Minima Cardiniana 309/4

Domenica 10 gennaio 2021, Battesimo del Signore

EVERGREEN, PURTROPPO…

Evidentemente, quello del fascismo è un passato che non passa, e i conti storici con esso non si riescono a fare. Sarà che il periodico rinnovamento della damnatio memoriae del fascismo appartiene, secondo alcuni, a una sorta di Grande Esorcismo che serve a mantener solide le basi dell’unica “religione laica” che ci resta.
L’amica Enrica Garzilli, che tutti ricordano per la sua monumentale opera biografica dedicata a Giuseppe Tucci e poco diplomaticamente intitolata
L’esploratore del Duce, ha forse la vocazione del Grillo Parlante, o forse è un’ingenua convinta che in regime di libertà di parola e di pensiero si può dire quello che si vuole, o forse è una moralista persuasa che vi sono cose che si ha il dovere di dire anche se – e proprio perché – sono scomode e scandalose.
La dottoressa Garzilli ci ha proposto di cominciare la sua collaborazione ai
Minima Cardiniana commentando un’iniziativa editoriale che a lei appare opportuna, e anche a noi.
Ma queste polemiche non cesseranno mai di essere evergreen?

ENRICA GARZILLI
PICCOLO DIALOGO SULLA STORIOGRAFIA
Il Ventennio fascista è stato rimosso dalla coscienza collettiva. Per questo il 24 aprile scorso ho salutato con gioia la pubblicazione della nuova collana Storia del ventennio fascista – Il ventennio che ha cambiato l’Italia, curata da Emilio Gentile e pubblicata da “Il Corriere della Sera”. La lista, di 20 volumi, raccoglie delle monografie a mio parere opinabili perché di nomi minori escludendo studiosi contemporanei validissimi, forse perché la scelta è stata dettata dal numero di opere consentito. Peraltro, presenta anche opere di grandi, anzi grandissimi, come Renzo De Felice. Di alcuni storici di sinistra. E qualcuno molto noto al grande pubblico ma che storico non è come Indro Montanelli – e che, a mio avviso, poteva essere stato tranquillamente omesso.
Il Comitato di Redazione del giornale ha preso ufficialmente le distanze dalla pubblicità che accompagnava l’iniziativa, una pagina intera accompagnata dalla foto di un Duce radioso che arringa una grande folla dal balconcino di Piazza Venezia (presumibilmente). Qualcuno ha contestato la data di uscita, alla vigilia della Festa della Liberazione. Fra i critici globali Christian Raimo, assessore alla Cultura nel Terzo Municipio di Roma, ex consulente del Salone del Libro di Torino e fra i firmatari della petizione per la scarcerazione di Cesare Battisti. Raimo ha contestato non solo l’immagine ma l’iniziativa stessa, che secondo lui sembrava fatta apposta per ammirare Mussolini.
Così mi sono presa la briga di commentare un suo post. Primo errore. Sapere a grandi linee cosa fu il fascismo è un nostro obbligo di studiosi e di cittadini, visto che ha stravolto l’Italia e continua a farlo e che le nostre istituzioni sono nate anche da quel periodo. E non solo per la guerra o il razzismo. Vi sono decine di iniziative, di enti e fondazioni di cui Mussolini ha sponsorizzato la nascita, e non solo culturali, che ancora oggi sono vive e vegete. Per esempio il Museo Nazionale di Arte Orientale Giuseppe Tucci, l’Istituto per l’Oriente Alfonso Nallino, uno dei primi a studiare la Sicilia islamica, l’ISPI o Istituto per gli Studi di Politica Internazionale e altri, con attività anche diplomatiche di soft power, che spesso hanno preceduto il lavoro della diplomazia ufficiale. O le istituzioni sociali come la creazione a metà degli anni Venti dell’Istituto italiano d’Igiene, Previdenza e Assistenza sociale, diventato poi Istituto per gli Affari sociali (soppresso nel 2010), ideato e diretto dal medico ebreo Ettore Levi. Dal 1923 al 43, i decreti a difesa del lavoro e della salute, quelle che Gandhi ammirò tanto in visita all’Italia, nel dicembre 1931, come, per esempio, “Tutela lavoro donne e fanciulli” (R.D. 653/1923); “Maternità e infanzia” (R.D. 2277/1923); “Assistenza ospedaliera per i poveri” (R.D. 2841/1923); “Assicurazione invalidità e vecchiaia” (R.D. 3184/1923) ecc. Ma non voglio tediare e, soprattutto, non voglio essere tacciata di essere fascista o di “difendere” il fascismo. Qui ci vuole un attimo!
I commenti a Raimo invece erano osannanti e scandalizzati. Fra questi, quelli di uno storico che ha criticato la scelta dei volumi di Vivarelli e De Felice, dicendo che doveva far spazio ad autori più moderni. Lui, presumo. Al che mi è un po’ ribollito il sangue. Una scelta di soli venti nomi, certamente dettata da esigenze editoriali, e vuoi escludere De Felice, che è universalmente conosciuto come il più grande studioso del fascismo. Come se si escludesse il lavoro di George Mosse sul nazismo. Il grande De Felice, che si è dovuto più volte difendere dalle accuse della sinistra e infatti ha dovuto ribadire: “Noi non facciamo moralismo, noi facciamo Storia” (e che gli intellettuali se ne ricordino ogni tanto).
Vivace scambio di opinioni. Lo studioso ribadiva che De Felice è fondamentale solo per chi fa studi accademici. Al che ho obbiettato:
“Mi spiace ma credo che in una mini collana rivolta al grande pubblico De Felice sia imprescindibile. È una risorsa preziosa e alla portata di tutti quelli a cui è rivolta la collana. Come si può escluderlo? Da decenni De Felice è oggetto di critiche e come lei sa meglio di me c’è una demonizzazione degli storiografi che è un misto, a mio avviso, di ignoranza e ideologia. Chiaro che la metodologia storica segue diverse scuole ma, come ha scritto Gaetano Salvemini (fiero antifascista) nella prefazione al suo Mussolini diplomatico (1932): ‘Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti […]’. Ecco, De Felice è più che intellettualmente onesto. È imparziale, per quanto lo si possa essere. Le critiche a De Felice sono state ampiamente superate ed Emilio Gentile, ottimo studioso, non si può certo tacciare di essere uno storiografo di destra. Peraltro lei sa che anche Subhas Chandra Bose è stato demonizzato in Italia e da gran parte della storiografia occidentale perché ‘fascista’. Peccato sia uno dei Padri fondatori della Repubblica dell’India, abbia statue a Kolkata e altre città minori nel Bengala occidentale (e non solo), sia oggetto di splendidi documentari sul canale storico indiano. Statue erette al tempo del governo del Partito del Congresso, di sinistra, non certo dall’attuale BJP. Che voglio dire? Che il tempo umano e le sue ideologie passano, la storiografia e l’opera come quella di De Felice restano. Sono opere filologiche, che si basano sullo studio e l’interpretazione dei documenti, non sono il rimaneggiamento di altre opere. E data la semplicità e chiarezza con cui scrive, oltre alla solidità scientifica, può e deve rientrare in una collana di massa sul Fascismo. Perché ha criticato la scelta di De Felice e Vivarelli, guarda caso un grande studioso che non ha mai ripudiato apertamente la sua scelta di aderire alle Brigate nere, e non altri di scuole di sinistra? O apertamente antifascisti? Ci sarebbe da criticare Indro Montanelli allora, a loro contemporaneo, che grande storico non fu e che, tra l’altro, fu convinto fascista. Forse perché poi ripudiò il fascismo?”
Preciso che la polemica su Montanelli sarebbe scoppiata qualche mese dopo la discussione ma ciò che penso di lui l’ho pensato da subito, quando i meravigliosi Giardini pubblici a Milano sono stati “ornati” all’ingresso da una sua statua, peraltro brutta: fra i nomi illustri milanesi o che hanno vissuto e operato a Milano come Cesare Beccaria, uno dei padri fondatori del diritto penale e della criminologia moderni, che ha scritto contro la pena di morte e la tortura, Bramante che nel 1480 si è stabilito in città lasciando diverse immortali opere, e non parliamo di Leonardo che è già molto presente ma le statue in suo onore non sono mai troppe o di Verdi ma, non so, di Marinetti, che a Milano ha vissuto e fondato il Futurismo, Margherita Sarfatti che, poveretta, è famosa solo per essere stata l’amante del Duce ma in realtà è stata la prima critica dell’arte famosa in tutta Europa, o Giorgio Strehler, che ha fondato un teatro splendido tuttora attivo, faccio solo un manipolo di nomi illustri, tu mi metti Montanelli come simbolo della città? Ma andiamo avanti.
Identica risposta: “Ce ne sono altri dopo”.
Non ho risposto. Ho tagliato corto perché ci sono montagne e fiumi di cose da dire, nomi da citare, scuole storiografiche da menzionare. Ma il punto è che ecco, io sono felicissima che De Felice ci sia. Ha insegnato una cosa agli studiosi di tutto il mondo: il metodo filologico. C’è un’intervista a De Felice realizzata da un altro storico contemporaneo, Michael Arthur Ledeen, che ne ha pubblicato insieme a lui il libretto Fascism: An Informal Introduction To Its Theory And Practice (1976), tradotta come Intervista sul fascismo, pubblicata per i tipi della Laterza (quindi di sinistra), dove è chiarissimo che la storiografia sul fascismo si deve basare sui documenti originali. Basta con le prese di posizione ideologiche. Il lavoro di De Felice è stato paragonato a livello metodologico da alcuni storici illuminati al classico di Palmiro Togliatti Lezioni sul fascismo (Editori Riuniti, 1970). Persino Gaetano Arfé, storico socialista e antifascista, arrestato, ecc., disse che dall’ideologia ci si salva solo con la filologia. Ipse dixit. De Felice fu uno storico filologo.
Ed ecco il secondo e più grande errore di Raimo: criticare anche l’uso dell’immagine di un Mussolini così felice. Aveva un consenso enorme nel mondo, almeno fino all’invasione dell’Etiopia. Nel 1934 Roosevelt mandò in Italia due dei suoi migliori economisti politici, Rexford Tugwell e Raymond Moley, per studiare il miracolo italiano e vedere come far uscire gli USA dalla crisi. Mussolini fu considerato un grande uomo da Tagore, da Churchill, dal padre del Pakistan e fine poeta Allama Iqbal, solo per fare alcuni nomi. E ovviamente non parliamo dell’inteligencija indiana tutta, fino alla guerra d’Etiopia. Amicizie, quelle con i grandi, che finirono male ma che ci furono, e solidissime, fondate sia su un’ammirazione per il carattere di Mussolini sia per le riforme sociali ed economiche. E le folle oceaniche che si riunivano ad ascoltare il Duce non erano preparate, organizzate: erano vere, spontanee. Perché avrebbe dovuto essere infelice?
No, Raimo ha criticato non solo la scelta dell’immagine ma tout court l’esistenza della collana.
Il punto che non va giù è che la serie del Corriere abbia sdoganato il Ventennio per un pubblico generalista, istruito ma non specialista: da “male assoluto” o ghetto per gli storici a oggetto di studio e dibattito. Cosa che francamente sarebbe ora si facesse. Sarebbe ora si uscisse dall’ideologizzare anche lo studio. La ricerca non ha morale, anche e soprattutto quella storica. Ognuno la le sue idee, ognuno legge e fa quello che vuole, ma certi studi basati sui documenti sono imprescindibili. E lo studio del Fascismo, e la lettura di De Felice, lo sono. Come lo è Opera Omnia di Mussolini redatta dai fratelli Susmel. Ma questa, dato che raccoglie quasi tutto quello che lui stesso ha scritto o detto, è davvero per un pubblico di specialisti (vista anche la mole, 43 volumi).
Non sopporto più il moralismo di chi vuole imporre cosa e come si fa ricerca. E se non sei d’accordo o sei fascista, o fascioleghista, o sei oggetto di montagne di attacchi e sarcasmo. Al meglio ti si propinano sermoni e indottrinamenti. Questa dittatura culturale non ricorda qualcosa? Quando parlo di mode storiografiche e di mainstream della cultura, che mortifica gli studi e le università, credo di non sbagliare.
Vorrei avere una cultura e un’informazione libera, fatta di molte voci, senza demonizzarne alcune ed esaltarne altre, filologica, basata sulla completezza dei dati e dei fatti. Solo così possiamo tentare di formarci una nostra idea sul mondo e sviluppare una reale capacità critica. Scegliere da cittadini completi, non indottrinati e non preda di quel o quell’altro totalitarismo, di quel o quell’altro capetto.
O altrimenti diventiamo sardine. Ma chiuse in scatola però.

Piena solidarietà a Enrica Garzilli. Un solo appunto, visto che l’amico Roberto Vivarelli è stato mio docente e a suo tempo, nel 1981, s’impegnò fortemente e con successo presso un altro amico purtroppo scomparso, Federico Codignola, affinché un mio libro, Alle radici della cavalleria medievale, fosse edito presso la casa Editrice “La Nuova Italia”. Sulla sua militanza come giovanissimo soldato nelle forze armate della Repubblica Sociale Italiana Roberto Vivarelli – più tardi storico serio e anche severo del movimento fascista e impegnato nel Partito Socialista Italiano – scrisse anche un libro di preziosa, serena, commovente testimonianza. Ho cercato tale libro nella mia biblioteca di casa, senza successo: il caos vi regna immane. Mi sembra però di ricordare – anche in quanto me ne aveva parlato – che egli non sia mai stato membro delle formazioni paramilitari delle “Brigate Nere” (ch’erano in sostanza espressione dei membri del Partito Fascista Repubblicano volontariamente militarizzati) bensì di una formazione regolare, credo di “fanteria di marina”: forse la San Marco o forse la “Decima Mas”.