Minima Cardiniana 316/3

Domenica 28 febbraio 2021, II Domenica di Quaresima

POPULISMO: IL RANCORE DELLA MODERNITÀ
Premetto una cosa che chi segue i Minima Cardiniana ben sa: non sono un politologo, sono molto d’accordo con l’amico Marco Tarchi il quale, mentendo pietosamente, sostiene che sono uno buono storico (magari!), ma aggiunge che come politologo faccio schifo. Ho il dovere di correggere il suo troppo generoso giudizio: sono così incompetente in materia che non ho mai preteso d’intendermi di politologia. Lascio la materia ai competenti, tra i quali in prima fila c’è appunto lui. Specie dell’argomento di cui sto per parlare, il populismo. D’altronde, capitò molti mesi fa che il giornalista Filippo Romeo mi estorcesse un’intervista proprio su questo tema: essa fu pubblicata in www.vita.it il 5 dicembre 2017. Allora, il fenomeno era in crescita. Oggi è in crisi: che cos’è rimasto di valido e che cosa invece era ballato in quell’intervista di allora? Alcuni amici mi chiedono di ripubblicarla, o forse mi sfidano a farlo. Per prudenza, dovrei rifiutarmi. Ma, come sa chi mi segue, il mio incrollabile principio è che ciascuno di noi deve rimettersi in discussione. Prono/proviamo quindi a rileggermi: a imparare qualcosa sarò senza dubbio io per primo. Una sola raccomandazione: tenete conto che questo colloquio ebbe luogo oltre tre anni or sono.

UN’INTERVISTA DEL 2017
Affrontiamo la questione del populismo con un’altra delle autorevolissime voci della cultura contemporanea. Così, dopo aver ospitato de Benoist, Tarchi, Veneziani e Fusaro, la parola passa al professor Franco Cardini, storico di fama internazionale, il quale pone in chiaro sin da subito le differenze che intercorrono tra i grandi movimenti popolari, che esistettero in Italia, rispetto a quelli populisti che si caratterizzano per: “la sfiducia e/o la stanchezza e/o il disprezzo per la politica”.

Negli ultimi tempi si sta assistendo ad una crescita esponenziale del populismo. Potrebbe aiutarci ad inquadrare il fenomeno da un punto di vista storico spiegandoci cos’è, dove nasce e come si è sviluppato?
Credo che a questa domanda abbia già risposto in modo esauriente l’amico e collega Marco Tarchi, col quale concordo perfettamente perché gli riconosco una straordinaria competenza su tale tema.

Quale è stata la sua evoluzione in Italia?
Non andrò troppo all’indietro, e in particolare non affronterò la questione se il fascismo sia stato un populismo o se ne avesse comunque qualche carattere. Va da sé che in Italia i grandi movimenti “popolari” (incluso il comunismo, che si presentava come classista ma nella realtà non lo era) non erano populisti in quanto del populismo non avevano un carattere fondamentale: la sfiducia e/o la stanchezza e/o il disprezzo per la politica. Lo stesso fascismo, che in comune col populismo classico (il boulangismo, ad esempio) aveva il disprezzo per la politica come prassi o come pretesa “democratica”, risolveva tale disprezzo in termini di gerarchia e di disciplina nella militanza; allo stesso modo, essendo anticlassista e interclassista, aveva risolto tale posizione in termini corporativi ispirandosi a teorici molto vicini alla dottrina sociale della Chiesa (Toniolo).
Quanto ai movimenti “populisti” attuali, la loro parabola è stata già percorsa nell’ultimo ventennio dalla “Lega” ed è percorsa adesso dal “M5S”: iniziale successo repentino dovuto alla novità, all’insistenza su pochi facili temi propagandistici declinati con alcune variabili (antislamismo, xenofobia, antieuropeismo, “antipolitica”, moralismo ecc.), alla stanchezza per il politicantismo professionista e incompetente, quindi impasse e crisi dovuta a un rapido deperimento-invecchiamento. La mancanza di veri e propri programmi e soprattutto di un’autentica tensione civica conduce fatalmente i movimenti populisti a un fallimento ciclico e magari a una rapida resurrezione su moduli ricorrenti (il berlusconismo e il riciclaggio di temi e simpatie ex-leghiste nel grillismo ne sono prova).

In Europa, oltre all’avanzare del populismo, stiamo assistendo ad una crescita esponenziale di partiti e movimenti nazionalisti. Quali sono i risvolti che potrebbero derivare da tali fenomeni?
Non ho alcuna stima né alcuna fiducia nei movimenti neomicronazionalisti, che hanno ormai adottato l’aggettivo di “sovranisti”, così come i razzisti ormai si chiamano “suprematisti”: l’unico possibile esito per un movimento nazionalista serio in un paese europeo, nei decenni tra Anni Cinquanta del secolo scorso a oggi, sarebbe stato il puntare insieme con movimenti nazionalisti analoghi a una seria identità europea, alla costruzione di un patriottismo europeo e di una coscienza civica europea. In materia, c’erano stati alcuni conati negli Anni Sessanta (il movimento di Jean Thiriart, erede in gran parte del “socialismo europeo” di Pierre Drieu La Rochelle). La costellazione di gruppi e di personalità di cultura – non voglio definirli “intellettuali” perché il termine non mi piace – che dagli Anni Settanta ha trovato un catalizzatore in Alain de Benoist avrebbe potuto riprendere quei temi: ha scelto un altro cammino, peraltro molto interessante.

Dallo sviluppo e magari dal successo elettorale dei gruppi neomicronazionalisti non mi aspetto nulla, se non un uso isterico e al tempo stesso strumentale della xenofobia. Se e quando qualcuno di questi gruppi assumerà come suo scopo primario la necessità di una seria riassunzione della sovranità nazionale, il che comporta anzitutto l’uscita dalla NATO, allora potremo reintavolare il discorso su basi più serie e concrete. Fino ad allora, vedo solo velleitarismo e caccia alle poltrone.

Può il populismo essere letto come l’ennesima disintegrazione di un pensiero europeo costruito sulle cattedrali, sui monasteri e sulle università?
Il pensiero “europeo” della Cristianità occidentale – quello espresso in un celebre saggio di Novalis – è quello che si è espresso appunto nelle cattedrali, nei monasteri e nelle università. Era un pensiero fondato sulla metafisica, sulle distinzioni gerarchiche e sul comunitarismo. La Modernità, ch’è essenzialmente individualismo e primato dell’economico-tecnologico, lo ha distrutto. Il mondo moderno, quello dell’economia-mondo, dello “scambio simmetrico” e dello sfruttamento generalizzato dell’uomo sull’uomo (la globalizzazione è questo) non è nato da uno sviluppo armonioso di quello che c’era prima, bensì da una rivoluzione: la Rivoluzione appunto individualista e materialista. Ci vorrà un’altra Rivoluzione per distruggerlo. A livello sociale e antropologico, la parola greca che meglio esprime il carattere di questo tipo di Rivoluzione è Metanoia.

La definizione “populista” è stata adottata, da parte di autorevoli studiosi, anche per il pontificato di Papa Bergoglio. A suo avviso potremmo parlare di momento populista nella Chiesa cattolica?
Mario Jorge Bergoglio in gioventù è stato peronista: ha conosciuto quindi un movimento dai caratteri populistico-carismatici abbastanza espliciti ed avanzati. Quando è entrato nella Compagnia di Gesù, ha certamente mantenuto intatta quella tensione verso la giustizia che aveva caratterizzato molto probabilmente la sua esperienza peronista, ma l’ha metabolizzata, appunto, in termini di Metanoia. Non vedo traccia di populismo nel pensiero di Bergoglio: vi scorgo una profonda vocazione escatologica e una vocazione profetico-apocalittica. Non so se Bergoglio sia l’“Ultimo Papa” profetizzato da Malachia: so che è un Papa dei Tempi Ultimi, uno che invita a vivere gli Eschata.

P.S. febbraio 2021. Era facile profezia che il M5S avrebbe dovuto ridimensionarsi; per il resto io sono d’accordo con l’amico Moni Ovadia nel giudizio consistente (in seguito al penoso “caso Gozzini”) nel giudicare Giorgia Meloni una delle personalità politiche più serie del panorama italiano. Direte che ci vuol poco: e forse tant’è. Ma è così. Fra l’altro Giorgia Meloni, che sta diventando un personaggio di punta anche nel panorama politico europeo, è a tutt’oggi l’unica politica ad aver avanzato un’ipotesi per la ripresa del discorso della trasformazione dell’Unione Europea in un soggetto politico: essa ha indicato il “modello svizzero”, vale a dire la forma non federalistica bensì confederalistica. Trovo questa proposta molto interessante e spero che sarà possibile sviluppare un discorso serio attorno ad essa.