Minima Cardiniana 311/4

Domenica 24 gennaio 2021, Sacra Famiglia

NELL’OMBRA DELLA PANDEMIA
UN’INTERVISTA PER TUSCIAWEB
A metà gennaio u.s. mi hanno chiesto un’intervista sul Covid-19 e dintorni. Non che io sia uno specialista in materia: ma in fondo sono un cittadino e un insegnante in pensione. Ne ho approfittato per un esame di coscienza, che sottopongo al vostro giudizio.

Come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette con il Covid?
Grazie a Dio non ho avuto esperienze dirette con il Covid per quanto riguarda me, i miei familiari più stretti e gli amici più intimi. Ma sono stato in qualche modo toccato dalla malattia sia perché l’hanno contratta amici e conoscenti, sia perché ho subìto quelle restrizioni alla mia libertà personale e alla mia attività professionale ch’erano del resto naturali e necessarie in casi come questo.

Con la pandemia è nata una nuova e inedita normalità? Come si immagina il futuro?
Un proverbio arabo (che ha naturalmente un suo analogo perfetto in siciliano) dice: “Quando soffia il vento, fatti canna”. Ed è, come tutti i proverbi, vero solo a metà: perché la canna col vento è bene si pieghi, se non vuole spezzarsi; ma quando il vento è passato, riassume la sua naturale posizione. È questo che, nelle cose storiche e che riguardano gli esseri umani, non va: perché dalle esperienze si deve imparare. Ora, io non so che cos’accadrà nelle altre parti del mondo, ma a giudicare da alcune reazioni che si sono già avute tra la gente – e che difatti hanno immediatamente procurato dei guai – mi sono rafforzato nella mia convinzione che gli occidentali in genere (con molte differenze tra loro) gli italiani in particolare dall’esperienza della pandemia non hanno imparato niente. Sono rimasti individualisti, egocentrici, egoisti, indisciplinati, incuranti del bene e dell’interesse altrui, insensibili a quello che una volta si chiamava il “bene pubblico”, desiderosi di riprendere al più presto tutte le loro abitudini a partire dalle peggiori, refrattari a qualunque principio di solidarietà e di sobrietà. Se ciò non fosse stato, saremmo usciti probabilmente prima da un’epidemia nella quale siamo invece ancora immersi fino al collo. L’idea di libertà che la maggior parte degli italiani ha in mente sembra essere un’idea insofferente e irrispettosa della libertà altrui, soprattutto priva del senso del limite: la libertà vera, che per forza di cose è limitata, si salvaguarda solo con la disciplina, che si deve imparare fino da giovanissimi affinché divenga un’abitudine naturalmente seguita. La società italiana, dagli inizi del cosiddetto consumismo – quindi dai primi Anni Sessanta – ha smarrito questi valori civici, che s’imparavano in famiglia, nella scuola, in chiesa e anche nei partiti politici e che si traducevano in termini di senso del dovere e di rispetto per gli altri. Non a caso tre dei quattro elementi che ho nominato come pilastri della società (famiglia, scuola chiesa; si potrebbe aggiungere il servizio di leva obbligatorio) sono scomparsi o in grave crisi, e il quarto si è irrimediabilmente deteriorato. La nostra società ormai è nella situazione di un malato cronico che si è trascurato per decenni: ormai, per guarire, sarebbe necessaria solo una cura molto drastica. Non la vedo all’orizzonte e non sono nemmeno sicuro che a questo punto l’augurerei.

Farà il vaccino?
Il vaccino è utile a se stessi e agli altri. Per quanto mi riguarda – e con la riserva di novità cliniche tali da sconsigliarlo: ma debbono essere novità chiare e comprovate, non voci messe in giro su qualche web incompetente e irresponsabile – farò il vaccino perché ho passato gli ottant’anni, sono in sovrappeso, ho la pressione alta e sono reduce da un embolo polmonare contratto un anno e mezzo fa. In quanto appartenente a una categoria a rischio, ho il diritto di vaccinarmi presto (ma sia chiaro che, nonostante conti quattro o cinque primari ospedalieri fra i miei più cari amici, non farò nulla per passare avanti a nessuno perché ritengo che al mondo ci siano due cose sacre e inviolabili: i doveri propri e i diritti altrui). Per quanto riguarda gli altri, entriamo appunto nel campo dei doveri: mi vaccinerò non tanto e non solo per mia salvaguardia, quanto perché non voglio in alcun modo nemmeno pensare di poter esser causa – magari come “portatore sano” – di malattie contratte da altri direttamente o indirettamente per causa mia.

Come ha passato il Natale?
Con un’amica che mi ha ospitato nel suo appartamento a Genova, ch’è una grande casa dov’è custodita la stragrande maggioranza die miei libri, molte migliaia di volumi. Così ho potuto lavorare. Se avessi potuto, avrei festeggiato come sempre con le figlie, i nipoti e il gatto. Ma quest’anno gli assembramenti erano vietati.

Come giudica l’azione del governo Conte? E Salvini, Meloni e Berlusconi?
Conte è arrivato alla politica per caso, ma ha saputo reagire con una certa misura e abilità alla “fortuna” (o “sfortuna”?) di essersi dovuto improvvisare premier in un momento difficile come non se ne vedevano da anni. Certo, la sua condizione di studioso e di pubblico funzionario lo ha aiutato. Ignoro se e chi, fra i politici di lungo corso e i nuovi politici rampanti che infestano i due rami del parlamento, avrebbe potuto e saputo far meglio. Il suo handicap fondamentale è quello di non avere un sostegno politico forte alle sue spalle. D’altronde, una crisi di governo in un momento come questo non era comunque auspicabile: in tempi difficili un governo, salvo ragioni estrema, dev’esser lasciato governare. Questa crisi di governo non era opportuna, per quanto certo le misure correlative ad esempio al recovery fund non siano state né felici né adeguate (e ciò non è stata certo responsabilità di Renzi, al quale si è cercato di addossare la totalità della colpa della crisi). Ora Conte si è guardato intorno, ha paragonato al sua precedente condizione di professore a quella attuale di premier e senza dubbio farà di tutto per restare in politica: lo comprendo e gli auguro ogni bene, ma non credo lo aspetti comunque una vita facile. Per gli altri: Salvini è intelligente ma – per quanto ormai sia da molto tempo in politica – è rimasto un dilettante che naviga a vista, ha evidentemente buona presa sulla gente ma poco respiro culturale: ciò è un handicap perfino in Italia e poca cultura specificamente politica, spera solo nella ripresa dopo il Covid della causa unica della sua fortuna politica, vale a dire la questione dei migranti e la cattiva informazione che l’accompagna e che rende impossibile una buona gestione di essa: ma Salvini da tutto ciò conta solo di ramazzare voti; desidera di continuar a cavalcare la tigre; gli auguro di non scoprire che la tigre è un somaro. Stimo Giorgia Meloni, in senso assoluto la personalità politica migliore tra i leaders del nostro quadro odierno, anche se per molte ragioni non può esprimersi appieno: è evidentemente una che prende sul serio il suo ruolo e le sue responsabilità, che s’informa, che legge I documenti. Non condivido tutte le sue posizioni ma ritengo che la maggior parte delle mie divergenze rispetto a lei dipenda da scelte che lei preferirebbe non fare nella direzione in cui invece le fa, ma che sia costretta a farle perché – un po’ come tutti I politici: ma forse più di altri – è prigioniera di due carcerieri implacabili. Primo: il suo partito, i quadri del quale sono per lo più (ma non voglio generalizzare) fatti di gente bécera, poco preparata, piena di pregiudizi e interessata solo ad arrivare presto alle elezioni perché si sente sulla cresta dell’onda e vuol incassare più voti e quindi più potere possibili. Secondo, e per lei purtroppo inevitabile e rovinoso: un “peccato originale” di cui non ha alcuna colpa, ma che è costretta a portare come una croce. Le sue origini politiche, che la tengono di continuo “sotto schiaffo”, mediaticamente ricattabile da parte di chiunque. Lasciate crescere Giorgia Meloni (la quale, essendo una persona intelligente, è la prima augurarsi di non crescere più di tanto), e siate certi che prima o poi qualcuno ricorrerà contro di lei alla ricetta magica con la quale si tarpano le ali a tutti quelli che hanno accettato l’eredità che ha accettato lei. Qualcuno le tenderà una trappola politico-istituzionale, l’accuserà di aver vilipeso la Resistenza o negato la Shoah, monterà contro di lei un “caso”, scatenerà i media o la “piazza”, creerà uno dei tanti incidenti che i nostri servizi sono in grado di organizzare quando vogliono come in tutti I paesi del mondo. Lei lo sa, ed è perciò accortissima e prudentissima: però in casi estremi non ce la farebbe. Non dico – intendiamoci – che accadrà fatalmente. Dico che potrebbe accadere e che lei lo sa benissimo: per questo cerca di mantenere un profilo relativamente basso, di non far mai la primadonna. Di Berlusconi è inutile parlare: gli auguro altri cento anni, ma vorrei che novantanove di essi li passasse in una bella vila in Sardegna o in Brianza o dove vuole, ma finalmente lontano dalla politica. Il fatto è che quel che resta di Forza Italia si squaglierà con lui: e ciò in parte anche per colpa sua, visto il suo genio perverso nel farsi il vuoto intorno per evitare chiunque gli facesse ombra (e, vista la sua altezza, gliela fanno quasi tutti).

Tutti parlano di “straordinarietà” storica del Covid-19, ma nel passato abbiamo esempi di altre epidemie come la Peste e la Febbre spagnola. Quali sono – se ci sono – le analogie e le differenze tra questi eventi?
Analogie: la meccanica storico-antropologica, che si riscontra dalla “peste di Atene” (o di Pericle) del V secolo a.C. fino a tutte le altre pandemie: quella “antonina” del II sec. d.C., quella “di Giustiniano” del VI sec., la Morte Nera del 1347-52, la peste che noi chiamiamo “dei Promessi Sposi” tra 1630 e 1631, quella del 1720, quindi le molte di tifo o di colera e la “spagnola del 1919. La meccanica analogica è questa: prima fase, voci lontane e indistinte di un contagio lontano alle quali nessuno presta fede; seconda fase, il contagio si avvicina e se ne vedono i primi risultati generali e deleteri, allora si viene invasi dal pànico e nascono anche leggende “complottistiche” varie sulla sua natura ed eziologia nonché sulle responsabilità divine o umane che lo hanno favorito; terza fase, il contagio investe la società con effetti devastanti ma gradualmente s’impara a gestirlo e ad evitarlo, mentre avanza l’immunizzazione di gregge; quarta fase, il contagio si spegne o si ritira in aree demograficamente appartate dove magari i continua a imperversare ma in modo endemico. Nella pratica, fino dai tempi della “rivoluzione agricola” (in area microasiatico-mediterranea durante l’età del bronzo, circa 10.000 a.C.) l’epidemia non ha mai cessato di circolare nel genere umano, mantenendo però un livello endemico salvo conoscere, per motivi diversi e in fondo ignoti, occasionali “picchi” pandemici.
Differenze: sono di due tipi, il primo legato alle comunicazioni di esseri umani, informazioni, merci e idee, ormai diventato rapidissimo (e il contagio viaggia con tutto il resto); il secondo connesso con le conoscenze diagnostiche e terapeutiche, ormai molto avanzate anche rispetto alle crisi pandemiche più prossime a noi.

Come è possibile che, nonostante siano passati secoli, la soluzione a situazioni del genere rimanga sempre la stessa, ovvero l’isolamento?
La prima evidenza di questo tipo di malattie, immediatamente coglibile a livello di esperienza, è il contagio. Del resto, l’isolamento è la prima immediata forma di difesa che noi conosciamo rispetto a qualunque tipo di pericolo. Gli effetti benefici dell’isolamento in caso di epidemia sono subito evidenti, il che fa sì che tale esperienza non venga mai dimenticata né messa da parte. Solo il moderno “pregiudizio democratico” ha consentito al circolazione a livello addirittura di massa di un’idiozia del tipo che tutto ciò lede il nostro “diritto” alla “libertà”. La necessità perentoria non conosce alcun diritto né alcuna libertà.

Cosa pensa delle teorie complottiste o negazioniste rispetto al Covid-19? Posizioni del genere sono figlie del ventunesimo secolo e del caos informativo in cui siamo immersi, o si sono registrate anche in occasione di pandemie passate?
È sempre accaduto che dinanzi a sciagure di cui non si conoscano le cause affiorino tesi o ipotesi sovente fantasiose, spesso pseudo-logiche. A spargere l’epidemia è il “Nemico”, che ci vuole male; in altre epoche si accusavano alcuni dèi o il diavolo; poi si è passati agli estranei-nemici: gli ebrei, i saraceni, le streghe; e così via, fino ai “comunisti cinesi”…

Secondo lei il Coronavirus potrebbe stimolare, come effetto positivo, la fratellanza, la solidarietà e la capacità di ritrovare sé stessi? Come è cambiato il modo di vedere noi nel mondo e nel rapporto con gli altri?
Ha ragione il papa: “dovrebbe” farlo; sarebbe giusto e naturale lo facesse. Ma forse, per questo, dovrebb’essere più duro e radicale di quanto non sia stato. Quindi in fondo c’è da esser contenti che la pandemia non sia stata così terribile da guarirci dai nostri mali morali.

Lo stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura… Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?
Lo stato “di diritto” è sempre in pericolo, in quanto non si basa su nulla di naturale, di fisiologico, bensì solo su convenzioni. Noi rischiamo di perdere la libertà personale o di gruppo esattamente come rischiamo di perdere la salute: qualora vengano meno quei valori etici e istituzionali che ci salvaguardano. D’altronde, lo stato agisce come un vaccino, che inocula nel nostro organismo un po’ di malattia per immunizzarci. Lo stato inocula un po’ di “principio di illibertà” o “di costrizione” nel nostro organismo civile, quanto basta da produrre gli anticorpi contro il rischio di un generalizzato disordine che sarebbe deleterio alle istituzioni pubbliche e alle strutture civili. Kant ci ha insegnato tutto ciò con l’apologo della colomba, che si libra nell’aria ma è indispettita perché essa le oppone resistenza. Ma l’animaletto ignora che se non ci fosse l’aria esso non solo non potrebbe volare, ma nemmeno vivi. Noi siamo insofferenti delle leggi e pensiamo che vivremmo meglio senza: ma se non ci fossero il mondo diventerebbe invivibile.

Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?
Se non porremo mano a soluzioni istituzionali adeguate (e personalmente sono convinto che non lo faremo) a pagare saranno come al solito gli “ultimi”, i più deboli, quelli poveri di mezzo e privi di cultura che non sapranno come rispondere all’emergenza. Chi ha mezzi e potere saprà difendere al meglio se stesso, ma non è detto che estenda i privilegi dei quali gode grazia ella sua condizione a chi non li detiene. A meno che l’emergenza non produca un forte e profondo movimento innovativo che – dopo un certo periodo di fatali disordine e difficoltà – conduca a un modo di diversa gestione della cosa pubblica e dei beni.

Il Covid è una rivincita della natura sull’uomo? È stato una sconfitta della scienza? La tecnologia, soprattutto in occidente e nel nord est asiatico, ci aveva illuso di aver posto una grande barriera culturale tra l’uomo e la natura…
Né la scienza né la tecnica ci hanno illuso, né quindi traditi. Ci ha illuso il moderno pregiudizio secondo il quale l’uomo è onnipotente e, confidando nelle sue forze, può diventare perfino immortale. Ci ha traditi il nostro “sovranismo umanitario”, il nostro pregiudizio di libertà assoluta e di assoluta autosufficienza. Ci ha traditi il nostro individualismo assoluto, il nostro pregiudizio secondo il quale nulla c’è sopra o attorno a noi che non possiamo soggiogare. Se l’epidemia proveniva da Dio o dalla natura, noi abbiamo decretato che il primo non esiste e la seconda è soggiogabile. Ecco qua la conseguenza delle nostre illusioni, della nostra “Perdita del senso del limite”.

Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia? Il Covid può essere considerato uno spartiacque? Uno di quegli avvenimenti per cui – come guerre e grandi scoperte – si crea una netta separazione tra il “prima” e il “dopo”?
Il pianeta sta cambiando, molti nodi stanno venendo al pettine, su molte cose bisogna rivedere il nostro rapporto con la natura, con l’ambiente, con noi stessi e le nostre strutture sociali, col nostro modo di ripartire le ricchezze. Diciamo che il processo di mutamento future è appena cominciato; o, se preferite, che non si è mai arrestato ma che ha conosciuto fasi di ristagno mentre ora stiamo affrontando una nuova fase di accelerazione; o, se volete lasciar da parte gli eufemismi, che il peggio deve ancora venire e il meglio non è impossibile, ma non è affatto sicuro.

Come valuta i cambiamenti nel mondo dell’informazione? E in quelli dello spettacolo e della cultura?
Il perno di tutto è la cultura: che non è solo informazione, non è solo educazione, non è solo erudizione: ma che è anzitutto metodo nel saper raccogliere i dati relativi a quanto ci circonda e capacità di sapersi mettere in discussione. Noi abbiamo passato un lungo periodo di contraddizione: da una parte scienza e tecnica sono divenute sempre più complesse e bisognose quindi di studio sempre più generalizzato, disciplinato e rigoroso; dall’altra il benessere, la libertà individuale, la disponibilità di mezzi ci hanno illusi che tutto potesse conseguirsi facilmente e che tutto fosse alla portata di tutti, mentre un equivoco politico (che molti hanno chiamato “democrazia”) ci ha ispirato il falso principio che ciascuno di noi avesse tutti i diritti e nessun dovere e che la gerarchia umana dei saperi e dei poteri non esistesse.

Quale è stata per lei la lezione del Covid?
L’essere umano è nato per combattere. Lo dice il libro di Giobbe: Militia est vita hominis super terram. Ma quando una società rinunzia uno per uno ai propri miti, ai propri ideali, ai propri valori, e resta un insieme d’individui che credono solo nel “diritto” alla libertà individuale e al benessere, all’arricchimento fine a se stesso, a un messianismo economico-finanziario e tecnologico secondo il quale tutto è destinato ad andare sempre meglio e i suoi componenti perdono intanto il loro legame con la realtà fino a dimenticarsi perfino di essere mortali, o a esorcizzare la morte con ridicoli rituali d’immortalità e di eterna giovinezza, allora quella società è condannata.
Il Covid forse non ci ha insegnato nulla. Quel che avrebbe dovuto insegnarci avrebbe dovuto essere anzitutto il senso del limite e della misura, secondo il quale nessuno è immune da nulla, nessuno è immortale. Quindi avrebbe dovuto insegnarci a ritrovare noi stessi non come individui ma come persone: e la persona si definisce attraverso le sue relazioni, è un fatto per sua natura solidale e comunitario. E noi avremmo dovuto imparare da lui una lezione severa, che ci riconducesse a vivere e a pensare a misura d’uomo.