Minima Cardiniana 316/2

Domenica 28 febbraio 2021, II Domenica di Quaresima

EDITORIALE
RICOMINCIAMO DAL CONGO…
La cosa più dolorosa, a parte il cordoglio di tutti per la scomparsa così violenta dell’ambasciatore Luca Attanasio, è lo spettacolo del quale la TV ci ha mostrato qualche spezzone di un Congo devastato e impoverito e quello dello spiegamento inutile, costoso, irritante per un verso e inutile per l’altro, dei “caschi blu” delle Nazioni Unite, armati fino ai denti e visibilmente disorientati.
Ma non tutto il male viene per nuocere: a un prezzo troppo alto, è vero. Con la morte del nostro ambasciatore, i media hanno cominciato ad accorgersi del Congo. Quando fra 1966 e 1967 io feci il mio servizio militare di complemento come sottotenente d’aeronautica, l’arma cui appartenevo era ancora in lutto per l’eccidio di un intero reparto di nostri avieri. La crisi congolese durò cinque anni, dal ’60 al ’65, dopo che nel 1959 il Belgio aveva abbandonato precipitosamente la colonia. Da allora, la situazione si è andata ulteriormente complicando in quello che era diventato lo Zaire/Repubblica Democratica del Congo, con la sua capitale di Kinshasa, ex Léopoldville. Nel maggio 1997 era stato rovesciato il regime di Mobutu e, con Kabila, il paese aveva assunto di nuovo la denominazione di Repubblica Democratica del Congo abbandonata nel 1971; ma nel gennaio del 2001 Laurent Kabila, colui che aveva rovesciato Mobutu, venne ucciso e il potere passò per acclamazione a suo figlio Joseph. Nel 2019, dopo che ormai dall’inizio del secolo le province dell’est della Repubblica Democratica del Congo erano preda di violenze da parte di gruppi armati dai contorni politici ed etnologici molto fluidi, si aprì la campagna elettorale per trovare un successore a Joseph Kabila; il 25 gennaio di quell’anno è stato eletto Félix Tshisekedi. La situazione è però ormai quella non già di un conflitto, ma di molti conflitti intrecciati fra loro. Dal 2010 la Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Repubblica Democratica del Congo (MONUC) era stata ribattezzata Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) – badate che non scherzo –, che continua a presidiare il paese nonostante la protesta delle forze politiche locali ma con scarso successo; e continua a fare quel che ha sempre fatto, la custode degli interessi delle lobbies che dissanguano il paese con la complicità del governo di Kinshasa e dei governi delle ex potenze coloniali che hanno dominato il Congo prima della sciagurata “decolonizzazione” che dal punto di vista economico, finanziario e tecnologico non c’è mai stata. È evidente che le responsabilità del disordine del paese risalgono al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, evidentemente occupato a difendere nel paese gli interessi delle multinazionali occidentali che ne sfruttano suolo e sottosuolo; ma adesso che la Cina è massicciamente entrata nel nòvero degli sfruttatori, il che evidentemente non piace né a statunitensi, né a francesi, né a inglesi (gli altri tre partners del Consiglio; il quinto è la Russia), i media occidentali hanno cominciato a parlarne. È auspicabile che si proceda oltre e che si approfondisca: perché l’Africa è ormai il nodo di molte cose, a cominciare dal problema delle migrazioni; e finché non si comincia a individuare l’identità dei responsabili ultimi della situazione, che guadagnano dal caos, puntare il dito sui guerriglieri – compresi i fondamentalisti di “Boko Haram” – non serve a nulla. Quando il dito indica la luna, l’imbecille guarda il dito. Ma ci sono forze interessate a far sì ch’egli continui a comportarsi in tal modo.