luterano; ed è per di più l’autore di riferimento dell’insospettabile papa emerito Benedetto XVI. Che poi le persone, con la loro interiorità, siano e non possano non essere in relazione fra loro e quindi formare una comunità, questo non crea alcuna contraddizione.
Ne sono convinti, credo, anche i benemeriti gesuiti irlandesi creatori del Sacred Space che si legge online e che questa settimana si apre con questo brano (lo riporto dalla versione italiana):
“La Chiesa dovrebbe anche prestare attenzione all’anima e all’interiorità. Dopo tutto, la vita cristiana non riguarda solo la dottrina e la pratica, ma anche la spiritualità. Che dire dell’alternanza nell’anima tra calore e freddezza, amore e odio, mitezza e durezza, devozione e fedeltà, disperazione e incredulità? Cosa ci dicono questi movimenti interiori? Quali hanno a che fare con Dio e quali no? Come si affronta questa dimensione interiore? Sento che viene prestata troppo poca attenzione a questo ambito di interiorità, spiritualità e anima, e questo è un peccato” (nell’originale inglese, and that’s a shame).
Estratto da The Art of Spiritual Direction di Jos Moons SJ (p. 14)