Domenica 13 giugno 2021
Sant’Antonio da Padova, Prima Domenica del Tempo Ordinario
NESSUNA PIETÀ PER CHI UCCIDE NEL NOME DELL’ISLAM (MENTRE MAGARI, SE UCCIDE PER SOLDI O PER PURO DIVERTIMENTO “POSTMODERNO”, SI PUÒ ANCHE CAPIRE…)
DAVID NIERI
SAMAN ABBAS E LE “BARRIERE CULTURALI” DA RIMUOVERE
Il corpo della povera Saman Abbas, la diciottenne pachistana scomparsa nel Reggiano lo scorso 30 aprile, non è ancora stato ritrovato, anche se le indagini finora condotte sembrano confermare l’ipotesi dell’omicidio compiuto dai familiari per aver rifiutato un “matrimonio combinato” nel suo paese con un cugino connazionale. Il dramma ha avuto una vasta eco sui media ed è inutile, in questa sede, ripercorrere le varie tappe di quella che ormai si prospetta come una tragedia, probabilmente annunciata. La “rete di protezione” assistenziale alla quale la ragazza si era rivolta, infatti, non è riuscita a “salvarla”. Saman si era innamorata di un ragazzo italiano e con lui desiderava costruire un futuro: da quanto ci è dato capire, la sua intenzione di “vivere alla maniera occidentale” le è costata la vita. Certo, probabilmente è così. Ma forse non è solo un problema di “amore sbagliato”.
Sarebbe opportuno – e lo faremo magari nelle prossime settimane – comprendere meglio la situazione di quel paese lontano, il Pakistan, senza ancorarci saldamente e comodamente alle “arretratezze culturali”, o, peggio, alle “responsabilità dei musulmani”. Secondo un sondaggio abbastanza attendibile, il 32% degli italiani, infatti, attribuisce la colpa all’Islam, che non consentirebbe una vera integrazione nella società occidentale; il 29,3% ha risposto che, dal suo punto di vista, più che una questione religiosa è un fatto culturale: la responsabilità sarebbe da ricercare in una concezione patriarcale che rimane forte in alcune aree del mondo; per il 20,5% la responsabilità non è di tutto l’Islam, ma dell’interpretazione più conservatrice che la famiglia aveva fatto propria; solo per il 14,5% si tratta di una responsabilità individuale, dei genitori e dei membri della sua famiglia.
La questione è diventata anche e soprattutto politica, da strumentalizzare e cavalcare per qualche punto in più nei sondaggi. La destra, ovviamente, si è scagliata contro la sinistra a causa del suo (semi)silenzio a proposito di un “femminicidio” che sarebbe meno “femminicidio” di un altro. La sinistra, da parte sua, ha cercato di offrire spiegazioni e possibili “rimedi”, tentando di salvare il salvabile. Due atteggiamenti cerchiobottisti di convenienza, dunque errati in partenza. Mi hanno colpito, soprattutto, le parole del presidente dell’Emilia-Romagna – la regione “coinvolta” –, Stefano Bonaccini, che ha parlato di “barriere culturali” da rimuovere, lasciando intendere che il progresso occidentale rappresenta, senza timor di smentita, il modello perfetto – e forse non perfettibile – da seguire: tutto il resto, ovviamente, diviene sinonimo di arretratezza. La questione è molto più complessa e, secondo chi scrive, dovrebbe essere affrontata prendendo in considerazione infinite variabili, non ultime le responsabilità esclusivamente “individuali” (della famiglia, in questo caso) relativamente all’accaduto. Perché altrimenti, per individuare soluzioni appropriate a una convivenza più civile – dall’alto in basso, fino ad arrivare ai vicini di casa –, sarebbero tante le “barriere” da rimuovere: l’Occidente tutto, e il nostro paese in particolare – se vogliamo limitarci ai panni sporchi da lavare in casa – non si distinguono certamente per l’eradicazione (insieme alle “barriere”) della violenza. Riassumendo fatti di cronaca recentissimi, magari del giorno, ci accorgiamo che proprio ieri una moglie ha ucciso il marito 55enne a coltellate in auto (ma non chiamiamolo “maschicidio”, per favore), mentre oggi, tra La Spezia e Ardea, le vittime delle quotidiane mattanze sono addirittura quattro, due bambini compresi; che la violenza è ormai parte integrante dell’imprinting delle giovani generazioni, profondamente intrise di Hollywood e cattiva musica che infarciscono di sangue e sesso qualsiasi prodotto “culturale” alla portata di tutti; che il bullismo è un cancro in metastasi della nostra società avanzata; che molti ragazzi hanno atteso con trepidazione la “liberazione” dalle restrizioni imposte dal Covid per darsi appuntamento in piazza e malmenarsi; che gli stupri sono sempre più frequenti, le tragedie in famiglia lo stesso, con vittime soprattutto donne. Si potrebbe continuare con un elenco senza fine.
È necessario fare molta attenzione nell’individuare colpe e colpevoli, rammendando le pieghe delle conseguenze per risalire al filo delle cause. Perché se le responsabilità dell’orribile e quasi sicuro omicidio della povera Saman sono da ricondurre all’“arretratezza dell’Islam” – e a coloro che fanno proprie le “direttive” di una visione distorta (e illegittima) del Corano –, credo sia impossibile definire “progresso” quello che stiamo attraversando nella desolata landa scandita dall’orologio delle magnifiche sorti, che segna un’ora sbagliata. Legalità e illegalità, in questo senso, si confondono e si sovrappongono a vicenda. “Torneremo a vivere come dei barbari”, sosteneva Franco Battiato in Tramonto occidentale, quasi quarant’anni fa.