Domenica 24 gennaio 2021, Sacra Famiglia
EDITORIALE
VE LO DICEVO IO…
Grande scienziato della politica, Marco Tarchi. Si dice proprio così, in termini accademici ufficiali: “scienziato della politica”; non storico della politica, né politologo, che sono altre cose. Lo so che “scienziato della politica” può sembrare retorico o ironico, ma non è così. Come la scienza delle finanze, la scienza della politica è una disciplina a carattere sistematico, non fenomenologico alla stregua della storia della politica né esegetico alla stregua della filologia.
Ed è alla luce della scienza della politica che Tarchi scrisse alcune settimane fa un saggio breve ma esemplare spiegando perché la prospettiva di una vittoria di Biden fosse peggiore di quella di una vittoria di Trump. Molti la presero per un’esagerazione, altri per una provocazione. Non era così. Tarchi non è un “ragazzaccio”, non ama scherzare sul lavoro (e poco anche fuori da esso) e ama i paradossi solo se apparenti.
Debbo dire – come molti di voi sanno, in quanto è non infrequente che i suoi e i miei interlocutori coincidano – che non sempre siamo dello stesso avviso o sulla medesima “lunghezza d’onda”. Debbo però aggiungere che, di generazioni differenti (ottantenne io, non ancora settantenne lui) abbiamo radici molto simili e condividiamo alquante cose.
In estrema sintesi, e in grossolano consuntivo, Tarchi faceva notare come il brutale e imprevedibile Trump fosse molto pericoloso (che detenesse la famosa “valigetta nucleare” era roba da mettere i brividi) ma anche asistematico, umorale, piuttosto isolato in sede tanto interna quanto internazionale: c’era da aver paura dai suoi colpi di testa, questo sì – che abbia definitivamente regalato a Netanyahu Gerusalemme e praticamente la Palestina non si può certo perdonarglielo –, ma in fondo era solo una variabile inaspettata della tendenza storica del Grand Old Party all’isolazionismo, quanto può essere isolazionista una superpotenza che sa di essere la prima mondo e vuole restar tale… e non illudiamoci con la mitologia “plurilateralista” del buon vecchio Obama, il quale sapeva per primo che gli USA hanno un primato che sarà duro da scalzare e da contrastare, quello militare. Biden è un’altra cosa, argomentava Tarchi: sbiadito finché volete, ma portavoce di un “sistema imperialistico” di segno appunto democratico, fondato sull’interventismo democratico e sulla ferma convinzione che Dio abbia assegnato all’America il ruolo del gendarme mondiale della Verità e della Giustizia e che l’interesse statunitense e l’interesse del genere umano coincidano. Non a caso, da Roosevelt a Kennedy allo stesso “premio Nobel (preventivo) per la Pace”, le guerre americane le fanno i democratici, non i repubblicani. Inoltre, Tarchi segnalava l’“incognita Kamala Harris”, che poi troppo incognita non era (e non è): una pericolosa fondamentalista in grado di proseguire, con maggiori prospettive di successo politico, sulle orme di Hillary Clinton e di Madeleine Albright.
Molto più rozzamente di Tarchi, io aggiunsi a suo tempo che nel nostro futuro non c’era un rischio, bensì purtroppo una triste, paurosa certezza: le elezioni statunitensi del 2020 le avrebbe vinte il Peggiore. Paradossalmente, ma implacabilmente, l’unica possibile risposta era: le elezioni saranno vinte dal Peggiore in quanto sarà il Peggiore a vincerle. Ma chi sarà il Peggiore? Basta aspettare, rispondevo: la risposta la daranno le urne.
Illogico? Provocatorio? Demenziale? Niente di tutto questo. Non esiste un solo modo di essere “peggiori”.
Un Trump vincitore avrebbe significato l’aggravarsi della politica di forzature interne e internazionali, di colpi di testa, di talora contraddittorie prevaricazioni, di populistica ricerca di facili consensi in ambienti dequalificati, di sperimentalismo avventuristico in economia e in finanza, di ostentazioni muscolari in diplomazia: con conseguenze imprevedibilmente rovinose.
Un Biden vincitore, abbiamo già capito che cosa significa: la sistematica ripresa del sogno di un’America coesa e pacificata al suo interno, ormai davvero “nazione”, ma leader nel progressismo dottrinario e utopistico internazionale. Peraltro, al preteso livellamento etnosociale del popolo statunitense non corrisponderà affatto – attenzione – un’effettiva pacificazione etnica o sociale, bensì un inciucio illusorio giustificato da una sorta di ideologia fondata sul “suprematismo americano” travestito da unitarismo di tipo mondialistico il cui dogma inattaccabile e indiscutibile sarà quello degli USA alla guida della pace e della libertà mondiali, con l’individualizzazione sempre più chiara dei Nemici Metafisici, degli Agenti del Male che minacciano l’equilibrio del pianeta. Certo, la propaganda insisterà sulla lotta ecologistica e umanitaristica per l’ambiente, per l’integrazione etnoculturale e socioreligiosa, contro l’inquinamento, contro razzismo e suprematismo eccetera: ma nella pratica l’alleanza tra il governo democratico e il deep state delle corporations continuerà a favorire il distanziarsi della “forbice” tra i super-ricchi in numero sempre minore e la proletarizzazione nonché la sottoproletarizzazione degli USA e del mondo. Biden e la Harris chiederanno all’Europa una collaborazione sempre più stretta, cioè una sua subordinazione sempre più rigida: e l’Atlantico sta già avvicinando le sue sponde, divenendo ogni giorno più stretto, e i governi europei sono complici e succubi di tutto ciò; la NATO si rafforzerà sempre di più e diverrà sempre più pervadente e aggressiva, e tanto peggio per i paesi che, come l’Italia, hanno cercato di seguire una politica antinucleare e si ritrovano adesso zeppi di missili ch’essi non sono abilitati a gestire e che sono puntati contro chissacchì, sul ciglio di guerre future che dovranno combattere senza che li riguardino (pacifisti di sinistra, fatevi sentire! Sovranisti di destra, ora è il momento del “Va’ fuori d’Italia, va fuori o stranier!”).
E il Nemico Metafisico? Il discorso sarebbe lungo, ma basti un’indicazione sintetica. Biden & Co. hanno una bestia nera: il loro demonio è il “triangolo” russo-cino-iraniano, e la crociata contro questo nuovo pericolo è già cominciata. Dove avverrà l’attacco? Occhio alla Siria e al fronte caucasico-eurasiatico, naturalmente; ma qualche sorpresa potrebbe arrivare dall’Africa o dall’America latina. Ve lo dicevo che avrebbe vinto il peggiore. E, quanto al resto, diamoci appuntamento fra qualche mese per controllare che cosa di giusto e che cosa di sbagliato c’è in quest’analisi. Molti politici italiani hanno già mangiato la foglia e si stanno preparando: Renzi ad esempio, ma anche Conte…