Minima Cardiniana 318/2

Domenica 14 marzo 2021, IV Domenica di Quaresima

HERI DICEBAMUS
Bisognerebbe prender tutti l’abitudine di tornare a rileggere quel che dicevamo o scrivevamo tempo fa. Un esempio: ve li figurate i politici e i mezzi busti televisivi d’aggi, costretti a ripetere le cazzate che dicevano nel 2002 a proposito delle Terribili Armi di Sterminio Totale di Saddam Hussein? Eppure sono sempre loro, sempre gli stessi, oggi, che continuano a pontificare senza che nessuno presenti loro il conto.
Un buon esame di coscienza, invece, fa sempre bene: c’insegna l’umiltà, ci obbliga a chiedere scusa e a rettificare.
Ad esempio: il populismo. Prendiamo uno a caso: Franco cardini. Che cosa diceva quattro anni fa? E oggi come la pensa? In che cosa aveva visto giusto, in che cosa aveva fatto pipì fuori dal vasino?

A PROPOSITO DI POPULISMO. QUATTRO ANNI DOPO
Nell’intervista rilasciata nel 2017 (Minima Cardiniana 316/3 | Populismo: il rancore della Modernità) lei aveva profeticamente preventivato il riflusso dei movimenti populisti. A fronte dell’attuale situazione politico sociale quale direzione intraprenderà il fenomeno? E sotto quale forma potrebbe risorgere?
Non c’era profezia: questo è il trend dei movimenti populisti che o falliscono in quanto tali, o vengono riassorbiti dalla politica. Max Weber direbbe che, siccome sono a modo loro dalla parte del “carisma”, prima o poi l’“istituzione” ha la meglio su di loro. D’altronde, come i rivoluzionari e gli estremisti, i populisti se non scompaiono sono condannati a trasformarsi in conservatori o in progressisti “moderati”. Ora, a parte le boutades di Grillo il quale – quanto meno oggi – è il primo a non crederci, il grosso del M5S riprenderà la strada degli scontenti vagamente di sinistra, a parte qualche frangia di destra che tornerà alla sua originaria posizione (senza dubbio la scelta di Giorgia Meloni, a parte ch’era obbligata se voleva evitar la parte dell’inutile fanalino di coda governativa, è stata politicamente intelligente): quando la “luna di miele” fra Draghi e gran parte della politica italiana (non parliamo della società civile “reale”, che non si riesce nemmeno più a distinguere, sommersa dal clamore dei media) sarà trascorsa, cioè tra alcune settimane o pochi mesi, l’ex M5S riemergerà frammentato o comunque ridimensionato, a parte i politici più abili al suo interno che si vanno già accodando a un PD a sua volta peraltro in crisi. Una “resurrezione populista” nei tempi brevi non è prevedibile: la metabolizzazione dl movimento pentastellato divenuto semipartito sarà lenta.

Possiamo considerare l’istituzionalizzazione quale fattore di declino dei movimenti populisti?
Ne è ordinariamente la regola: o ce la fanno e si metabolizzano in forze politiche o scompaiono. Il fatto è che hanno ragione a diffidare della politica, una cosa scorretta e disonesta. È per questo che essa ha sempre la meglio su di loro: li fagocita, anche perché in genere alla loro guida c’è gente che muore dalla voglia di far politica trasformandosi da esclusa in leader.

La Pandemia Covid-19 ha accelerato alcuni processi che hanno interessato l’architettura geopolitica, e rivelato, qualora ve ne fosse ancora bisogno, il limite dei modelli di organizzazione economica e sociale vigenti. A suo avviso come sarà la prossima globalizzazione? I nuovi cambiamenti potrebbero costituire un’opportunità per l’Europa?
Francamente non vedo alcun cambiamento in grado di costituire un’opportunità. Draghi è stato chiarissimo: volontariamente o meno, ha enunziato un programma e un progetto chiarissimi, parlando di atlantismo ed europeismo. Per “atlantismo”, Draghi intende fedeltà ai patti costituivi della NATO, che sanciscono la subordinazione politica e militare, quindi diplomatica, dell’Unione Europea al disegno neoegemonistico statunitense, una caricatura del “multilateralismo” nel quale Obama forse credeva sul serio caratterizzata dal ritorno al programma “classico” del partito democratico statunitense: gli USA “gendarme democratico” del mondo intero, nel nome del principio assiomatico secondo il quale la pace e la prosperità del mondo (vale a dire del 10% della popolazione mondiale, che detiene e gestisce il 90% delle ricchezze del pianeta intero), quindi la stabilità dello statu quo, coincidono con gli interessi degli USA. Per “europeismo” Draghi intende appunto lo statu quo, vale a dire una “Unione” economico-finanziario-tecnologica che deve considerare la NATO come il suo braccio militare (la politica del quale è dettata a Washington) e non sognarsi mai di raggiungere indipendenza e sovranità politica trasformandosi in una Federazione o Confederazione sovrana in grado di sviluppare una sua posizione internazionale che sarebbe utilissima e benemerita, di mediazione fra i due blocchi della nuova “guerra fredda” che si va preparando tra USA da una parte, Russia e Cina dall’altra. Che io sappia, il varo di una vera Federazione Europea – ora che i progetti di costituzione, varati anni fa, sono miseramente falliti sul finto scoglio del preambolo relativo alle “radici cristiane” – non è più in agenda né a Bruxelles, né a Strasburgo; non si scorgono all’orizzonte movimenti politici europeisti; l’unica persona che ha avuto l’intelligenza concretezza di rilanciare un discorso politico unitario europeista scartando esplicitamente al formula federalista, inadatta alla storia europea, e parlando invece di un possibile progetto confederato, è stata Giorgia Meloni. Era un appello nuovo e intelligente, avanzato che io sappia una sola volta e non ripreso da nessuno. D’altra parte la Meloni non può far niente: è “sotto schiaffo” e lo sa benissimo. Se in qualche futura competizione elettorale riuscisse ad arrivare sopra il 15%, immediatamente da qualche parte scoppierebbe una qualche bomba sotto un monumento alla Resistenza, sui muri di qualche sinagoga comparirebbe qualche svastica, l’ANPI si metterebbe subito in moto, rinascerebbe la “questione morale antifascista” e lei sarebbe di nuovo anche formalmente isolata. D’altronde con un “parlamento europeo” così, espressione dei parlamenti dei vari paesi e prono pregiudizialmente alla volontà statunitense, forse si fa la politica dei “recovery funds” ma non si va oltre l’euro. Questa è la fine del progetto europeista inaugurato decenni fa da De Gasperi, Adenauer e Schuman.