Minima Cardiniana 322/5

Domenica 11 aprile 2021, Domenica in Albis

…E SE FOSSIMO IN TEMPO DI ANTEGUERRA?…
MICHELE RALLO
IL DEEP STATE USA PREPARA LA GUERRA ALLA RUSSIA. CHE FARÀ L’EUROPA?
Il partito di Obama e di Clinton ha appena ripreso il potere negli USA, e già i venti di guerra sono tornati a soffiare gagliardi. C’era da aspettarselo. Donald Trump scalda i motori in vista di un secondo tempo fra tre anni, ma per il momento la politica estera degli Stati Uniti è tornata al punto in cui le due lobby dominanti del Partito Democratico (quella di Obama e quella dei Clinton) la avevano lasciata, cioè sulla china che conduce alla guerra con la Russia. È il sogno proibito del Deep State, lo Stato Profondo. Che sarebbe poi – nella definizione datane da Eisenhower nel 1961 – il “Complesso militar-industriale” (o “militar-industrial-politico”) di Washington; o meglio – mi permetto di chiosare – la sua parte più reazionaria, oscurantista e guerrafondaia.
Dell’esistenza di questo Complesso si cominciò a parlare negli anni ’30 del secolo scorso, quando l’opinione pubblica americana iniziò ad interrogarsi sul perché il governo degli Stati Uniti avesse deciso – venti anni prima – di intervenire nella Prima Guerra Mondiale, e ciò malgrado la netta contrarietà della stragrande maggioranza della popolazione. Si scoprì allora che, se il popolo era stato contrario alla guerra, le industrie degli armamenti erano state favorevoli e, con quelle industrie, anche le lobby di deputati e senatori che ne erano, di fatto, le proiezioni parlamentari. Il Senato promosse una commissione d’inchiesta (nota come Commissione Nye dal nome del suo presidente) che nel giro di poco più d’un anno accertò non soltanto le gravi responsabilità dell’industria bellica e dei suoi lobbysti, ma anche quelle di certe grandi banche che avevano fatto pressione – illegittimamente – sul mondo della politica, perché questa si orientasse in direzione interventista.
In un primo tempo si pensò che ciò fosse avvenuto perché le banche avevano voluto salvaguardare i loro investimenti nel settore degli armamenti. Ma, a poco a poco, cominciò a farsi strada un’altra verità: il mondo di Wall Street era in guerra già per conto suo, in alleanza con la City e con le banche inglesi. L’alta finanza americana, infatti, aveva già investito nella Prima Guerra Mondiale una cifra astronomica (qualcosa come due miliardi di dollari del tempo), finanziando lo sforzo bellico di Londra e dei suoi alleati. Peraltro, la Commissione si avvicinava a grandi passi verso uno snodo fondamentale: la prova che l’ex Presidente USA, il democratico Thomas Woodrow Wilson, avesse mentito al Congresso per poter avere modo di decretare l’intervento nel conflitto. Era a quel punto, nel febbraio 1936, che la maggioranza democratica del Senato tagliava i fondi necessari per il funzionamento della Commissione, provocandone così la cessazione.
Pochi anni ancora e, nel 1941, era probabilmente un rinnovato “Complesso militar-industrial-politico” a propiziare l’intervento degli Stati Uniti in un altro conflitto lontano, la Seconda Guerra Mondiale. Anche qui contro la volontà della popolazione, ed anche qui con l’azione determinante di un Presidente democratico – Franklin Delano Roosevelt – autore delle mille provocazioni che spinsero il Giappone all’attacco di Pearl Harbour. In questo caso non ci fu poi una Commissione d’inchiesta; forse per evitare la scoperta di verità scottanti, come ai tempi della Commissione Nye. Non sono tuttavia mancate indagini e ricostruzioni che hanno successivamente acclarato l’azione bellicista di ben determinati ambienti politici ed economici degli Stati Uniti. Per inciso, segnalo che proprio in questi giorni l’editrice Oaks di Milano ripresenta in anastatica il libro di John T. Flynn “Il mito di Roosevelt” (pubblicato per la prima volta in Italia da Longanesi nel 1949), che contiene molte notizie interessanti in proposito.
E giungiamo così a quello che è sostanzialmente il terzo punto di questa specie di profilo del Deep State, la “guerra fredda”. Era in piena guerra fredda che – come ricordavo all’inizio – il 34° Presidente (repubblicano) degli Stati Uniti d’America, generale Dwight David Eisenhower, denunciava pubblicamente e clamorosamente sia l’esistenza di un consolidato intreccio politico-affaristico che brigava per la guerra, sia il concreto pericolo che questo ambiente prendesse il sopravvento sulle legittime istituzioni democratiche: “Nell’azione di governo dobbiamo premunirci contro le influenze che, in modo palese o occulto, vengono esercitate dal complesso militar-industriale. La possibilità che certi disastrosi poteri travalichino i loro limiti e le loro prerogative esiste adesso, ed esisterà anche in futuro. Non dovremo mai permettere che il peso di questo intreccio di poteri metta in pericolo le nostre libertà e le istituzioni democratiche”.
L’allarme del generale Eisenhower non cadde nel vuoto, grazie anche al polso fermo del suo successore, il democratico John Fitzgerald Kennedy. Il quale Kennedy – ricordo per inciso – perì poi in un attentato dai contorni misteriosissimi.
E veniamo infine all’ultimo capitolo, quello che va dagli anni ’90 ai giorni nostri. Adesso il profilo del Deep State americano è cambiato, con l’aggiunta di nuovi soggetti, animati da irresistibili pulsioni “filantropiche”. Ma l’obiettivo rimane il medesimo, quello di una guerra preventiva per abbattere ogni ostacolo che si opponga al dominio dei poteri fortissimi della finanza internazionale.
Naturalmente, salto a pie’ pari la storia di un trentennio e vengo agli sviluppi di questi ultimi mesi. La guerra – riferiscono fonti più che credibili – è sempre più vicina, e il teatro di battaglia non potrà che essere l’Ukraina. A quel punto, se la situazione dovesse precipitare, gli Stati Uniti avranno la necessità assoluta di coinvolgere gli alleati europei della NATO. Da soli – è il parere di tutti gli analisti – le poche divisioni americane schierate nell’Europa Orientale non sarebbero minimamente in grado di fronteggiare la micidiale macchina da guerra (terrestre, aerea e navale) dei russi.
Ma, da quello che si percepisce al momento, gli europei non sarebbero per nulla intenzionati a farsi coinvolgere. E non soltanto per una generica allergia alla guerra, ma soprattutto perché è interesse di tutti i paesi europei (tutti, nessuno escluso) che un eventuale conflitto russo-americano non degeneri in una terza guerra mondiale. Anche perché, da sempre, si sa che la Russia non esclude di ricorrere all’uso – sia pur circoscritto – di armi nucleari qualora eventuali azioni del nemico dovessero superare una certa soglia. E, siccome non è dato sapere quale sia quella “soglia”, c’è da scommettere che nessuno, o quasi, si azzarderà a mettere il dito nell’ingranaggio diabolico di un eventuale conflitto russo-americano.
Il problema, per noi, sta tutto in quel “quasi”. Sarebbe utile, in proposito, conoscere il perché Mario Draghi, all’atto di assumere la guida del governo italiano, abbia avvertito la necessità di sottolineare che il nuovo gabinetto si sarebbe mosso in una logica non soltanto europeista, ma anche atlantista. Cosa a prima vista superflua, atteso che l’Italia fa parte, oltre che dell’Unione Europea, anche dell’Alleanza Atlantica. Alcuni hanno visto in quella sottolineatura soltanto una dichiarazione d’amore verso gli Stati Uniti, paese che a Sir Drake sta certamente più a cuore che non la Germania di madame Merkel.
Io spero che si sia trattato soltanto di una dichiarazione d’amore platonico, un po’ come nei bigliettini dei Baci Perugina. Spero che non si sia trattato, invece, di qualche cosa di più pregnante, di più oneroso.
Così come spero che le dichiarazioni di fuoco con cui il nostro eccelso Ministro degli Esteri ha enfatizzato una vicenda spionistica di portata limitatissima, siano soltanto una manifestazione di ossequio agli amori atlantisti del Presidente del Consiglio, e non qualcosa di più impegnativo.
Francamente, l’idea che in Italia qualcuno voglia giocare ai soldatini – e per giunta in un momento drammatico come questo – mi fa accapponare la pelle.

MANLIO DINUCCI
JOE BIDEN RECLUTA GLI ALLEATI
Il generale polacco Adam Joks (a destra) nominato vice-comandante del V Corpo dell’Esercito Usa.
Joe Biden lo aveva annunciato nel suo programma elettorale: “Mentre il presidente Trump ha abbandonato alleati e partner, e abdicato alla leadership americana, come presidente farò immediatamente passi per rinnovare le alleanze degli Stati Uniti, e far sì che l’America, ancora una volta, guidi il mondo” (il manifesto, 10 novembre 2020). Promessa mantenuta.
La portaerei Dwight D. Eisenhower e il suo gruppo di battaglia, composto da 5 unità lanciamissili, hanno “attaccato dal Mediterraneo Orientale postazioni dello Stato Islamico in Siria e Iraq” poiché questo “ha rivendicato un attacco a Palma in Mozambico”. Lo comunica ufficialmente la US Navy il 31 marzo, senza spiegare come l’Isis, sconfitto in Siria e altrove soprattutto in seguito all’intervento russo, ricompaia ora minaccioso con sospetta puntualità. Dopo aver lanciato l’attacco dal Mediterraneo Orientale – area delle Forze navali del Comando Europeo degli Stati Uniti, con quartier generale a Napoli-Capodichino – la portaerei Eisenhower ha attraversato il 2 aprile l’appena riaperto Canale di Suez, entrando nell’area del Comando Centrale Usa che comprende il Golfo Persico.
Qui si è unita alla portaerei francese Charles de Gaulle che, su richiesta di Washington, ha assunto il 31 marzo il comando della Task Force 50 del Comando Centrale Usa, schierata non contro l’Isis ma in realtà contro l’Iran. Il fatto che Washington abbia chiesto a Parigi di guidare con la sua nave ammiraglia una forza navale Usa rientra nella politica della presidenza Biden, che mantiene comunque il controllo della catena di comando poiché la Task Force 50 dipende dal Comando Centrale Usa.
Lo conferma l’esercitazione Warfighter che, pianificata dall’Esercito Usa, viene effettuata dal 6 al 15 aprile da divisioni statunitensi, francesi e britanniche a Fort Hood e Fort Bliss in Texas, a Fort Bragg in North Carolina, e a Grafenwoehr in Germania. In questa esercitazione, brigate francesi e britanniche operano all’interno di una divisione Usa, mentre brigate Usa operano all’interno di divisioni francesi e britanniche, sempre però secondo il piano Usa.
La Warfighter integra la grande esercitazione in corso Defender-Europe 21, che l’Esercito Usa in Europa e Africa effettua fino a giugno insieme ad alleati e partner europei e africani, per dimostrare “la capacità degli Stati Uniti di essere partner strategico nei Balcani e nel Mar Nero, nel Caucaso, in Ucraina e Africa”.
Partecipa alla Defender-Europe 21 il V Corpo dell’Esercito Usa che, appena riattivato a Fort Knox nel Kentucky, ha costituito il proprio quartier generale avanzato a Poznan in Polonia, da dove comanda le operazioni contro la Russia. Il 31 marzo, su richiesta statunitense, il generale polacco Adam Joks è stato nominato vice-comandante del V Corpo dell’Esercito Usa. “È la prima volta – comunica l’Ambasciata Usa a Varsavia – che un generale polacco entra nella struttura di comando militare degli Stati Uniti”. In altre parole, il generale Adam Joks continua a far parte dell’esercito polacco ma, quale vice-comandante del V Corpo Usa, dipende ora direttamente dalla catena di comando che fa capo al Presidente degli Stati Uniti.
Rientrano nella stessa politica le nuove Brigate di assistenza delle forze di sicurezza, unità speciali dell’Esercito Usa che “organizzano, addestrano, equipaggiano e consigliano forze di sicurezza straniere”. Sono impegnate “a sostegno di una legittima autorità di governo” in Medioriente, Asia, Africa, America Latina ed Europa, attualmente nel quadro della Defender-Europe. Esse sono un efficace strumento per lanciare, con la copertura dell’“assistenza”, operazioni militari di fatto sotto comando Usa.
Ciò spiega perché, dopo una relativa tregua, il capo di stato maggiore ucraino, Ruslan Khomchak, ha dichiarato il 1° aprile che l’esercito di Kiev “si sta preparando per l’offensiva nell’Ucraina orientale”, ossia contro la popolazione russa del Donbass, usando anche “forze di difesa territoriale” (come il reggimento neonazista Azov), e che in tale operazione “è prevista la partecipazione di alleati Nato”.
(il manifesto, 6 aprile 2021)