Minima Cardiniana 318/1

Domenica 14 marzo 2021, IV Domenica di Quaresima

EDITORIALE
ACCIDENTI AL CENTENARIO DANTESCO
Eh, sì. Oportet ut scandala eveniant. E, per cercar di risanare una società civile disastrata come quella italiana di oggi, bisogna pur cominciare prima o poi col dir male di Garibaldi. Anzi, facciamo di più e di meglio: diciamo male proprio di Lui, del Padre della Patria e della Lingua, dell’Altissimo Poeta.
Diciamolo una buona volta, e tutti insieme, e ad altissima voce, che siamo stufi delle conformistiche buffonate su uno che al massimo interessa a quattro specialisti parrucconi che si stracciano le vesti su questioni di lana caprina (
Paradiso, XI: ma la Povertà pianse o salse col Cristo sulla croce? E non si dovrebbe dire “salì”, esigenze metriche a parte?) mentre la gente non vede l’ora di tornar a farsi pizze e birre la sera all’aperto ora che comincia la buona stagione; mentre le Casalinghe di Voghera impazziscono per la Lotteria degli Scontrini; mentre Matteo Renzi addita al mondo intero la società schiavista saudita come esempio di paese dove vige un INVIDIABILE LIVELLO DI COSTO DEL LAVORO; mentre in Italia ormai tuttovabenmadamalamarchesa da quando la Banca Centrale Europea ci ha paracadutato a Palazzo Chigi il Redentore Atlantista. Diciamolo che tutta la Divina Commedia non vale nemmeno mezza tetta della D’Urso, per non parlar delle cosce delle veline del Gabibbo.
Queste sono le cose che contano! Altro che le cazzate del nevrotico nasone fiorentino!
Centenario Dantesco. Cheppalle! E chissenefrega! Credete che scherzi o che mi sia fatto di qualcosa? E allora ecco qua, seriamente, e papalepapale.

Vanitas centenarialis
Credo si debba partire da una considerazione molto realistica. In un contesto come quello del mondo italiano – e purtroppo anche europeo e occidentale – come quello degli anni che stiamo vivendo, il nucleo della “riproposta dantesca” mi sembra obiettivamente solo un pretesto mediatico. La storia e la letteratura sono discipline decisamente in decadenza; la nostra scuola secondaria punta sempre meno sulla formazione che un tempo si definiva “classica”, l’Università attraversa un momento difficile e al suo interno sono le Facoltà e le discipline umanistiche quelle che hanno la vita più difficile, al punto che uno dei più grossi problemi della nostra società civile sono non già i migranti dequalificati che arrivano da noi, bensì i nostri giovani più preparati che sono costretti a cercar sistemazione all’estero. In Italia si scrivono e si stampano troppi libri, spesso addirittura autoediti: ma le vendite sono a picco. Di recente, il collega ed amico Alessandro Barbero ha ottenuto un grosso successo con una sua biografia su Dante edita dalla Laterza: ma ciò è dipeso dal fatto che egli, con le sue capacità espositive, è divenuto una star televisiva. Per quanto ho potuto capire, il suo bel libro è stato per fortuna molto venduto, ma purtroppo poco letto: lo scoop non ha coinciso con un rifiorire d’interessi danteschi; e il gran parlare che si fa di Dante nei media non si traduce in approfondimento e ampliamento della conoscenza del poeta nella società civile.

Ma perché poi questo nasone isterico dell’Alighieri fu così importante?
Dante fu un cittadino di Firenze in un periodo durante il quale quella città riuscì a imporsi come grande metropoli nell’àmbito dell’economia, della finanza, del commercio: essa seppe imporre al mercato internazionale la sua moneta, il fiorino d’oro, e i suoi mercanti-imprenditori fecero fortuna altresì divenendo protagonisti di un colossale giro di affari in quanto finanziatori della Santa Sede e protagonisti di un grande giro d’affari incentrato sull’appalto delle tasse riscosse in tutta la cristianità occidentale a vantaggio del papato. Ma le accanite lotte politiche all’interno delle mura, la crisi delle istituzioni comunali a vantaggio delle nascenti oligarchie signorili in Italia e delle monarchie all’estero e presto anche la crisi socioeconomica e demografica culminata con la peste del 1348 determinarono una serie di mutamenti politici e culturali da cui Firenze non uscì favorita. Dante aveva creduto nello sviluppo anche letterario dell’idioma volgare: ma qualche decennio dopo la sua morte, nonostante una sua certa fama, il movimento umanistico ristabilì al contrario per quasi due secoli la preminenza quasi totale della lingua latina. La forza “profetica” di Dante dovette aspettare molto tempo prima di affermarsi. Dopo la crisi dell’epidemia si andò affermando lentamente un nuovo indirizzo culturale in Italia, fondato sulla riscoperta della romanità e della classicità: è ovvio che da tale dinamica Dante uscisse molto ridimensionato, mentre al contrario acquistò peso crescente il Petrarca. La rinascita di Dante si sarebbe avuta a partire dalla fine del Settecento anche sotto l’influsso di nuove tendenze: il romanticismo, il patriottismo, la rinascita cattolica. Anche il Dante unitario, patriottico, irredentista, quindi fascista, corrispose ad altri malintesi e ad altre strumentalizzazioni. Va tenuto presente che la sua fama odierna è fatta anche di queste scorie, non sempre né del tutto metabolizzate.

Dante “attuale” perché “moderno”?
Quello della “modernità” è, ritengo, un altro nostro equivoco. Tra Ottocento e il secolo scorso Dante divenne una grande gloria nazionale italiana soprattutto per essere stato il Padre della Patria Italiana e il Padre della Lingua Italiana. Ma l’Italia di Dante non aveva nulla a che fare con l’Italia risorgimentale e poi unitaria: era il regnum Italiae d’origine carolingio-ottoniana (ben diverso dalla stessa Italia provincia della Roma repubblicana), che interessava la parte centrosettentrionale della penisola e la corona del quale sarebbe spettata, da Ottone I (metà sec. X) fino alla pace di Presburgo del 1806, all’imperatore del Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca, definito dalla “Bolla d’Oro” di Carlo IV nel 1356. Dante, idolatrato da garibaldini e mazziniani, aveva auspicato che l’imperatore romanogermanico Enrico VII riuscisse a governare l’Italia con verga ferrea. Analogo equivoco per la lingua italiana: il Padre della Lingua scrisse un trattato, il De vulgari eloquentia, nel quale auspicava un volgare imposto dall’alto, da un’autorità sovrana, che fosse la sintesi armonica dei quattordici differenti dialetti parlati in Italia. Dopo lunghe discussioni durate oltre mezzo millennio sulla questione della lingua (dal Petrarca al Bembo al Foscolo), trionfò il “fiorentino delle persone colte” grazie a un romanziere lombardo, il Manzoni, e a una dinastia francoborgognona che era diventata la casa reale italiana e intendeva sistemare la sua capitale a Firenze, culla della lingua, prima di aggredire lo stato pontificio. Di equivoci di questo genere è fatta la “modernità” di Dante, che oggi però qualcuno vorrebbe proibire nelle scuole in quanto, ponendo i sodomiti all’Inferno, dimostrò (ai primi del Trecento!…) di essere “omofobo”. Il centenario dantesco ci fa assistere anche ad amenità del genere.

E allora, che lo celebriamo a fare?… o no?
Una corretta chiave di lettura per intendere davvero l’“attualità” di Dante sta non nel ricercarne motivi di equivoca “attualizzazione”, sempre malintesi e spesso ridicoli (c’è chi ha sostenuto seriamente che “fin da allora” – sic – aveva “intuito” il “pericolo musulmano” e per questo era fautore delle crociate!…), ma nel cogliere fino a che punto interpretò il suo tempo: scorgendo i pericoli che il mondo cristiano-occidentale stava allora correndo a causa della corruzione che minacciava la stessa Chiesa, dell’allontanamento dei ceti dirigenti del tempo dall’ideale – aristotelico, ciceroniano, tomista – del “Bene comune”, del crescere della sete smodata di ricchezze e di potere. Dante visse in un mondo che stava per affrontare una tremenda crisi epocale, quella di metà Trecento; non è escluso che anche in ciò la sua vicenda sia analoga a quella che le generazioni adesso giovani dovranno affrontare da qui a pochi decenni se i problemi della sperequazione mondiale (e quindi del disagio e dell’instabilità di masse intere di popolazione che si vanno impoverendo), del riscaldamento del pianeta, dell’inquinamento e della carenza o mancanza di princìpi etici sui quali fondarsi ci porteranno – com’è probabile – a un grave collasso.

Ma poi, infine, perché no?…
Gli anniversari e le celebrazioni sono occasioni liturgico-civili ordinarie in tutte le società costituite, ed è bene che sia così. Ogni popolo deve ricordare ed onorare i grandi personaggi della propria storia ed è bene che ciò accada. Ben vengano quindi i monumenti, le celebrazioni, i convegni, le conferenze, le pubblicazioni specialistiche e quella ispirate a una divulgazione seriamente fondata e motivata; ben venga la discussione di Dante nelle scuole, in modo da tramandare quanto più si può il messaggio di un grande poeta presso le giovani generazioni: se l’1 per mille dei ragazzi fra i quattordici e i vent’anni riuscisse sul serio a interessarsi alla vita, alle opere e al messaggio di questo grande poeta, fra vent’anni avremmo un parlamento molto meno ignorante dell’attuale, e sarebbe senza dubbio un grande risultato. Avanti quindi con Dante: anche con libri, e-books, Dante’s games, cinema e TV. Bene i concorsi a premi su Dante, bene che ne parlino Benigni e perfino Fiorello. Barbero for President! Pupi Avati vuol fare un film su Dante? Benissimo: speriamo ne faccia uno anche Francis Ford Coppola. Il mondo occidentale deve guarire dalla malattia dell’oblio del passato, per cui si parla sempre di “dovere della memoria” ma poi si finisce col parlare soltanto della Shoah, e anche di essa in modo criticamente inadeguato. Riappropriarci della nostra storia, rivederla e ripensarla è molto importante. Magari rivoltandola come un calzino e affermando cose in grado di scandalizzare. Avremo segnato un vero punto a vantaggio della nostra società e della nostra cultura quando ad esempio nei nostri licei indiremo un concorso a premi per lo scritto migliore (nel senso del più informato, originale e intelligente) composto da uno studente o da una studentessa sul tema: “Perché di Dante a me e alla mia famiglia non ce ne frega niente, e che cosa vorremmo fosse studiato in cambio”. Questo sì che sarebbe un test importante e significativo su quello che veramente siamo, al di là dei conformismi. Italiani, sputate il rospo, confessate quanto siete ignoranti, ammettete che in questo paese bisogna tornar a occuparci di cose serie! E magari da qualcosa del genere verrebbero fuori le ragioni per le quali, invece, Dante bisogna studiarlo eccome.