Minima Cardiniana 319/7

Domenica 21 marzo 2021, V Domenica di Quaresima
San Benedetto, Equinozio di Primavera

E INFINE, A PROPOSITO DI TOLLERANZA E DI CENTENARI: C’È UNA STATUA, A TRENTO…
Ma non abbiamo certo aspettato la Siria o la Madonna, per tradire la storia e per distorcere il senso della realtà. Macché. Magari. Lo facciamo ogni giorno.
Prendete il centenario dantesco. Con la scusa dell’“attualità di Dante Alighieri”, ci tocca anche sorbirci una valanga di memorie patriottarde sul Dante dell’Ottocento “custode dell’italianità”. Sulla lingua italiana, nulla da dire: ma sul piano politico sono tutte balle. E, quanto a tolleranza, bisognerebbe andare a scuola dall’imperatore Francesco Giuseppe.
Proprio così. L’11 ottobre del 1896, a Trento, s’inaugurò il monumento a Dante voluto dai cittadini. Trento era una città italiana, per quanto facesse allora parte dell’impero austriaco all’interno della “duplice corona” austrungarica. Gli irredentisti, che c’erano – anche se pochini… – la presero come un incoraggiamento. E il senator professor Giosuè Carducci dedicò subito alcune terzine – non delle sue migliori, va detto – a quella statua che guardava arcigna e severa i prossimi monti bavaresi, quelli dell’Eterno Nemico d’Italia.
L’amministrazione imperialregia lascò fare. L’impero era plurinazionale, Trento una città fedele a Sua maestà Apostolica ma a maggioranza etnica italiana: perché impedire agli italiani di onorare il poeta della loro nazione?
Ma chissà che non ci fosse, dietro tale longanimità (che va apprezzata comunque), anche una sottile ironia. Dante, quello vero, quello della storia, non era quello che i patriottardi risorgimentali pretendevano fosse. Lui, la libertà della “serva Italia, di dolore ostello”, non se l’era mai aspettata come una liberazione “dallo straniero”. Anzi. È chiaro ed evidente – dal Convivio alla Commedia al De monarchia – che lui la pace, la vittoria, la libertà e la giustizia se le aspettava proprio da uno “straniero”, dal monarca romano-germanico. Ed esultò quando Arrigo VII di Lussemburgo si affacciò entro i confini d’Italia: e ne scrisse, felice e minaccioso, agli “scelleratissimi fiorentini”, augurando loro i fulmini della punizione imperiale.