Minima Cardiniana 328/1

Domenica 23 maggio 2021, Domenica di Pentecoste

IN MEMORIAM
FRANCO BATTIATO (1945-2021)
Difficile, forse impossibile aggiungere qualcosa a quanto già scritto in questi giorni e non solo, dopo la scomparsa del grande artista siciliano che definire semplicemente “cantautore” risulterebbe limitativo e fuorviante. Se fosse nato due secoli prima, probabilmente Franco Battiato sarebbe stato un compositore classico, un filosofo, un mistico, magari tutte queste cose insieme o addirittura (anche) qualcos’altro.
Se n’è andato in silenzio nella sua Milo, lontano dai riflettori e dalle luci della ribalta. Solo gli zampilli dell’Etna a illuminare il genio di un protagonista che difficilmente sarà dimenticato, solo alcuni amici e parenti stretti ad accompagnarlo nell’ultimo viaggio su questa terra. Malato da tempo, dopo aver abbandonato il palcoscenico aveva trovato rifugio tra il sale e il sole della sua amatissima isola. Che, senza esitazione, lo aveva sempre corrisposto. Nulla di misterioso, solo la strenua difesa di una dimensione, quella “privata”, che oggigiorno sembra aver sacrificato ogni angolo di esistenza al confessionale mediatico.
In un piccolo libro uscito per la collana “Sorbonne” di Edizioni Clichy e pubblicato poco meno di due anni fa – qualche mese prima della pandemia –, ho definito Battiato un “profeta antimoderno”. Perché “profeta”? Perché nelle sue canzoni, a partire da quelle di gran successo degli anni ottanta, sono adombrati i prodromi della nostra discesa agli inferi. Perché antimoderno? Più o meno per lo stesso motivo. È riuscito a leggere in anticipo il futuro prossimo denunciandone i vizi, i pericoli, i rischi, le deviazioni. Ne ha previsto la caduta, ne ha condannato le miserie. Le sue canzoni, a partire da Patriots, contengono intuizioni geniali, sferzanti: “Siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro” canta Battiato in Bandiera bianca, ovvero la presa di coscienza della già solidificata mercificazione della società, ridotta a un cumulo di macerie le cui nuove cattedrali sono i “supermercati con i reparti sacri” (Magic Shop). Il potere distruttivo del denaro rimarrà una delle costanti della sua poetica, anche quando a scrivere i testi, a partire dagli anni novanta, sarà l’amico filosofo Manlio Sgalambro.
Franco Battiato è sempre stato “oltre” la nostra dimensione: un ponte tra la musica classica e quella cosiddetta “leggera”, tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud, tra Cielo e Terra. È stato musicista, compositore, operista, regista, pittore, mistico, filosofo. Ci ha regalato un “macrotesto” di arte purissima facendoci divertire, cantare, riflettere, studiare e, perché no, pregare. Ha disseminato nelle sue creazioni spunti e stimoli per approfondire, ha sfidato la nostra ignoranza incoraggiandoci a superare il gradino del qui ed ora per avvicinarci al poi. Ci ha fatto capire che nulla è impossibile, che i mondi lontanissimi e i territori mistici sono alla nostra portata, ma che per raggiungerli è necessario un radicale cambiamento di prospettiva: per citare una delle sue composizioni più belle, Battiato ci invita a “cambiare l’oggetto dei nostri desideri, non accontentarsi di piccole gioie quotidiane, emanciparsi dall’incubo delle passioni, cercare l’Uno al di sopra del Bene e del male”.
La destra italiana si innamorò del cinghiale bianco e provò a corteggiarlo, ma lui non ricambiò. Così distante dalla politica e dalle sue malefatte, ne cantò le miserie, non solo in Povera patria, “schiacciata dagli abusi di potere”: “L’evoluzione sociale non serve al popolo, se non è preceduta da un’evoluzione di pensiero” sono alcuni versi tratti da New Frontiers, canzone semisconosciuta ma formidabile, come tanti altri brani “minori”. Di Battiato, lo sappiamo, non si butta via niente.
Che dire, poi, delle perle regalate alle sue muse Alice, Milva e Giuni Russo, che gli devono più di qualcosa, spesso addirittura intere carriere, (ri)scoperte, svolte, melodie memorabili e primi posti in classifica.
Franco Battiato è stato unico perché la sua evoluzione artistica e personale ha seguito un percorso fuori dal comune: nessuna corrente, nessun riferimento, nessuna influenza, nessuna appartenenza. La sua variegata espressione artistica è un caleidoscopio di tradizioni, intuizioni, ricordi personali, riferimenti spirituali. Mai uguale a se stesso, ha continuato a sperimentare facendo della ricerca il paradigma della sua esistenza. Inafferrabile, solo come i grandi geni sono in grado di esserlo. Quando sembrava di averlo raggiunto, lui era già oltre. Della vita terrena ha amato tutto, “anche l’odore che davano gli asparagi all’urina”, come canta in una canzone dal titolo emblematico, Testamento: “Lascio agli eredi l’imparzialità, la volontà di crescere e capire, uno sguardo feroce e indulgente, per non offendere inutilmente”.
Straordinaria, la sua eredità. Non solo “canzonette”.
David Nieri