Domenica 23 maggio 2021, Domenica di Pentecoste
EDITORIALE
TREGUA
Sembra che l’opinione pubblica israeliana nella sua maggioranza non gradisca la tregua. In fondo, io sono d’accordo con loro. Quando si vince non è saggio concedere tregua: una resa incondizionata del nemico è preferibile. Quando si è sperimentato con certezza che qualunque cosa si faccia si gode dell’impunità internazionale sulla base di un budget morale praticamente inesauribile depositato nella Banca delle Verità Incontestabili, dei Delitti Imperdonabili e dei Crediti Morali Illimitati, ci si può permettere qualunque cosa: e non c’è risoluzione delle Nazioni Unite che tenga. Se poi il nemico non ha un esercito vero e proprio, è diviso al suo interno, non gode di alcun supporto internazionale e oltretutto ha troppi bambini (una minaccia per l’equilibrio demografico del futuro), perché concedergli respiro?
Ma allora, amici israeliani, andate fino in fondo.
La Palestina appartiene all’area di espansione del “grande Israele” e ormai gli insediamenti dei coloni se la stanno mangiando un pezzo dietro l’altro. Occupatela tutta: ci sarà qualche giorno di malessere internazionale, qualche governo e qualche gruppo politico protesterà, forse dovremo affrontare un’ondata di terrorismo e quasi certamente alcune bandiere israeliane bruciate; dovremo sopportare anche qualche caso d’ignobile oltraggio a sinagoghe o cimiteri, qualche rivoltante caso di rigurgito antisemita: ma niente di più. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU in ogni caso sarà congelato, se qualche membro di esso si permetterà di proporre passi avventati nei vostri confronti, dal “Veto” statunitense. A questo punto l’Assemblea non potrà che prendere atto della situazione. Ma non ci sarà bisogno di arrivare a tanto. Siamo seri, siamo realistici: qualunque cosa vogliate, la società internazionale ve la consentirà.
In quel caso però avrete tre milioni (arrotondo le cifre) di palestinesi cisgiordani e due della striscia di Gaza (più quelli di Gerusalemme che hanno rifiutato la cittadinanza israeliana) da gestire. È impensabile che, dopo aver loro scippato quel che restava della loro patria, li riduciate a qualcosa di simile alle riserve dei native Americans; d’altronde, è improponibile che concediate loro il diritto di cittadinanza israeliana, sia pure nella forma implicitamente un po’ restrittiva che accordate agli israeliani non ebrei. Un apporto elettorale di nuovi cittadini del genere muterebbe la fisionomia politica e l’equilibrio stesso del vostro paese. D’altronde, il vostro è uno Stato Ebraico: conditio sine qua non perché lo resti è che in esso gli ebrei siano una chiara e netta maggioranza. Mettendovi i palestinesi in casa e accordando loro qualche diritto civile vi mettete a rischio davvero eccessivo. Potete d’altronde prendervi il territorio e ignorare del tutto chi lo abita? Potete ridurne, certo, gli abitanti: dalle azioni militari a quelle sociali e giuridiche ecc. ci sono molti modi per farlo. Ma non sarà rischioso anche per voi? Pensate a quanti dei vostri giovani stanno nelle vostre galere perché non vogliono più far guerra ai civili, alle donne, ai bambini. Quella è una forza della quale dovete aver paura sul serio: e quella non teme le risoluzioni ONU addomesticate né i “Veti” compiacenti dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Ascoltatela, quella parte dei vostri cittadini che chiede Peace Now, ma non pace solo come assenza di guerra, non pace fondata sulla paura e sull’ingiustizia.
E allora? Tornare alla formula “due popoli-due stati”? È chiaro che non avete alcuna intenzione di accettarla: a meno di non proporre termini territoriali che per la vostra controparte sarebbero inaccettabili. D’altronde, non c’è alternativa realistica. Non potete concepire uno stato ebraico che si limiti a imporre la sua espansione e la sua supremazia per tenersi in futuro al suo interno una massa di milioni di apolidi senza chiaro statuto nazionale, senza diritti, senza passaporto. Potreste favorirne in ogni modo l’esito, magari appoggiati da quegli stati arabi che ormai sono chiaramente vostri neoalleati, a cominciare dall’Arabia Saudita e dalla Giordania. A livello internazionale, un accordo che consentisse ai palestinesi che ormai non ce la fanno più ma non intendono diventare israeliani di trovare una sistemazione decorosa in paesi arabi vicini o comunque in altri paesi potrebbe consentirvi di rimanere padroni del territorio sul quale resterebbe solo una aliquota minima di palestinesi, da quantificare beninteso, costituita dagli irriducibili che rifiutassero sia la cittadinanza israeliana, sia l’abbandono del paese.
Intendiamoci, cari amici: e lasciamo perdere le balle come la democrazia, l’identità, il diritto alla vita e alla patria eccetera. I vostri nonni, che hanno sofferto la grande persecuzione e che poi hanno combattuto nelle guerre arabo-israeliane, queste cose le capivano e le rispettavano: voi nella vostra stragrande maggioranza non le capite più, non v’interessano, non le sentite gravare sulle vostre coscienze. Buon pro vi faccia: avete il coltello internazionale dalla parte del manico, è inutile annoiarvi con chiacchiere umanitarie. È evidente che la situazione che vi prospetto è indegna, è vergognosa, calpesta tutti i diritti umani dei quali ci siamo riempiti la bocca negli ultimi decenni. Ma non ci credeva nessuno: e questa è la situazione che il vostro governo ha impostato; e la persona che ne è a capo sa bene quanto poco lo amiate e lo stimiate, quale opinione abbiate di lui e della sua onestà e correttezza, e che solo a patto di un’arcivittoria sui palestinesi continuerete a votarlo. Quindi, andiamo avanti così. Sapendo quel che dovrebbero capire anche a Washington, ammesso che alla Casa Bianca ci sia attualmente qualcuno disposto a capire qualcosa (c’è comunque chi ha capito anche troppo, la signora vicepresidente; la quale, fedele alla sua linea ispirata a Hillary Clinton, desidera appunto esattamente che accada quanto abbiamo prospettato).
Certo, v’è un’altra soluzione: l’inesauribile, inarrestabile, paziente gradualità fondata sulla scarsa memoria e sull’eccessiva viltà dei vostri interlocutori. Tutto resta com’è fino alla prossima provocazione, alla prossima profanazione del Haram esh-Sharif, alla prossima evacuazione forzata, al prossimo esproprio illegittimo d’immobili, la prossimo insediamento di coloni nei “territori”: e quindi alla prossima sollevazione, ai prossimi ridicoli razzi semi-inutili che faranno pochi morti di più dei fuochi artificiali di Piedigrotta a ferragosto e che daranno lavoro al vostro splendido sistema Iron Dome, allo scontro con un nuovo bilancio di poche decine di vittime israeliane e alcune centinaia di vittime palestinesi delle quali una buona parte bambini e ragazzi. Poi una nuova tregua a condizioni ancora un po’ peggiori per i palestinesi e così via, fino all’ultimo palestinese. Quante fasi occorreranno ancora? Quanti passaggi? Cinque o sei? Una decina? Voi avete tempo, potete permettervi di aver pazienza: sono loro, sono gli altri che non ce la fanno più. Non è, intendiamoci, che nessuno pensi che voi ne auspichiate una Soluzione Finale. Un po’ ne ammazzerete, un po’ se ne andranno, un po’ resteranno cocciuti fino a naturale consunzione generazionale. Il risultato sarà lo stesso, con un po’ più di tempo e meno scossoni internazionali.
Altrimenti, la soluzione che tutti auspicheremmo e che forse sarebbe ancora possibile. Ormai la vorremmo tutti: anche i palestinesi più ostinati ed estremisti, i quali però non osano ammetterlo. Ridefiniamo i rapporti bilaterali: fate un piccolo passo indietro voi su almeno un’area periferica di Gerusalemme (lì c’è una questione morale e direi ontologica inaggirabile) e su qualche area dei territori occupati che voi vi ostinate a non voler definire tali, ma insomma ci siamo capiti. Permettete ai vostri avversari d’inghiottire un rospo gigantesco, non presentate loro un batrace di dimensioni bovine perché non ce la farebbero a deglutirlo e a digerirlo. Due stati, due popoli: magari quello palestinese sotto implicito protettorato israeliano. Consentite ai palestinesi di salvare almeno la faccia, insieme con qualche brandello di terra. Solo che voi ormai da quest’orecchio non ci sentite. Sarebbe la soluzione meno ingiusta, ma non vi basta. E allora, dal momento che gli USA sono con voi, l’Unione Europea con voi, la NATO con voi, molti paesi arabi con voi e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU lo tenete in pugno, scegliete voi quale soluzione preferite e fatecelo sapere.
A meno che… E, sia chiaro, quod Deus avertat. A meno che non entri in gioco l’Imponderabile (ezbà Elohim, si dice in ebraico): che qualcuno non si faccia saltare i nervi, da qualche parte (magari a Teheran, se non ad Ankara; a Mosca è difficile, a Pechino quasi impossibile; ma nella storia non si può mai dire né “sempre”, né “mai”). Ce la fareste comunque, voi e i vostri alleati. Ma a quale prezzo, per voi stessi oltre che per gli altri? Davvero, Dio non lo voglia.
F.C.