Domenica 11 aprile 2021, Domenica in Albis
MOBY PRINCE, TRENT’ANNI DOPO
Sono passati trent’anni e ancora nessuna verità, nessuna giustizia per le 140 vittime morte carbonizzate su quel traghetto della Navarma che doveva accompagnarle a Olbia. Un’inchiesta è stata riaperta dalla Procura di Livorno, ma la nostra impressione – nella speranza di essere smentiti, almeno una volta – è che questo “mistero” sia destinato a rimanere l’ennesimo “irrisolto” della storia della nostra triste Repubblica. Come Ustica, tanto per fare un esempio.
Diverse sono le ipotesi. Certo, molto lontane rispetto a quelle che i media prospettarono i giorni immediatamente successivi all’“incidente”. Il comandante e l’equipaggio “distratti” dalla semifinale di Coppa delle Coppe Barcellona-Juventus, l’anomalo banco di nebbia, nebbia che quella sera non c’era…
C’era invece una petroliera, l’Agip Abruzzo, che il comandante Chessa – esperto, responsabile, non uno Schettino qualunque – non avrebbe potuto non vedere. Non è escluso – tutt’altro – che nella rada di Livorno, quel giorno, si stessero compiendo operazioni non esattamente trasparenti. Armi – siamo all’indomani della prima guerra del Golfo –, rifiuti tossici. D’altra parte Camp Darby, la base Nato situata nella Tenuta di Tombolo, si trova lì a due passi. Secondo l’ex consulente dell’Esercito Italiano Fabio Piselli, per esempio, “l’incidente fu causato da una nave che trasportava armi verso la Somalia”. Lo stesso Piselli è stato vittima, oltre dieci anni fa, di un tentativo di omicidio.
Falsa pista? Illazioni? Tutto è plausibile, fino a prova contraria. E la presenza di alcune navi “sospette” nel porto di Livorno la sera del 10 aprile 1991 è ormai un dato di fatto.
Chiediamo al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e al ministro della Giustizia, Marta Cartabia, di non limitarsi alle solite frasi di circostanza alle quali siamo abituati in occasione di ogni tragico anniversario che rimanda spesso a una strage impunita. Ci sono vittime, ci sono famiglie che reclamano giustizia per il loro dolore e per le loro lacrime. E c’è un paese, c’è il cuore di un paese che vorrebbe ricominciare a battere. Un paese che ha una tremenda sete di verità. Senza quella, sarà per sempre un morto che cammina.
LAURA MONTANARI
MOBY PRINCE, 30 ANNI DAL DISASTRO, IL PRESIDENTE MATTARELLA: “INDISPENSABILE FARE PIENA LUCE”
Anche la ministra Cartabia: “Resta una ferita aperta, illuminare i punti oscuri”.
“Fare piena luce” dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sono passati trent’anni dalla notte in cui il traghetto della Navarma, Moby Prince appena fuori dal porto di Livorno e diretto a Olbia è andato a schiantarsi contro la petroliera Agip Abruzzo. Oggi è il giorno dell’anniversario, delle rose in mare, trenta: una per ogni anno che è passato senza verità, senza sapere perché sono morte 140 delle 141 persone a bordo del Moby. “Ricorrono trent’anni dall’immane tragedia che coinvolse il traghetto Moby Prince – ha scritto in una nota il presidente della Repubblica –. Centoquaranta persone, passeggeri ed equipaggio, persero la vita in seguito alla collisione con una petroliera e all’incendio che ne scaturì. Il primo pensiero è rivolto alle vittime, alle tante vite improvvisamente spezzate di adulti e di giovani, e al dolore straziante dei loro familiari, che si protrae nel tempo e ai quali rinnovo la vicinanza e la solidarietà della Repubblica. È stato il disastro più grave nella storia della nostra navigazione civile. Il popolo italiano non può dimenticare. Come non dimentica la città di Livorno, che vide divampare il rogo a poche miglia dal porto e assistette sgomenta alla convulsa organizzazione dei soccorsi e al loro drammatico ritardo”.
Poi il presidente si sofferma sulle indagini: “Sulle responsabilità dell’incidente e sulle circostanze che l’hanno determinato è inderogabile ogni impegno diretto a far intera luce. L’impegno che negli anni ha distinto le associazioni dei familiari rappresenta un valore civico e concorre a perseguire un bene comune. Il disastro del traghetto Moby Prince è monito permanente per le autorità pubbliche e gli operatori, chiamati a vigilare sulla navigazione e a garantirne la sicurezza. Rispettare gli standard stabiliti, sforzarsi di elevarli, assicurarne una corretta applicazione sono responsabilità indeclinabili, che sole possono consentire l’esercizio di un pieno diritto da parte dei cittadini e portare così beneficio all’intera società”.
Sul mistero di quella collisione ha indagato anche la commissione parlamentare di inchiesta del senato che nel 2018 ha reso note le conclusioni di tre anni di lavori e audizioni: non può essere stata la nebbia la causa della collisione e nemmeno un equipaggio distratto dalla semifinale di Coppa delle Coppe Barcellona-Juventus, come era stato ipotizzato in un primo tempo. C’erano tracce di esplosivo a bordo del traghetto, ma nessun innesco, nessun timer, insomma non era una bomba. E allora che cosa ha portato un comandante esperto come Ugo Chessa a compiere una deviazione improvvisa nella rotta? Una bettolina fantasma, cioè una di quelle piccole navi che di notte si muovevano in porto a Livorno per il contrabbando di petrolio? O un dirottamento? C’è un pentito di ’ndrangheta che dice di avere rivelazioni importanti sui traffici di armi e rifiuti speciali, c’è chi ha visto in quel disastro l’ombra di Cosa Nostra (secondo questa pista nel mirino non c’era il traghetto ma la petroliera Agip Abruzzo). Di fatto, trent’anni dopo, non sappiamo ancora cosa sia successo. Di certo però chi era a bordo non è morto subito e nemmeno nel giro di mezz’ora come era stato fatto credere al primo processo: quindi se i soccorsi fossero stati più veloci qualcuno si poteva salvare.
“Erano madri e padri, figlie e figli, sorelle e fratelli, amiche e amici che ancora vivono in una memoria di affetti, mai scalfita dal tempo. Nel loro nome, tutti voi – dopo tre decenni – aspettate ancora di conoscere fino in fondo le cause di ciò che successe quella sera del 10 aprile 1991” ha scritto la ministra della Giustizia Marta Cartabia, alle associazioni dei familiari delle vittime del Moby Prince. “Questa domanda di conoscenza e, quindi, di giustizia – prosegue Cartabia – richiama a un impegno che l’Italia ha il dovere di compiere. Il disastro del Moby Prince resta una ferita aperta per il nostro Paese, che non ha mai smesso di cercare quanto possa servire a illuminare i punti ancora oscuri nella ricostruzione dei fatti. Nuove aspettative sono riposte nell’ultima indagine aperta dalla Procura di Livorno alla luce delle conclusioni dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta istituita presso il Senato della Repubblica. Come dice papa Francesco nell’enciclica ‘Fratelli tutti’, è ‘un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune’. Le difficoltà sono tante e il tanto tempo passato di certo non aiuta, ma sono certa che i magistrati di Livorno sapranno affrontare questo rinnovato impegno con tutta la dedizione e la professionalità che il compito di rendere giustizia richiede”, conclude Cartabia. Una inchiesta è di nuovo aperta proprio alla procura di Livorno.
(la Repubblica, 10 aprile 2021)
Mattarella, Cartabia: tutti uomini d’onore, avrebbe detto il Marco Antonio di Shakespeare. Tutti (-e) donne e uomini d’onore, come diciamo noialtri che su Shakespeare abbiamo anche il vantaggio del politically correct. Ma… “Illusioni!”, avrebbe gridato il Filosofo. Se c’entra la NATO e altri benemeriti enti sovranazionali dei quali noi siamo sudditi e i nostri soldati sono ascari, non ne sapremo mai nulla: e non ci sono procure di Livorno che tengano. Come avrebbe detto oggi Humphrey Bogart, caro Signor Presidente e cara Signora Ministra, “Questa è la democrazia avanzata, Baby, e tu non puoi farci niente!”. Non siamo mica sotto dittatori come il truce Erdoğan!…