Domenica 20 giugno 2021, San Metodio
DAVID NIERI
SAMAN ABBAS, UN INDEGNO (TALK) SHOW
Dell’orribile vicenda di Saman Abbas, la ragazza pachistana uccisa dai familiari per aver rifiutato un “matrimonio combinato” con un suo cugino connazionale, ci siamo occupati anche la scorsa settimana. Il suo corpo, ad oggi, non è ancora stato ritrovato, anche se nelle ultime ore sembra che le ricerche abbiano subìto una svolta. Attorno a questa tragedia, purtroppo – ed era inevitabile, considerati i tempi che corrono – si è scatenato un putiferio mediatico, una caccia al “colpevole” che ha spesso trasceso il fatto di cronaca per diventare disputa politica e ideologica, se non addirittura “religiosa”.
Il punto più alto – o più basso, a seconda dei punti di vista – è stato raggiunto mercoledì 16 giugno sul canale Mediaset Rete 4 in occasione dell’appuntamento settimanale del programma “Zona Bianca” condotto dal giornalista Giuseppe Brindisi. La faziosità, l’impreparazione e l’ipocrisia della quasi totalità degli “ospiti” – in studio o in collegamento – sono state a dir poco vergognose. Un attacco a senso unico, con pochissima o nessuna possibilità di contraddittorio, di confronto.
Presente in studio – e vittima costante dei proiettili verbali dei “giusti” – Saif Eddine Abouabid, il cui nome non viene neanche riportato correttamente in sovraimpressione, referente della Comunità Islamica Italiana. Dalle prime battute e dai primi collegamenti, veniamo a sapere che i parenti di Saman non hanno mai praticato la moschea sciita di Carpi, ovvero la comunità musulmana più vicina, e che i vari componenti della famiglia lavorano come braccianti agricoli, trascorrendo nei campi moltissime ore. Abouabid tiene subito a precisare che il matrimonio combinato è una pratica che ancora esiste in alcune zone del Pakistan, ma che se uno dei due contraenti non è d’accordo il legame “forzato” diventa un reato. E condanna, ovviamente senza mezzi termini, l’omicidio di Saman.
Ma in studio gli “avversari” sono tanti, troppi. Il giornalista Roberto Poletti non si accontenta della condanna e chiede che le “organizzazioni islamiche” intervengano. In questo caso, però, c’è da tener presente che la famiglia di Saman non frequenta né la moschea né la comunità. Un’integrazione che certo manca di qualcosa, anche, probabilmente, del tempo necessario per essere sviluppata e incoraggiata. “È evidente che si tratta di comunità non integrate”, sostiene Poletti, chiosando malamente: “Non possiamo mica mettere soldi per l’integrazione. Noi siamo un paese accogliente!”.
L’attrice ed ex parlamentare Elisabetta Gardini tiene invece a precisare come il Corano preveda e sancisca l’assoluta subalternità della donna. Abouabid cerca di intervenire ma viene accusato di maleducazione perché ha tentato di contraddirla. In un video che Brindisi decide di trasmettere, Matteo Salvini, commentando l’accaduto, definisce “subcultura” quella che prevede la morte come alternativa a un matrimonio forzato, indipendentemente da etnia, colore, religione. La giornalista Maria Giovanna Maglie, da parte sua, rincara la dose: poco o nulla fanno, le comunità islamiche presenti in Italia, per arginare questi orrendi episodi. Alba Parietti, il cui intervento si rivela ben più moderato e condivisibile, al cospetto di questi loschi figuri fa la figura del gigante.
Viene poi raccontata la storia di Dalal Nabih, sposa bambina marocchina la cui madre è stata uccisa dal padre per aver tentato di difenderla e liberarla dal giogo di un matrimonio forzato. Dalal arriva in studio e viene intervistata da Brindisi. Cercando online, si può trovare una versione un po’ diversa della sua storia: non si tratta, in effetti, di minuzie.
Ma il meglio deve ancora arrivare, e purtroppo arriva. Nella seconda parte del programma cambiano i giocatori, non il risultato finale. Secondo Daniele Capezzone il problema religioso è fondamentale: in questo caso non può trattarsi, assolutamente, di una fatalità. Dello stesso avviso la giornalista marocchina Karima Moual, per la quale la causa di tanta violenza risiede in un’interpretazione “malata” dell’Islam. Capezzone si infuria quando Abouabid cerca di confutarlo: alza la voce, lo insulta, lo minaccia. Uno spettacolo indecente.
Che dire poi di Hoara Borselli, attrice, modella ed ex compagna di Walter Zenga, che accusa Abouabi di aver messo su un teatrino per difendere l’indifendibile. Certo, la Borselli è senz’altro una fine conoscitrice di storia e cultura islamica, l’ospite ideale per spiegarci, con dovizia di particolari, le cause di siffatto orrore.
La ciliegina sull’acidissima torta è Maurizio Gasparri, che accusa l’Imam di aver assunto un atteggiamento “irritante”: “Quello di Saman è un omicidio che ha radici religiose e culturali, ci sono moschee non ufficiali dove si predica il fondamentalismo”. E via con gli insulti, con le frasi fatte, i pregiudizi stantii e l’ignoranza sempre fresca. “Dovrebbero arrestarla”, inveisce all’indirizzo del portavoce musulmano, simulando il gesto delle manette.
Le uniche parole di buonsenso ci sono sembrate quelle di Matteo Ricci, sindaco Pd di Pesaro, che considera un “grave errore criminalizzare l’Islam. Nel degrado di alcuni strati della popolazione italiana si possono individuare le stesse problematiche, seppur con contorni diversi”.
Applausi, invece, a Piero Sansonetti, che definisce un’“operazione sporca” il contenuto della trasmissione. E chiama in causa la violenza interamente “endemica” del nostro paese. Perché quando i barconi di migranti affondano e le vittime restano senza numero e senza nome in fondo al mare, qualche “buon cristiano” di casa nostra, sotto sotto, esulta. E contravviene agli insegnamenti di Cristo: non è questa una “cattiva interpretazione” del Vangelo? Non lo sono gli omicidi che coinvolgono soprattutto le donne ogni santo giorno, i morti sul lavoro, i bambini abusati, i genitori uccisi per denaro, i “martiri” per l’eredità? Cambia solo l’ordine dei fattori, non il prodotto. E i talk show sono popolati da una miriade di giusti senza peccato che si ucciderebbero tra loro pur di scagliare la prima pietra.