Domenica 6 giugno 2021, Corpus Domini
EBREI E SIONISTI: EPPURE C’È ANCORA BISOGNO DI PRECISARE
LUIGI COPERTINO
EBRAISMO E SIONISMO. UNA NOTA DI PRECISAZIONE
Caro Franco,
come ben sai noi cristiani – quindi anche tu – siamo “spiritualmente semiti”. La definizione è di Pio XI (Achille Ratti), Papa preconciliare e pertanto, secondo la vulgata progressista, da annoverare tra quelli “cattivi” che precedettero il “Papa buono” con il quale la Chiesa finalmente ha aperto alla modernità rinunciando al sacro. Pio XI regnò tra le due guerre mondiali, nel tornante degli anni ’30 confrontandosi duramente con l’emergente antisemitismo nazista al punto da ritirarsi in Castel Gandolfo, per non incontrarlo, quando Hitler venne in visita a Roma. Ciò non è bastato a preservarlo dall’accusa di essere un filofascista al quale succedette direttamente, nientepopodimeno che, il “Papa di Hitler” ossia Pio XII.
Papa Ratti pronunciò quelle parole il 6 settembre 1938 durante un’udienza concessa ad un gruppo di pellegrini belgi. Non ancora era stata promulgata la Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” ma, come può constatarsi, l’antico e stretto rapporto, genetico, tra ebraismo e Cristianesimo – quest’ultimo non è altro che l’universalizzazione dell’autentico Ebraismo –, da sempre sussistente, all’occorrenza si palesava apertamente. Certo si è trattato di una relazione storicamente anche conflittuale – dall’una e dall’altra parte – con una egemonia repressiva da parte ebraica agli inizi ed una successiva “rivincita” da parte cristiana quando i rapporti di forza si rovesciarono. Tuttavia, in fin dei conti, si è sempre trattato di una lite tra “fratelli” maggiori e minori, con tutto il significato spirituale che la Bibbia assegna al conflitto tra gli uni e gli altri esemplificato in figure come Caino e Abele, Ismaele e Isacco, Giacobbe ed Esaù. Fino ai due fratelli della parabola evangelica detta del “figliol prodigo”.
Colgo, in Minima Cardiniana 329/4 del 3 maggio scorso, la tua non condivisione del mio giudizio sui sionisti come veri “antisemiti”. Non lo condividi perché, giustamente, consideri il sionismo parte della grande storia ebraica. Ed hai ragione. Tuttavia il fatto che il sionismo sia interno all’ebraismo non significa che possa legittimamente rappresentarne l’essenza più pura e che, anzi, in qualche modo non ne sia invece una distorsione, come protestano da decenni i Neturei Karta fedeli all’ebraismo postbiblico pre-sionista. Anche la Santa Inquisizione è stata interna alla storia cristiana ma, al netto della falsa leggenda nera, possiamo ritenere che essa abbia espresso l’essenza autentica del Cristianesimo?
La storia dei rapporti, inizialmente conflittuali, tra i seguaci di Theodor Herzl ed il rabbinato “tradizionalista” di un tempo sta lì a dimostrare quanto di ideologicamente e politicamente strumentale vi sia nell’approccio dei sionisti, che in genere sono per lo più atei, alla fede di Israele. Il rabbinato, al comparire del sionismo, non ebbe un atteggiamento benevolo verso di esso più o meno per gli stessi motivi per il quali oggi gruppi come i Neturei Karta continuano ad avversarlo, ossia il sottofondo irreligioso ed “empio” che trapela dal sionismo inteso come movimento nazionalista “laico”. Una sorta di mazzinianesimo ebraico benché con risvolti del tutto peculiari.
Nel giro di un secolo e mezzo lo scenario del rapporto tra rabbinato e sionismo è completamente cambiato dando origine a radicalizzazioni di tipo nazional-religioso che hanno attecchito in modo virulento nella destra politica israeliana. Facendo, così, da contraltare al nazionalismo democratico e socialista della sinistra israeliana, che fece la sua non sempre brillante prova all’epoca dell’esperimento sociale dei kibbutz per poi ripiegare su strategie più socialdemocratiche.
Un esempio tipico di questi movimenti nazional-religiosi, a carattere esclusivista e fondamentalista, è quello del “Gush Emunim”, il “Blocco dei fedeli”. Israel Shahak, uno studioso israeliano del fondamentalismo giudaico, ci informa che movimenti come il “Gush Emunim” non sono comprensibili senza tenere presenti gli articoli di fede del giudaismo alla fine del suo periodo classico ma riletti in una chiave per l’appunto nazional-messianica ed applicati alla storia recente dello Stato di Israele. Le idee del Gush Emunim – afferma sempre Israel Shahak – hanno avuto un peso determinante nella vita politica israeliana, influenzando persino i partiti della sinistra[1].
Questo peso, secondo Shahak, si spiega risalendo indietro nel tempo, quando il sionismo che, laicamente, assegnava agli stessi ebrei il compito di restaurare Israele, senza attendere improbabili eventi escatologici o divini, è stato “consacrato” dai due primi rabbini messisi alla testa degli insediamenti ebraici in Terra Santa, negli anni ’30, ossia Abraham Itzhak ha-Cohen Kook e suo figlio Zevi Yehuda Kook. Nel magistero di questi rabbini il sionismo diventava, pur inconsapevolmente, l’agente messianico scelto da Dio per riportare gli ebrei in Palestina, sicché “i sionisti sono senza saperlo i veri emissari di Dio”. In tal modo, pur se nato secolare, il sionismo assurse a segno dell’inizio della redenzione venuta dal Cielo. In questa prospettiva nazional-religiosa, il sionismo, nel piano messianico di Dio, finisce per avere una funzione essenziale svolta la quale esso lascerà cadere la maschera laica per svelare il proprio volto religioso per la conferma, davanti a tutte le genti, del carattere salvifico e messianico di Israele inteso come “messia collettivo”.
Questa nuova concezione del sionismo, elaborata da parte di un certo rabbinato, visti i successi militari e politici conseguiti ripetutamente dal 1948, ha finito per conquistare quasi tutto l’ebraismo religioso, salvo alcuni minoritari gruppi tradizionalisti e resistenti, come appunto i Neturei Karta, che non intendono ripudiare la concezione talmudica tradizionale per la quale sarà Dio, e non l’uomo, a restaurare Israele ma nella pace con i propri vicini. Infatti, uno dei motivi della polemica dei Neturei Karta – motivo condivisibile anche da noi cristiani – contro le illusioni religiose del nuovo sionismo è proprio il fatto che da quando Israele si è insediato nel Vicino Oriente quella terra – la Terra Santa per ebrei, cristiani e mussulmani – ha perso la pace, mettendo a rischio anche quella mondiale. Questo, affermano i Neturei Karta contro rabbi Kook ed i suoi seguaci, non è certo un segno del sopraggiungere dell’era messianica! Anzi, tutt’altro…!
C’è un tema ricorrente nella Bibbia, che vale anche per i cristiani, ed è quello del “piccolo resto”. Ogni qualvolta Israele ha fatto affidamento su sé stesso, sulla sua potenza politica, sui mezzi umani, dimenticandosi del Dio dei padri, ha puntualmente fallito ed è andato incontro a drammatici disastri. Ma, proprio mentre l’apostasia conquistava i più, ecco che la provvidenza divina riservava a Sé un “piccolo resto” per iniziare di nuovo la storia d’amore tra Dio ed il suo popolo, dopo il disastro. Questo tema è lo stesso che ha presieduto – lo ritroviamo esplicitamente nelle lettere di San Paolo ma anche nella stessa predicazione di Nostro Signore Gesù Cristo – alla nascita della Chiesa, “piccolo resto” all’interno dell’Israele antico che correva verso il disastro dell’anno 70 e quindi verso la diaspora definitiva la quale sarebbe durata millenni.
Di questo dramma, da sempre insito nell’anima ebraica, i migliori spiriti tra gli ebrei hanno avuto chiara consapevolezza e da qui germinava la teologia pre-sionista del rabbinato di un tempo.
Tra questi spiriti eletti vorrei qui ricordare, per la grande stima che ho per la sua santa memoria, Israel Zolli, il quale fu rabbino capo di Roma durante l’occupazione nazista e che, grande biblista, sin dagli anni trenta si era messo sulla via di Cristo inteso come “profeta ebreo” (aveva scritto un libro, “Il Nazareno”, pieno di interesse ed amore per Gesù). Zolli giunse definitivamente alla conversione a Cristo – o meglio a riconoscere in Lui il Messia Divino-Umano annunciato dai profeti biblici – durante la guerra testimone, come fu, della grande carità di Pio XII – poi calunniato come “Papa di Hitler” – verso gli ebrei perseguitati. Papa Pacelli ha, infatti, salvato con l’apertura dei conventi circa 850.000 ebrei, ma questo non ha impedito allo Yad VaShem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, di offenderne la memoria con l’apposizione della sua immagine tra i “cattivi”, per i suoi presunti (invero loquacissimi) silenzi.
Israel Zolli, che al momento della conversione assunse il nome di Eugenio in omaggio a Papa Pacelli, nelle sue memorie ricorda come, reduce da un viaggio in Palestina negli anni trenta, pieno di speranza in un “sionismo spirituale” che facesse di Gerusalemme la “casa di preghiera per tutte le genti”, deluso da quanto aveva visto in atto per opera del sionismo in marcia verso il suo esito nazional-religioso, si lamentasse con queste amare parole: “La Bibbia, sorgente di pietà, cammino che porta verso Dio, è diventata monumento nazionale (…). E un professore dell’Università di Gerusalemme afferma che il Regno del Messia, secondo la concezione ebraica, è di questo mondo! [notare l’accento scandalizzato di chi è già sostanzialmente cristiano e sa che il Suo Regno non è di questo mondo, nda]. È come se si sacrificasse il Regno per il regno…La mia anima ha indossato gli abiti del lutto. Laggiù mi sono sentito escluso, esiliato, straniero nella casa dov’ero nato. Non capivo e non potevo essere capito. Forse è l’idea di ‘regno’, mi chiedevo, che aveva infiammato l’animo e la parola di Isaia? (…). E senza trovare un’eco si spense la preghiera secondo la quale ‘la mia casa’ era destinata a diventare ‘una casa di preghiera per tutti’? Non ‘La Casa’! Ne hanno fatto una ‘home’, una casa e nient’altro che una casa [il riferimento è all’idea sionista del ‘focolare nazionale’, nda]. Naturalmente c’è stata la Rinascita della lingua, della letteratura, della scienza, insomma di tutto ciò che occorre per ammobiliare la ‘home’. Non solo una casa abitabile, ma una casa anche abbellita. Ed è così che intristivo e morivo; morivo giorno dopo giorno, ora dopo ora, per rinascere alla grande luce di Cristo”[2].
Eugenio Zolli, il quale, dopo il battesimo, ha sempre asserito che per lui, ebreo, non si era trattato di conversione ma del naturale e definitivo compimento della propria ebraicità – dove per “ebraicità” egli intendeva la fede di Abramo la cui pienezza aveva inutilmente cercato nel coacervo di tradizioni umane del giudaismo post-biblico – con quella sua denuncia circa il carattere “blasfemo” del sionismo aveva perfettamente compreso in che misura i sionisti, pur certamente interni alla grande storia ebraica, sono in realtà i peggiori nemici dell’ebraismo, quello religioso, spirituale, puro. Ed è in tal senso, sottoscrivendo le parole di Zolli e la resistenza spirituale dei Neturei Karta, che ho detto che sono i sionisti i veri antisemiti.
Spero che, ora, sia un po’ più chiara la mia posizione.
Con tutto l’affetto, il rispetto e al devozione per Pio XI, la sua definizione di “cristiani come spiritualmente semiti” non mi convince. Come mai mi ha convinto – anzi, ancora meno – la tesi evoliana delle “razze dello spirito”. Si è convenuto di non usare la sottospecie di “razza” quando si parla di esseri umani. Si riconosce che vi sono nei gruppi umani caratteristiche comuni a certi gruppi e che li distinguono, ma – dal momento che una loro gerarchia qualitativa obiettivamente impossibile (e su ciò sono profondamente d’accordo) – si è stabilito che non sia né politically correct né chic né bon ton parlare di “razza”. Allora ci arrampichiamo sugli specchi, usiamo impropriamente il termine “etnìa” o quello (insulso) di “gruppo umano” e via dicendo. Io ho un parroco congolese: ottimo prete e simpaticissima, schietta, allegra persona. Mi sta benissimo, gli sono affezionato, nella nostra parrocchiona arrampicata fra boschi e sparsa per colline gli vogliamo tutti bene e non lo scambieremmo mai con un suo confratello dolicocefalo e glaucopide (e magari stupido, o lettore de “La Bussola”, o magari cripotopedofilo). Ma invidiamo i cani e i gatti, che possono dirsela chiara;: io sono un pastore alsaziano, tu sei un alano, lui è un barbone e così via: che ci sarà di male? Quando don Pierre Paul suonò a casa nostra il campanello la prima volta, andò ad aprirgli mia figlia Anna Maria, che allora aveva un 35 anni. “Sono proprio nero, eh?”, le chiese il sacerdote; “Un po’ di più…”, rispose la signora. E si fecero una bella risata. Né io né lui fingiamo di essere “uguali”: tra gli esseri umani ci sono tante differenze, ci sono anche quelle psicosomatiche, le quali possono comportare altresì differenze culturali: e allora? Avremo pur diritto di riconoscerle come fanno i pastori alsaziani e i barboni. E se a un volpino un canelupo non piace, pazienza: de gustibus… Basta che convivano correttamente e che si rispettino. Questa è la base: poi di solito, vengono anche l’amicizia e magari l’affetto.
Ma se invece vogliamo essere rigorosi, ammettiamo che esistono quanto meno le differenze linguistico-culturali. A livello linguistico-culturale, le lingue e le letterature semitiche esistono. Ma i cristiani sono il risultato di molte complesse selezioni, di acculturazioni molteplici: e, quanto alla teologia, una “teologia semitica” non esiste. E nemmeno una mistica semitica. Anche gli ebrei sono molto diversi, a seconda del loro gruppo culturale: e difatti i nazisti non riuscirono al riguardo a formulare una teoria fisiologica che stesse in piedi e dettero affidarsi alla genealogia, come araldisti del Seicento. Non parliamo nemmeno, poi, dell’islam: con il suo tripode linguistico arabo-persiano-turco e la sua nazione più numerosa ch’è l’indonesiana. Io sono cattolico: e la mia teologia trinitaria è più greca e latina (forse con lontane ascendenze indopersiane) che non ebraica. E, per carità, non tiriamo in ballo che noi ci sentiamo “il Nuovo Israele”: per secoli, quelli che ce l’avevano di più con gli ebrei erano proprio quelli che ad ogni costo volevano sfrattarli della Casa di David per sistemarcisi loro e pretendere di essere quegli autentici perché quegli altri avevano “tralignato”. Teniamoci le nostre identità. Io non sono antisemita. Mi limito a ritenermi più etrusco o forse più longobardo che non giudeo, perché ognuno ha le proprie radici. E allora? Saluti cordiali. FC
[1] Cfr. Israel Shahak, Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni, Verrua Savoia (TO), CLS, 1997.
[2] Citato in J. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo – la storia di Eugenio Zolli rabbino capo di Roma durante la seconda guerra mondiale, Milano, San Paolo, 2002, pp. 60-61.