Domenica 24 gennaio 2021, Sacra Famiglia
LIBRI LIBRI LIBRI
LE CROCIATE DOPO IL TEMPO DELLE CROCIATE
Da quando, qualche mese fa, ho compiuto ottant’anni, sto molto attento a non far scivolare degli amarcord nelle cose che scrivo: so bene che si tratta di uno dei più tipici, patetici (e se vogliamo ridicoli) sintomi di senescenza ai quali gli anziani studiosi indulgono.
D’altronde, talvolta l’amarcord diventa utile testimonianza. E allora, quando ci vuole, ci vuole.
Le crociate. Mi perseguitano da decenni: e io perseguito loro. Da ragazzino, mi facevano leggere la Gerusalemme del Tasso e il Talismano di Walter Scott, mentre le “sante imprese” mi perseguitavano dal cinema (ci si metteva perfino Cecil De Mille!) ai banchi di scuola.
Poi però, all’università, ci presi gusto: e difatti da una sessantina d’anni sono il mio privilegiato oggetto di studio. Non che allora, nell’università di Firenze degli Anni Sessanta, m’incoraggiassero a prendere quella strada: al contrario. Allora, si diceva, esse erano un argomento ormai desueto, che contava pochissimi e attardati apologeti mentre il grosso della critica storica al riguardo si divideva in due campi: alcuni “laicisti” ostinati nella denunzia contro le imprese guerriere ispirate “all’intolleranza”, che per la verità davano l’impressione di sfondare una porta aperta; e la stragrande maggioranza che aveva ormai adottato un riduttivo passepartout esegetico di sapore marxiano e che, nelle guerre medievali contro gli infedeli, scorgeva solo un’occasione “sovrastrutturale” della società mercantile europea tra XI e XV secolo per impadronirsi delle rotte marittime e dei porti mediterranei; salvo quando alla fine del Quattrocento arrivarono i turchi ottomani e allora di dovettero rispolverare le “sante imprese” a scopo difensivo.
Ma negli ultimi decenni il clima è cambiato. Non solo le crociate hanno conosciuto una nuova rigogliosa giovinezza come tema di studio, ma si sono ampliate e affinate. Si è andati scoprendo che già dal XII secolo vene furono alcune dirette non più alla conquista o alla difesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme oppure a combattere i saraceni di Siria e di Spagna, ma anche altre dirette contro i pagani slavi e baltici del Nordest europeo per ampliare i confini religiosi ed economici della Cristianità, poi una (la quarta, 1202-1204) maldestramente diretta addirittura contro la cristianissima Bisanzio, poi altre bandite contro gli eretici (catari in Francia nel XII secolo, hussiti in Boemia nel XV), e altre ancora addirittura contro i nemici politici del papato quali Federico II, Ezzelino da Romano e i Visconti di Milano.
Non solo: ci siamo resi conto che la crociata, un tempo sinonimo di medioevo, era stata rigogliosissima invece durante l’età moderna: contro i turchi ottomani (Lepanto nel 1571, Vienna nel 1683, la penisola balcanica in quasi tutto il Settecento), ma poi anche contro vari obiettivi, dalla Francia giacobina fino alla Spagna del 1936-39 e oltre. Insomma, il Novecento risuona di revivals crociati quasi sempre ambigui, però altisonanti e convinti.
Come mai eravamo stati così distratti, nel secondo dopoguerra, dall’aver “dimenticato” (oppure obliterato…) queste nostra vecchia, forse scomoda compagna? Il fatto è che nel 1979, quasi d’un tratto (avvisaglie ce n’erano state anche prima: però noi eravamo “distratti”), la “rivoluzione islamica iraniana” sembrò rimettere tutto in discussione. Furono allora in molti a gridare – un po’ indiscriminatamente, d’accordo – al nuovo pericolo musulmano; e l’onda “neocrociata” andò montando son le due guerre del Golfo, l’11 settembre 2001, la desert storm, mentre neoconservative e teoconservative (e da noi anche qualche cattolico duro-e-puro) soffiavano sul fuoco. Invano gli studiosi – che del resto a loro volta si erano giovati, per il progresso delle loro ricerche, di questo ritorno di popolarità – si sgolavano a spiegare che le crociate “vere”, quelle “storiche”, erano tutt’altra roba: venivano ignorati o trattati da “filomusulmani”, mentre grandi e piccoli schermi venivano invasi da curiosi “crociatisti della domenica” intenti a lanciare nuovi Dio lo vuole! Contro l’Eterno Pericolo Islamico.
Una sistemazione critica ci voleva: e, a livello episodico oppure in àmbito specialistico, ce ne sono state a onor del vero parecchie. Mancava però un serio libro di sintesi, scritto da uno specialista autorevole, che una volta per tutte mettesse le cose in ordine. Certo, per i media e il “grosso pubblico”, non basterà: ma sarà comunque qualcosa.
Daniele Menozzi, ben noto e stimato specialista della storia del cristianesimo e della Chiesa, ha affrontato sistematicamente questo vasto e articolato problema nel volume “Crociata” (Roma, Carocci, 2020), arcidocumentato sì ma – lasciatemelo dire – si legge come un romanzo; e che è perfino divertente, per quanto qua e là ci lasci con la bocca amara.
È la storia d’un lungo, reiterato gioco degli equivoci; di una continua mistificazione. Dalla cultura controrivoluzionaria del primo Ottocento in poi, con un continuo abilissimo spostamento di piani che va dalle guerre coloniali alle imprese dei volontari francesi del 1870 (gli “zuavi”) in difesa della Santa Sede alla guerra italoturca del 1911 al teatro palestinese della prima guerra mondiale fino alla Cristiada messicana del 1926-29, alla guerra civile spagnola del 1936-39, alla “crociata anticomunista” dell’aggressione nazista all’Unione Sovietica fino alla “crociata in Europa” del generale Eisenhower e alla Crusade for Freedom di George W. Bush in Iraq, gli ultimi due secoli hanno risuonato di rinnovati appelli al Dio lo vuole! Di Pietro l’Eremita: con toni a volte inaspettati altre grotteschi altre ancora tragici. Menozzi riesce bene a reggere il timone, ma deve continuamente destreggiarsi tra forze “crociate” magari contrastanti fra loro (controrivoluzionari francesi e “carlisti” spagnoli, colonialisti di vario tipo e predicatori theoconservative) e contro i loro avversari, che talvolta non sono meno pittoreschi.
Certo, dal punto di vista dei vertici cattolici, si è cercato di mantenere la calma e di ristabilire l’ordine. Già Pio XI e Pio XII avevano negato “brevetti di crociata” a chi andava volontario in Spagna a combattere insieme con Franco o in Russia contro Stalin (e neppure contro Hitler, del resto). Menozzi però, da studioso cattolico, non è del tutto soddisfatto. Giovanni Paolo II provò ad arginare gli eroici furori di cattolici anticomunisti o antimusulmani che sventolavano nuovi vessilli crociati, ma ce la fece a metà; Benedetto XVI fu ancora più incerto, forse perfino un po’ ambiguo. Bergoglio finalmente è partito in quarta, ha ricordato l’esempio di san Francesco ospite del sultano, ha dichiarato che nel nome della fede si debbono fare pace e giustizia (anche sociale), non guerra. Ce l’ha fatta? Macché. Gli hanno dato del comunista e del filomusulmano.
Ma vediamo di andar anche un po’ oltre questo bel libro, che chiarisce tanti dubbi e mette a posto tante idee per quanto io personalmente (come si accorgerà chiunque avvicinerà con attenzione queste pagine conoscendo anche le mie tesi al riguardo) mi permetta qua e là di non essere del tutto d’accordo con i pareri dell’amico Menozzi.
A questo punto dovrei rimandare a molte cose da me in passato o di recente scritte: col pericolo di far la parte del solito pedante parruccone accademico o del vecchio vanesio, come qualcuno mi ha definito (eh, sì: come diceva mezzo secolo fa Caterina Caselli, “C’è già tanta gente che ce l’ha su con me – chi lo sa il perché…”); oppure scrivere seduta stante a mia volta un trattatello, e a parte il fatto che ci vorrebbe troppo tradirei il mio scopo, perché questa è la recensione di un libro altrui.
Mi dedico allora a qualche rapida, sintetica e forse rapsodica considerazione.
A differenza di quello che pensava Hannah Arendt, non sono solo i regimi totalitari che hanno bisogno di un Nemico Metafisico: pare che ne abbiano anche le democrazie o quelle che si ritengono tali. Basti pensare a un abbastanza recente e alquanto delirante documento del Parlamento europeo sull’equivalenza tra fascismo e comunismo. È ovvio che non parliamo dei nemici ordinari, di quelli che tutti possono avere per i motivi più vari e che magari prima erano amici e poi tornano a esser tali. Parliamo del Nemico con la maiuscola, il male incarnato o un suo emissario, quello che si pensa come inumano/disumano o che si crede o si vuol presentare come tale. Nell’epoca tardomedievale e protomoderna gli eretici e le streghe. Nella cultura europea degli ultimi due o tre secoli il massone, il gesuita, il giacobino, il reazionario, il selvaggio, il terrorista, il capitalista, l’usuraio, l’ebreo, il fascista, il nazista, il comunista, il fondamentalista musulmano: tutti questi tipi storico-antropologici pensati non nella loro realtà e nel loro contesto storico, bensì archetipicizzati e mitizzati. Finché ci sono state le crociate – comunque venissero chiamate, tra XI e XVIII secolo e magari in un certo senso anche prima e dopo (oggi negli Stati Uniti ci sono forsennati theoconservative che guardano alle aggressioni contro qualunque obiettivo musulmano odierno come a vere e proprie crociate) – molti hanno considerato la crociata come una guerra santa e i musulmani come un Nemico metafisico: trasfigurando effettivi, limitati e tutto sommato nemmeno sempre gravissimi scontri militari in Guerre Apocalittiche. Quei Nemici là, pensati per cementare una società o per far trionfare una formula religiosa o sociale, erano in realtà magari nemici effettivi, quindi limitati nel tempo nello spazio e nelle caratteristiche di pericolosità. Ma un Nemico Metafisico, un Nemico assoluto, nella realtà storica si può solo inventare.
I musulmani in effetti non lo erano.
Come veniva in passato percepita la civiltà araba in Europa? E i turchi?
Con molti equivoci e con una dinamica interna ardua a descriversi in poche parole (rimando al mio Europa e Islam. Storia di un malinteso, Laterza). Per esempio nei secoli XI-XIV i dotti, i teologi, ritenevano l’Islam un’eresia cristiana (è il pensiero di Tommaso d’Aquino e di Dante), i poeti epici e i loro auditorii pensavano ai musulmani come a pagani, a mostri, a demoni, i pellegrini e i mercanti ne avevano una percezione più precisa e umana e spesso ne disegnavano ritratti positivi, i romanzi cavallereschi ne fecero spesso degli eroi cortesi e valorosi. Questo per il mondo arabo o arabofono o arabopersiano o araboberbero. Per i turchi il discorso cambia. I dotti sostenevano che in quanto discendenti dai troiani (teucro e turco si facevano sinonimi, anche per la residenza in Asia Minore) i turchi, i romani (discendenti del teucro Enea) e i franchi erano popoli imparentati fra loro, ma fra Quattro a Settecento i turchi ottomani e i loro sudditi barbareschi facevano paura (“Mamma li turchi!”). Intanto però il turco, dal Settecento in poi, diveniva anche un interessante partner di affari e di scambi diplomatici (alleato di solito dei francesi) e un affabile e talora divertente coinquilino del mondo mediterraneo (si pensi al Goldoni, a Voltaire, a Mozart, a Rossini).
Ma la crociata, nata nell’XI secolo (quando ancora però nessuno a chiamava così) come “merce d’esportazione”, venne presto riadattata a un “uso interno” occidentale. In che modo?
Anzitutto perpetuando e rivivendo l’idea della crux cismarina, quella contro i (“cattivi”) cristiani: quindi i pagani del nordest europeo, i catari, i nemici politici del papato; poi nel Rinascimento i protestanti (si pensi alle guerre degli irlandesi e scozzesi stuardisti contro gli inglesi ortodossi e i presbiteriani); nel Nuovo Mondo, contro indios e native americans; durante o dopo la Rivoluzione francese, contro i giacobini (si pensi ai guerriglieri vandeani, ai sanfedisti del cardinale Ruffo, ai carlisti delle guerre civili spagnole tra Otto e Novecento, ai cristeros messicani, ai volontari zuavi accorsi nel 1870 a difendere il papa contro i piemontesi). In Spagna nel mondo dei nacionales durante la guerra civile del 1936-39 si parlò di santa cruzada; si tornò a usare il termine anche al tempo dell’invasione nazista in Unione Sovietica, per quanto Hitler personalmente non lo gradisse granché; per contro, Eisenhower parlò di una “crociata in Europa” contro i nazisti. Di crociata parlarono alcuni ambienti politici e militari statunitensi, neocons e theocons, all’indomani dell’11 settembre 2001 in un indiscriminato e pericoloso delirio antislamico.
L’idea di crociata la ritroviamo perfino nel canale di Suez. A due livelli: translato da parte degli ingegneri francesi saintsimoniani di Napoleone III tra Anni Cinquanta e Anni Sessanta, che ritenevano di essere impegnati in una crociata laica per la vittoria della libertà, della scienza e del progresso; e specifico, ma retorico e sviante, in ambienti francesi e inglesi del 1956 che nella loro goffa pubblicistica camuffavano la guerra d’aggressione contro l’Egitto nazionalista e socialista di Nasser da crociata antimusulmana. I primi erano generosi illusi; i secondi spregevoli bugiardi.
E così potremmo arrivare fino ai giorni nostri e a pittoreschi ambienti tanto americani quanto italiani e perfino vaticani. Ma non è che, tutto sommato, ne valga granché la pena.
Daniele MENOZZI, “Crociata”. Storia di un’ideologia dalla Rivoluzione francese a Bergoglio, Roma, Carocci, 2020, pp. 234, euri 23 (“Frecce”, 309).