Minima Cardiniana 329/7

Domenica 30 maggio 2021, Santissima Trinità

DAVID NIERI
GIORGIA MELONI E LA TOLLERANZA A TESTA INGIÙ
Premessa d’obbligo: chi scrive non ha letto e probabilmente non leggerà – per mancanza di tempo e di interesse in questo genere “letterario” – l’autobiografia di Giorgia Meloni dal titolo Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee, recentemente pubblicata da Rizzoli (Mondadori) e in testa alle classifiche dei libri più venduti.
In questo momento Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è senz’altro il “fenomeno” più interessante della politica italiana: non solo per la sua scelta di non appoggiare il governo del tecnico Draghi e quindi di accomodarsi, magari con un dicastero, sul carro del vincitore senza aver combattuto e al netto della legittimazione del voto popolare (questa sconosciuta, verrebbe da dire, visto che l’ultimo governo concepito naturalmente dai seggi fu quello di Berlusconi, caduto sotto i colpi dello spread nell’ormai lontano 2011); ma, soprattutto, per essere stata in grado – lei, donna “di borgata” del quartiere popolare capitolino della Garbatella – di riesumare le spoglie di un partito ormai inesistente dopo i disastri gianfrancofiniani e portarlo alle soglie del 20% di preferenze, secondo quanto ci offrono le statistiche. Una sorta di miracolo, non c’è che dire, un perfetto esempio di self-made woman che, nell’epoca della lotta per le investiture di genere, ha scavalcato ogni recinzione pregiudiziale grazie al suo impegno, alla sua caparbietà e – ovviamente – ai suoi meriti, ponendosi alla guida di un partito dalla nomea pericolosa per poi farlo volare nei sondaggi. Può piacere o dispiacere – com’è giusto che sia –, Giorgia Meloni; ma tutti, piacenti o dispiacenti, dovremmo rendere onore al merito.
Un passo da velocista che in pochi, dobbiamo dire, si aspettavano. Sarà questo incremento percentuale di fidelizzazione elettorale – che sta mettendo in serio pericolo la leadership di coalizione di centrodestra, visto che la Lega salviniana è ormai vicinissima –, sarà che la sua autobiografia ha spodestato la narrativa di genere scavalcando, in un batter di ciglia, thriller, gialli, romanzi storici e saggistica dantesca, fatto sta che i mal di stomaco, già affetti da una certa acidità – ricordate gli insulti pesantissimi a lei rivolti in modulazione di frequenza da tale professor Giovanni Gozzini dell’Università di Siena? –, sono esplosi in maniera direttamente proporzionale ai ritmi della “scalata” della Giorgia nazionale. Tant’è che il suo libro, come facilmente possiamo immaginare, è diventato il feticcio contro il quale il “popolo dei social” si è scatenato per vomitare rabbia, frustrazione, ignoranza e, perché no – visto che vanno di moda –, “razzismo” e “sessismo”. Se ne leggono di tutti i colori, sulle pagine e sui profili resi possibili, fruibili e accessibili dalle moderne tecnologie, tanto che il vecchio e vituperato “bar sport” sembra, al confronto, un circolo di fini intellettuali. Un libro, in effetti, non si legge se non interessa – legittima scelta –, ma non lo si critica “a priori” perché scritto da una “fascista”; magari, perché no, si entra nel merito, si affrontano i contenuti e, solo in quel caso, si esprime un’opinione. Mi chiedo, infatti, se tra i tantissimi detrattori nessuno di loro faccia parte di quella “fetta” consistente di italiani (sei su dieci) che, nell’arco di un anno, non aprono neanche un libro; oppure se tali moltitudini non annoverino virtuosi pasionari del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia per la “prevenzione e il contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Tutto lecito, per carità, ma come al solito ci troviamo di fronte a un cortocircuito intellettuale, culturale e giurisprudenziale fondato sulla concezione politicamente corretta (che forse sarebbe meglio definire “obbligata”) attraverso la quale si declinano i diversi pesi, misure, pagliuzze e travi.
Le offese sui social e non solo non si contano. Come le immagini orgogliosamente diffuse e massicciamente condivise della copertina del libro – che ritrae il volto dell’autrice – “capovolta”, il cui significato “simbolico” è stato chiarito – a favore di coloro che lì per lì non avevano compreso – da un professore associato di Storia contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Simon Levis Sullam, del quale – sia detto per evitare di incorrere in pregiudizi – abbiamo pubblicato su queste pagine un intervento sul conflitto israelo-palestinese la settimana scorsa. L’“educatore”, infatti, ha pensato bene di fotografare la vetrina di una libreria Feltrinelli con la copertina dei libri di Giorgia Meloni al contrario: non una copia, bensì l’intera fila. Onore al “vetrinista” e al fotografo, non c’è che dire, tanto più che il libro detestato è in cima alla classifica, quindi ben evidente. “Nelle librerie Feltrinelli può capitare”, ha scritto poi Levis Sullam nel commento alla foto che ha fatto il giro del mondo virtuale. E pensare che il suddetto professore – studioso di fascismo, antisemitismo, retoriche politiche e Shoah – si è dichiarato offeso, erroneamente interpretato e strumentalizzato, senza però, a quanto pare, salvare né capra né cavoli. Vedremo se gli organi accademici prenderanno provvedimenti, dopo aver invitato il “responsabile” a rimuovere il post.
Concludo con un altro esempio tra i tanti, tantissimi che potrei citare. Nei giorni scorsi, in rete, mi è capitato di imbattermi in un certo “professor” Guido Saraceni – anche lui un educatore, visto che insegna giurisprudenza all’Università di Teramo –, scrittore e probabilmente influencer, considerato il gran seguito di followers di cui gode su Facebook. Per “dire la sua” e ovviamente denigrare non il libro della Meloni, ma la Meloni stessa, ha usato l’artificio delle due copertine fotografate e affiancate (Io sono Giorgia e il suo, L’oceano in una goccia, che sinceramente non conoscevo), tentando maldestramente di far passare le sue parole come un “post ironico”, quando è sufficiente leggere i suoi commenti “abituali” per capire che di ironico c’è ben poco: “In questo momento io e Giorgia Meloni siamo insieme in libreria (!) con i nostri rispettivi libri. Solo che lei, con la solita boriosa arroganza da urlatrice di piazza, occupa intere vetrine, mentre il mio romanzo si trova educatamente, rispettosamente e democraticamente, sugli scaffali”.
Bertolt Brecht aveva ragione: “Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico”. Che è, a tutti gli effetti, un “nemico metafisico”, per citare Hannah Arendt. Se non c’è, bisogna inventarlo. Anche (e soprattutto) per riparare alla nostra miseria intellettuale e morale, che si riduce all’insulto non essendo più capace di argomentare, comprendere e rispettare.