Minima Cardiniana 327/3

Domenica 16 maggio 2021, Ascensione del Signore

EFFEMERIDI DELLA PREPOTENZA
1. UN PO’ D’ORDINE CRONOLOGICO
Che cosa sta succedendo a Gerusalemme da lunedì 10 maggio
Tutto comincia sulla “spianata delle moschee” verso la fine del Ramadan. Si conviene lì per pregare, ma corre voce che siano in corso nuovi sfratti della popolazione araba dalla città vecchia, sulla base del noto meccanismo dell’applicazione della “legge dell’assenza” o dei provvedimenti “amministrativi” in seguito a “mancati lavori di restauro e manutenzione di edifici d’importanza storica” (lavori per la stragrande maggioranza dei quali i competenti organi – appunto – amministrativi israeliani non hanno mai espresso autorizzazione ufficiale, a parte che si tratta di cose troppo costose per i proprietari arabi).
All’alba di martedì 11 maggio l’esercito israeliano ha dato intanto il via a nuovi raid contro Gaza, dopo che diversi razzi erano stati lanciati da Hamas, che detiene il controllo della Striscia, verso Israele. Sia il Movimento che Jihad islamica avevano dato in precedenza diversi ultimatum allo Stato ebraico per il ritiro delle truppe dalla Moschea al-Aqsa, più volte presa d’assalto dalle forze dell’ordine israeliane.
Nel corso della mattinata le forze israeliane hanno anche colpito un palazzo a Gaza City, uccidendo due comandanti di Jihad islamica e ferendone gravemente un terzo, secondo quanto riportato dall’agenzia stampa Maan.
All’11 scorso, il bilancio della Mezzaluna rossa parlava di più di 700 feriti palestinesi, mentre i dati del ministro della Sanità di Gaza riferivano della morte di almeno 26 persone, tra cui nove bambini, a seguito dei raid. Tra le forze dell’ordine israeliane si contavano una ventina di feriti.

Tensione ancora alta
In Israele la tensione resta alta, soprattutto nelle aree al confine con la Striscia. Le sirene di allarme sono scattate in diverse città vicino a Gaza ed in particolare ad Ashkelon, già presa di mira lunedì 10 dal lancio di razzi provenienti dall’enclave. Secondo i media israeliani, almeno 20 residenti sarebbero rimasti feriti a seguito degli attacchi di Hamas e Jihad.
Quest’ultimo gruppo ha rilasciato nella notte un comunicato in cui dichiarava che “se l’aggressione contro Gerusalemme non si ferma, non hanno senso gli sforzi politici per cessare il fuoco”. Il portavoce dell’ala militare di Hamas, Abu Ubaidah, ha invece promesso di “trasformare Ashkelon in un inferno” se Israele non fermerà gli attacchi contro Gaza. Le sue parole e i lanci di razzi arrivano “dopo un attacco israeliano che ha colpito una casa a ovest di Gaza City”, ha specificato Abu Ubaidah.
Intanto il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha autorizzato il richiamo in servizio di 5 mila riservisti nell’ambito dell’operazione “Guardiano delle mura”, mentre il premier Benjamin Netanyahu ha riunito in mattinata i vertici della sicurezza nel suo ufficio a Tel Aviv per decidere le prossime mosse.

L’escalation di lunedì
La giornata di lunedì si è chiusa con un ultimo assalto delle forze dell’ordine israeliane contro i fedeli riunitisi nella Spianata delle Moschee e rimasti nel luogo sacro oltre l’orario di preghiera in segno di protesta.
La tensione era alta già dal pomeriggio, quando le sirene anti-missile hanno risuonato per le strade di Gerusalemme a causa del lancio di missili da Gaza contro la città. L’attacco è stato rivendicato da Hamas, ma ore dopo anche Jihad islamica ha lanciato dei razzi verso Israele intorno alle 21 (le 20 in Italia). Entrambi i gruppi hanno affermato che gli attacchi contro lo Stato ebraico erano stati decisi in risposta alle violenze delle forze dell’ordine, che giornalmente sgomberano con cannoni ad acqua, granate stordenti e proiettili di gomma i palestinesi riuniti nella Moschea in segno di protesta per quanto sta accadendo a Sheik Jarrah (sfratti dei residenti arabi. Sfratti illegittimi secondo il diritto internazionale, in quanto disposti da un’autorità occupante nei confronti di cittadini oggetti di occupazione).
Come già spiegato (su InsideOver, 40 abitanti del quartiere di Seikh Jarrah, ben noto anche ai turisti in quanto vi sorgono l’albergo American Colony, la cattedrale anglicana e il mausoleo della regina di Abiadene) rischiano di dire addio alle loro case, la cui proprietà è rivendicata da Nahalat Shimon, un’organizzazione religiosa formata da coloni israeliani che mira a cancellare la presenza araba a Gerusalemme est.
Dopo il primo lancio di razzi, le forze dell’ordine hanno evacuato la Città vecchia e la sessione della Knesset (il Parlamento israeliano) è stata interrotta per ragioni di sicurezza. Nel pomeriggio è stata invece cancellata la marcia per la celebrazione della conquista manu militari di Gerusalemme est avvenuta a seguito della Guerra dei sei giorni. Ogni anno centinaia di coloni, nazionalisti e sostenitori dell’estrema destra entrano nel quartiere arabo della Città vecchia passando per la Porta di Damasco e diretti alla Spianata delle Moschee. La marcia rappresenta una vera e propria provocazione per la popolazione araba di Gerusalemme.
Lo stesso giorno era anche attesa la sentenza della Corte suprema israeliana sul futuro delle famiglie di Sheikn Jarrah, ma il rischio di una ulteriore escalation e le parole di avvertimento arrivate dagli Stati Uniti avevano convinto i giudici a rimandare il pronunciamento.

La risposta di Israele
La risposta dell’esercito israeliano non si è fatto attendere. “Il gruppo pagherà un caro prezzo per le sue azioni. Risponderemo ferocemente”, ha affermato in serata il portavoce delle Idf, Hidai Zilberman. “Nei prossimi giorni Hamas sentirà il braccio lungo dell’esercito (israeliano, ndr). Non ci vorranno pochi minuti, ci vorranno alcuni giorni”. L’esercito sta ancora valutando le misure da prendere in risposta ai razzi di Hamas e tra le opzioni sul tavolo ci sarebbe anche una nuova operazione di terra.
Lunedì sera sono stati condotti i primi raid contro la Striscia e Hamas. Il ministro della Difesa, Benny Gantz, ha spiegato che gli attacchi a Gaza servono ad ottenere “una calma completa e duratura. I raid dovrebbero continuare fino a quando non avremo raggiunto gli obiettivi che ci siamo prefissati”.
Da Hamas sono invece giunte parole meno infuocate. Il numero due del Movimento, Salah al-Arouri, ha affermato che Hamas interromperà il lancio di razzi se anche Israele fermerà gli attacchi ai fedeli musulmani. “Ci sono mediatori, ovvero l’Egitto, le Nazioni Unite e altri, che stanno cercando di porre fine all’escalation. Non siamo interessati a iniziare una guerra, ma se Israele continua a danneggiare la moschea di al-Aqsa e i fedeli, non potremo non rispondere”, ha spiegato Arouri.

Le reazioni
L’esponente dell’Anp (Authority nazionale palestinese), Hussein al-Sheikh, ha definito “una aggressione criminale” quanto accaduto a Gerusalemme est. “L’Anp sta valutando tutte le possibilità per rispondere a questa aggressione criminale contro i luoghi santi e i residenti”. In precedenza, il presidente palestinese Abu Mazen aveva richiesto l’intervento del Consiglio di sicurezza dell’ONU (i cui membri garanti permanenti – con diritto individuale di veto – sono i rappresentanti di: USA, UK, Francia, Russia, Cina) per proteggere il suo popolo. Il consiglio di sicurezza, viste le prerogative dei suoi cinque garanti permanenti, è autoparalizzante. QUESTO È A TUTT’OGGI UNO DEI PRINCIPALI PROBLEMI INTERNAZIONALI DEL MONDO, DA TUTTI CONOSCIUTO E DA TUTTI EVITATO.
Parole di condanna sono giunte anche dal re Abdallah di Giordania, che in una telefonata con Abu Mazen ha condannato “le violazioni e le misure israeliane” sulla Spianata delle Moschee. “Devono cessare immediatamente le pericolose provocazioni contro gli abitanti di Gerusalemme”, ha detto il re (bisogna che mi ricordi di chiedere a mia zia Rosina di associarsi ufficialmente e fermamente a questo tanto decisivo ultimatum: a Washington e a Gerusalemme sono già in grande agitazione per la prospettiva che l’autorevolissima vecchietta dia ascolto alla mia istanza, N.d.R.). In giornata è stato anche convocato l’incaricato di affari israeliano ad Amman.
Sulla questione si è espresso anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha “esortato Israele a cessare le demolizioni e gli sfratti, in linea con i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario”.
Ben diverso il punto di vista del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, secondo cui ciò che sta accadendo a Gerusalemme è “la lotta secolare tra tolleranza e intolleranza, fra violenza selvaggia e mantenimento di ordine e legge”. Il primo ministro ha aggiunto che “Israele risponderà con forza. Non tollereremo attacchi nel nostro territorio, nella nostra capitale e contro i nostri cittadini e soldati”.

2. UNA TESTIMONIANZA DIRETTA DA GERUSALEMME, MA FORZATAMENTE NON FIRMATA
Questa è una lettera/testimonianza che ci è arrivata direttamente da Gerusalemme. Per ragioni che potrete facilmente comprendere, E CHE COM’È NOTO SONO OVVIE IN QUALUNQUE DEMOCRAZIA, l’autore resterà anonimo.
La situazione è complicatissima! La grande colpevole è la politica sia di Netanyahu sia di Hamas in Gaza! Tutti e due lo fanno per mantenersi al potere e ci riescono. Come sempre, quelli che pagano sono i poveri. Ma si tratta di una situazione totalmente nuova. Gli scontri tra Arabi ed Ebrei, entrambi cittadini israeliani. Questo non era mai successo prima! È questa la parte più delicata e più difficile. Si crea una specie di sospetto e odio vicendevole, cosicché non vedi più da parte ebraica gli arabi e al rovescio! Non penso sia una cosa piacevole! Per pubblicare qualcosa dovrei avere un permesso del Custode, dato che non sono una persona privata.
Ci sarebbe tanto da scrivere sulle cause. Più colpa hanno gli ebrei, o meglio Netanyahu, il quale per mantenersi al potere ha fomentato tutto ciò e, come risultato, i partiti Arabi non entreranno a far parte del governo, quindi la coalizione i Yair Lapid non si può fare. A tal punto Naftali Bennet di Destra passa da parte di Bibi il quale rimarrà al potere!

3. UN PARERE AUTOREVOLE E FIRMATO
TONI CAPUOZZO
28 RIGHE SU GAZA
Non so se l’ignoranza si faccia largo perché qui gli influencer non si spingono, oppure perché ognuno si rifugia nel suo schierarsi pregiudiziale. Non è così difficile – in una storia sempre complessa – capire quel che sta succedendo in Medio Oriente. Gli sfratti di Sheikh Jarrah (il quartiere dell’amata American Colony…)? Un pretesto, anche se l’ingiustizia burocratica sta nel fatto che una Corte israeliana non può avere sovranità su un territorio occupato. I motivi veri sono piuttosto chiari: conflitto interno ai palestinesi e longa manus iraniana. Tra i palestinesi Abu Mazen ha rinviato per l’ennesima volta le elezioni in Cisgiordania, per fregare la concorrenza interna, Marwan Barghouti e la stessa Hamas. E Hamas si è infilata nei disordini della spianata delle moschee per condannare i palestinesi a un doloroso e irrilevante estremismo e convincerli: ecco chi vi difende e vi rappresenta davvero. Missili su Gerusalemme e Tel Aviv, certo in quantità tale da mettere a dura prova Iron Dome, il sistema di difesa israeliano, ma sicuramente con un obbiettivo vero: provocare i bombardamenti su Gaza, e mostrare al mondo chi sarebbero i cattivi. Solita, tragica commedia, platea commossa, palestinesi usati da palestinesi come carne da macello, o scudi umani (i missili vengono sparati da case civili). L’Iran? C’è ancora Suleimani da vendicare, ci sono missili trafugati da utilizzare, c’è da sabotare i patti di Abramo (e il mondo arabo non può non solidarizzare con i palestinesi) e gettare scompiglio tra i sunniti, difendere il piano nucleare da posizioni di forza, da garanti di stabilità e instabilità. Neanche a Israele va male: sarebbe più imbarazzante chi vuole trattare, fare politica e diplomazia, che chi lancia missili. E tutti saggiano la debolezza della nuova Casa Bianca. Per capire fino a dove possono spingersi.

UN COMMENTO DI FRANCO CARDINI
Le considerazioni di Toni Capuozzo – a loro volta non certo “obiettive” (come si fa a essere obiettivi su questa materia, anche volendolo essere?) – sono tuttavia da prendere in considerazione: più che opposte, mi sembrano complementari a quelle di altri, le mie comprese. È evidente che in questo come in tutti i conflitti la ragione non è mai da una parte sola. Non va tuttavia dimenticato che, se da una parte i palestinesi sono mandati avanti da chi si serve di loro come “carne da macello”, dall’altra vengono macellati senza scrupoli. Iron Dome sarà anche messa “a dura prova”, ma i risultati in termini di vittime parlano chiaro: e lo squilibrio è evidente. “Provocare i bombardamenti su Gaza”: i giapponesi “provocarono” l’atomica su Hiroshima? Sua Maestà Britannica “provocò” i bombardamenti su Londra del ’40? I native Americans provocarono Wounded Knee? I partigiani ebrei di Varsavia nel ’44 provocarono il massacro del ghetto? Resta il fatto che non si può far confusione fra vittime e carnefici: e che i palestinesi non hanno, dopo decenni di soprusi, alcun bisogno di essere “convinti” da chicchessia, dal momento che sanno benissimo non solo di come li tratta il governo israeliano, ma anche di come il mondo li lascia soli (se non fosse così, Hamas non potrebbe manovrare indisturbata). “Scudi umani”: non succede così in tutte le guerre civili, specie se una delle due parti in conflitto non dispone di una vera e propria forza armata? Per tra quarti di secolo si è fatto convinta e ammirata apologia della Resistenza, pur sapendo che episodi di civili usati in un modo o nell’altro come “scudi umani” sono stati, in quella fase, all’ordine del giorno: non furono usati da qualcuno come “scudi umani” le vittime delle Ardeatine? “Platea commossa”: sì, ma soprattutto dai missili su Israele, non certo dagli arabi massacrati a Gerusalemme e in varie città israeliane durante veri e propri “pogromy”, e nemmeno dai bombardamenti su Gaza (“Israele ha diritto di difendersi”, si è detto: ma infierire su un “avversario” militarmente tanto più debole non è quanto meno “eccesso di difesa”?). Quando si presenta una “spirale della violenza”, bisogna spezzarla: e se davvero la si vuole spezzare, il primo passo deve farlo chi dispone di una forza d’urto più massiccia. Diverso il discorso se si vuole arrivare alla distruzione totale del “nemico”: e a questo fine, se si decide in tal senso, tutti i pretesti sono buoni. “Superius stabat lupus…”.

4. VECCHIE E NUOVE CONFISCHE
MICHELE GIORGIO
LE LORO CASE DATE AGLI IMMIGRATI EBREI, I PALESTINESI NON POSSONO RECLAMARLE
Gerusalemme 1948. La storia della villa Harun ar Rashid, a Gerusalemme Ovest, confiscata dalle autorità israeliane e di cui i proprietari palestinesi cercano invano di rientrare in possesso. Un simbolo della doppia legge di Israele sui beni di arabi ed ebrei prima del 1948.
Valery Bisharat conduce la vita di una giovane newyorkese simile a quella di molti dei suoi coetanei. “Sono le mie radici la diversità dagli altri giovani Usa” racconta “la mia famiglia è di origine palestinese, di Gerusalemme, e penso di avere dentro di me la storia di quella terra”. Per questo nel 2016, Valery, aveva da poco conseguito la maturità scolastica, decise di partire per “quella terra” di cui aveva sentito parlare tanto dal nonno. A spingerla fu anche il padre, George, musicista e commentatore politico sul Medio Oriente. “Desideravo andare alla villa costruita dal mio bisnonno, Hanna Bisharat, una costruzione magnifica, la chiamano Villa Harun ar Rashid, che avevo potuto ammirare solo nelle foto. È stata confiscata alla mia famiglia dalle autorità israeliane dopo il 1948 ed ero curiosa di incontrare chi ci viveva”. Giunta a Gerusalemme Valery troverà nella villa del bisnonno, in via Markus, nel quartiere residenziale di Talbiye, Giselle Arazi, una ebrea novantaseienne. A raccontare l’incontro fu la regista Sahera Dirbas nel documentario “Sulla soglia di casa”. La storia non finì bene. Dopo i primi cordiali colloqui, l’anziana a un certo punto decise di non ricevere più quella giovane palestinese che faceva tante domande e aveva voluto vedere da vicino la villa presa al nonno dalle autorità israeliane. Il film si conclude con Valery che scrive una lettera a Giselle in cui descrive la sua delusione per averla tenuta fuori, sull’uscio di casa.
Furono migliaia le proprietà confiscate ai palestinesi che vivevano nella zona Ovest di Gerusalemme, la parte ebraica della città. La villa del bisnonno di Valery però è sempre stata speciale, in ragione della sua bellezza e maestosità. Un gioiello di pietra con un bel giardino che Hanna Bisharat pur essendo un cristiano volle dedicare al califfo abbaside Harun ar Rashid, una delle figure più celebri della storia islamica. Il suo valore è calcolato in milioni di dollari. Vi hanno vissuto importanti funzionari israeliani e anche Golda Meir, la donna premier di Israele famosa nel mondo. “La mia famiglia ha provato più volte a recuperare la villa ma non c’è stato nulla da fare, la legge israeliana non permette ai proprietari palestinesi (di case e terreni confiscati dallo Stato) di riottenere ciò che gli apparteneva” spiega Valery che fa fatica a controllare le emozioni ricordando la breve ma intensa visita alla Harun ar Rashid. “È stato come aver vissuto tutto in un colpo le storie e i ricordi della mia famiglia, una sensazione unica”.
L’occupazione e l’assegnazione in prevalenza ad immigrati ebrei delle proprietà palestinesi confiscate nella zona Ovest di Gerusalemme – sotto il controllo Israele al momento del cessate il fuoco il 17 luglio 1948 (il regno di Transgiordania aveva le mani sulla parte Est) – sono state tra i primi provvedimenti presi dalle autorità del neonato Stato di Israele. Una cintura di terra di nessuno correva a sud di Sheikh Jarrah, lungo il lato Ovest delle mura della città vecchia e la via Hebron, fino a Ramat Rahel. Il mediatore delle Nazioni Unite Folke Bernadotte si impegnò per permettere agli sfollati palestinesi di tornare alle loro case senza restrizioni e in possesso delle loro proprietà. Una soluzione fortemente avversata dai leader israeliani che in quei giorni pianificavano l’annessione di Gerusalemme Ovest. Ma ebbero il tempo di varare quelle direttive per confiscare le case, i terreni e le attività commerciali palestinesi che furono poi codificate nella Legge sulla proprietà degli assenti, del 1950. Per questa legge un “assente” è una persona che in qualsiasi momento tra il 29 novembre 1947 e il giorno in cui lo stato di emergenza dichiarato nel 1948 sarebbe cessato di esistere, era diventato cittadino di un paese arabo, aveva visitato un paese arabo o lasciato la Palestina prima del 1° settembre 1948. In pratica riguardava tutti i profughi palestinesi e buona parte degli sfollati interni, inclusi coloro che a causa della guerra erano scappati temporaneamente da Gerusalemme Ovest. Il comitato per gli alloggi cominciò subito ad insediare immigrati e sfollati ebrei nelle case palestinesi a Qatamon, la Colonia tedesca, Baqaa, Musrara, Abu Tor e Talbiya. Lo storico Salim Tamari ricorda che i nuovi immigrati ebrei erano più che disposti a trasferirsi nelle spaziose case palestinesi. “Tanto che – aggiunge – quando ad alcuni di loro fu detto che sarebbero stati alloggiati nell’ebraica Neve Sha’anan si rifiutarono di trasferirsi lì dicendo che preferivano vivere nelle ville di Qatamon a Gerusalemme”. Case e ville spesso meravigliose. Ancora oggi gli agenti immobiliari israeliani a Gerusalemme non mancano di far notare ai potenziali acquirenti che quella è una casa “araba”, quindi bella e spaziosa.
Sahera Dirbas, girando il primo dei suoi documentari (“Estranea a casa mia”) sulle case palestinesi a Gerusalemme Ovest assegnate a cittadini israeliani, accompagnò nel 2006 alcuni dei proprietari alle abitazioni. “Ripresi con la telecamera gli incontri tra i palestinesi e gli israeliani che vivono nelle case confiscate – racconta – e ricordo bene il disorientamento, unito a frustrazione e dolore, dei palestinesi che ripetevano di avere diritti su quelle abitazioni, contro la calma degli israeliani che si mostravano cordiali, sorridenti e, più di tutto, molto tranquilli: sapevano che la legge non avrebbe mai permesso ai quei visitatori di riprendere possesso delle case, nonostante avessero i documenti che attestavano la proprietà degli stabili prima del 1948”.
Yacoub Abu Arafeh, di Sheikh Jarrah, il quartiere di Gerusalemme Est dove una società immobiliare legata alla destra israeliana reclama le proprietà possedute da famiglie ebree prima del 1948 – 28 famiglie palestinesi rischiano di essere cacciate via dalle loro case – commenta laconicamente: “Se gli israeliani vogliono le loro proprietà qui a Sheikh Jarrah allora ci ridiano le nostre a Gerusalemme Ovest, a Giaffa, Haifa, ovunque”.
(il manifesto, 12 maggio 2021)

GAETANO COLONNA
LA LEGGE DEL PIÙ FORTE: PALESTINESI A SHEIKH JARRAH
Presentiamo una documentata ricostruzione del caso Sheikh Jarrah, il quartiere di Gerusalemme Est da cui i coloni israeliani vogliono eliminare la presenza dei palestinesi. La storia è istruttiva perché dimostra come uno stato moderno possa utilizzare strumenti giuridici per favorire la pulizia etnica di un territorio.
In seguito agli eventi, noti ai palestinesi come Nakba, o Catastrofe, 28 famiglie si stabilirono nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est nel 1956, sperando che sarebbe stata l’ultima volta in cui sarebbero state costrette a lasciare le loro case.
Ma queste famiglie, il cui numero è cresciuto fino a 38 da allora, dicono di vivere quotidianamente una rinnovata Nakba.
Il tribunale centrale israeliano a Gerusalemme Est ha approvato all’inizio di quest’anno una decisione di sfrattare quattro famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah, a favore dei coloni israeliani di destra.
La Corte Suprema israeliana avrebbe dovuto emettere una sentenza sugli sgomberi giovedì, tra accese manifestazioni e scontri tra palestinesi e coloni israeliani, ma la decisione è stata rinviata al 10 maggio [ulteriormente rinviata il 12 maggio, con risultato ignoto n.d.r.].
Nel caso in cui il tribunale si pronunci a favore dei coloni, le famiglie palestinesi perderanno le loro case. Altre famiglie dovranno affrontare un destino simile.

Un destino palestinese
Nel 1956, le 28 famiglie di rifugiati, che avevano perso la casa durante la Nakba, raggiunsero un accordo con il Ministero giordano per l’edilizia e lo sviluppo e l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. A quel tempo, infatti, la Cisgiordania era sotto il controllo della Giordania (1951-1967).
Secondo la Coalizione Civica per i Diritti dei Palestinesi a Gerusalemme (CCPRJ), il governo giordano aveva fornito la terra, mentre l’UNRWA copriva i costi per la costruzione di 28 case per queste famiglie.
“Un contratto venne concluso tra il Ministero dell’Edilizia e della Ricostruzione e le famiglie palestinesi, nel 1956: una delle condizioni principali stabiliva che i residenti pagassero una quota simbolica, a condizione che la proprietà fosse trasferita ai residenti dopo tre anni dal completamento della costruzione” ha precisato il CCPRJ in una dichiarazione.
Ciò, tuttavia, è stato interrotto dall’occupazione israeliana della Cisgiordania, compresa Gerusalemme, nel 1967, che ha impedito la registrazione delle case sotto i nomi delle famiglie, si legge nella stessa dichiarazione comunicato.
La scorsa settimana, il ministero degli Esteri giordano ha affermato di aver fornito al ministero degli Affari Esteri dell’Autorità Palestinese 14 accordi ratificati, destinati alla popolazione del quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, che sostengono la loro rivendicazione delle loro terre e della relativa proprietà.
In una dichiarazione, il ministero ha affermato di aver consegnato ai residenti un certificato attestante che il ministero giordano per l’edilizia e lo sviluppo aveva concluso un accordo con l’UNRWA per edificare 28 unità abitative a Sheikh Jarrah, da delegare e registrare a nome di queste famiglie.
Secondo la dichiarazione, il procedimento, tuttavia, è stato interrotto a causa dell’occupazione israeliana della Cisgiordania nel 1967.
Il ministero giordano ha affermato di aver precedentemente fornito alla parte palestinese tutti i documenti che potrebbero aiutare i Palestinesi in questione a mantenere i loro pieni diritti, inclusi i contratti di locazione, gli elenchi dei nomi dei beneficiari ed una copia dell’accordo concluso con l’UNRWA nel 1954.

La giustizia israeliana all’opera
Muhammad al-Sabbagh, un residente del quartiere, ha spiegato all’Agenzia Anadolu che il dramma delle famiglie palestinesi è iniziato nel 1972, quando il Comitato sefardita e il Comitato della Knesset di Israele hanno affermato di possedere la terra su cui erano state costruite le case nel 1885. Nel luglio 1972, le due associazioni israeliane chiesero al tribunale di sfrattare quattro famiglie dalle loro case nel quartiere, accusandole di accaparramento di terre, secondo il CCPRJ.
Le famiglie palestinesi nominarono un avvocato per difendere i loro diritti e nel 1976 fu emesso un verdetto a loro favore dai tribunali israeliani.
“Tuttavia, il tribunale, utilizzando una nuova registrazione effettuata presso il dipartimento del catasto israeliano, ha deciso che la terra appartiene alle associazioni dei coloni israeliani”, ha detto al-Sabbagh.
Nel 1970 fu promulgata la Legge sugli Affari legali e Amministrativi in Israele, che stabiliva, tra le altre cose, che gli Ebrei che avevano perso le loro proprietà a Gerusalemme Est nel 1948, potevano reclamarle.
Il movimento israeliano Peace Now afferma che la legge non consente invece ai Palestinesi di fare altrettanto per le loro proprietà perse in Israele nel 1948, un fatto che prova l’esistenza di una legge separata per Ebrei e Palestinesi.
Secondo al-Sabbagh, i residenti di Sheikh Jarrah sono stati ingannati da un avvocato israeliano incaricato di difenderli.
“Nel 1982, le associazioni degli insediamenti israeliani hanno intentato una causa di sfratto contro 24 famiglie nel quartiere di Sheikh Jarrah”, spiega al-Sabbagh, aggiungendo che 17 famiglie hanno incaricato l’avvocato israeliano Tosia Cohen di difenderle.
Mentre la battaglia legale continuava, al-Sabbagh racconta che l’avvocato Cohen nel 1991 ha firmato un accordo, all’insaputa delle famiglie, secondo il quale la proprietà della terra appartiene alle associazioni dei coloni.
“Ai residenti del quartiere è stato invece concesso lo status di inquilino”, ha aggiunto al-Sabbagh.
L’avvocato, secondo il CCPRJ, ha messo le famiglie palestinesi “sotto la minaccia di sfratto se non fossero riuscite a pagare l’affitto alle associazioni dei coloni”.

Contenzioso senza tempo
Nel frattempo, i tribunali israeliani hanno continuato a ricevere cause fra residenti palestinesi e associazioni dei coloni israeliani.
Nel 1997, Suleiman Darwish Hijazi, un residente del posto, ha intentato una causa presso la Corte centrale israeliana per dimostrare la sua proprietà terriera, utilizzando titoli di proprietà emessi dall’Impero Ottomano, che sono stati ottenuti dalla Turchia. La mossa, tuttavia, si è rivelata controproducente quando il tribunale ha respinto la sua richiesta, nel 2005.
La corte ha affermato che i documenti non hanno dimostrato la sua proprietà terriera e l’appello di Hijazi dell’anno successivo è stato respinto.
Per anni, i tribunali israeliani hanno trattato casi presentati da associazioni di coloni contro residenti palestinesi, nonché appelli palestinesi contro le sentenze dei tribunali emesse a favore dei coloni.
Nel novembre 2008, tuttavia, la famiglia al-Kurd è stata sfrattata dalla sua casa, seguita dallo sfratto delle famiglie Hanoun e al-Ghawi nell’agosto 2009. Le loro case sono state occupate dai coloni, che si sono affrettati ad innalzare le bandiere israeliane su di loro, segnando una nuova fase del dramma dei Palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah.
Finora, 12 famiglie palestinesi del quartiere hanno ricevuto ordini di sfratto emanati dal tribunale centrale e dai magistrati israeliani. Più recentemente, quattro famiglie palestinesi hanno presentato una petizione alla Corte Suprema, il massimo organo giudiziario israeliano, contro la decisione di espellerle dalle loro case. Il tribunale si pronuncerà sulla questione lunedì.
Al-Sabbagh, che ha una famiglia di 32 membri di cui 10 bambini, teme che il verdetto del tribunale renda lui e la sua famiglia di nuovo rifugiati. Nel 1948, la famiglia di al-Sabbagh era fuggita dalla loro casa a Giaffa, che ora è abitata da israeliani.
Fonte: https://www.aa.com.tr/en/middle-east/sheikh-jarrah-neighborhood-in-jerusalem-the-full-story/2233523
(clarissa.it, 12 maggio 2021)