Minima Cardiniana 333/2

Domenica 26 giugno 2021
XIII Domenica del Tempo Ordinario, San Cirillo di Alessandria

COMMENTO ALL’EDITORIALE
IL POLITICALLY CORRECT, MALATTIA SENILE DELLO STATO LAICO?
Il ddl Zan e le vicissitudini della sua discussione parlamentare sono per il momento solo parti di una commediola noiosa e abbastanza squallida: per evitare il ridicolo, sarebbe bastata un po’ più di attenzione alla grammatica, alla sintassi e al lessico istituzionale. Ma sembra che nel Senato della Repubblica i non-analfabeti siano un certo numero, quindi c’è speranza. Attenti, però: le commediole sovente sfociano in tragicommedie. L’atteggiamento della Santa Sede rappresenta un groviglio del quale è necessario venire a capo.
D’altronde il presidente Draghi, intervenendo in Parlamento, è stato chiaro ed esplicito: ha riaffermato, anzi riconfermato, anzi asserito con forza, quel che la nostra Costituzione sancisce senza possibilità di ambigue e men che mai equivoche interpretazioni. L’Italia ha effettuato una scelta laica. L’aveva già fatta per la verità fino dal 1861 e con più forza dal 1870, affrontando scomunica e interdetto. Non possiamo dimenticare che l’unità della nazione italiana ha posto le sue radici nella breccia di Porta Pia. D’altronde, per lunghi decenni la nazione italiana si è riconosciuta in una “religione di stato”, la cattolica, che peraltro ammetteva gli altri culti religiosi: tutti, quanto meno, quelli che fossero compatibili con la nostra legislazione. Ormai, però, anche le ancore della “religione di stato” sono state levate: la Nave-Italia veleggia libera sul mare delle opinioni spirituali, delle fedi e delle non-fedi.
In teoria, tutto è chiaro. Il ddl Zan dovrebbe riaffermare la laicità dello stato e anzi approfondirne le ragioni e rafforzarne presupposti e contesti. Vero è che la Conciliazione del 1929, così come venne formulata nel contesto di un regime autoritario che aveva assoluto bisogno di risolvere la crisi di coscienza collettiva aperta da quasi mezzo secolo in un paese – era addirittura Antonio Gramsci a ricordarlo: e Mussolini, con parole e ragionamenti diversi, lo ribadiva – nel quale l’unica vera, indiscussa voce autorevole in grado di parlare alla società (e addirittura alle masse) era quella della fede e della tradizione cristiane, espressioni della quale erano il magistero pontificio e la devozione popolare. Il Duce sapeva perfettamente che, oltre la “diarchia” ch’era costretto a sopportare con il freddo e tetro Vittorio Emanuele III e l’eterno compromesso con i “padroni del vapore” dell’economia e della finanza che avrebbe sbaragliato tanto volentieri – lo avrebbe fatto più tardi, con la Repubblica Sociale: ma solo sulla carta… –, a condizionarlo c’era l’eterno compromesso con “l’Altra sponda del Tevere”, dove risiedeva quello che Breccia o non Breccia di Porta Pia era rimasto il vero re di Roma: e in quella mattina di luglio nella quale l’Urbe si sorprese a guardare con i suoi occhi eterni che cos’era quella guerra moderna dalla quale fino ad allora si era ritenuta intangibile si vide bene chi davvero regnasse sui Sette Colli, allorché i romani si strinsero intorno all’aristocratico, ascetico Pio XII.
Più tardi, in un contesto sociopolitico e socioculturale diverso, la revisione craxiana del Concordato risolse, è vero, alcuni problemi giuridici e superò alcuni malintesi: ma si era pur sempre ancora nel clima di una società che per decenni aveva accordato la maggioranza relativa a un partito d’ispirazione cattolica. La Democrazia Cristiana, partito di massa del dopoguerra, è stato l’ultimo avatar politico di un’Italia profondamente cattolica che della Chiesa non poteva fare a meno: ed è stato anche, con il suo fallimento finale, uno degli ingredienti della sua progressiva laicizzazione.
Oggi, dopo l’avvìo di una crisi della società e della Chiesa che ancora perdura, anzi che si è complicata e aggravata, le cose stanno altrimenti: molte sono le forze politiche e le istanze culturali che – da destra e da sinistra – vorrebbero in un modo o nell’altro limitare l’autorità e il potere espressi e manifestati dalla Santa Sede. Quanto del resto accade in capite, con i veleni sparsi da destra e da sinistra attorno a papa Francesco, si presenta anche in membris. Le chiese deserte anche alla domenica, le case che non ricevono più la visita del parroco per l’“acqua benedetta” primaverile, non sono certo effetto del Covid…
D’altronde, la vicenda parlamentare del ddl Zan potrebbe risolversi in modo concretamente equo e vantaggioso per tutti se la laicità, questa parola magica così carica di valori ma anche di ambiguità, venisse declinata e applicata in modo chiaro.
Nel nostro lessico, vi sono due parole che si somigliano, hanno lo stesso etimo, ma significano due cose molto diverse quando non addirittura opposte fra loro. Il “laico”, ereditando un termine che già nel diritto romano e medievale – derivato dal termine greco laos, “popolo ordinato e cosciente di sé” (mentre dèmos riguarda piuttosto l’aspetto quantitativo degli individui che formano la massa popolare) –, si accompagna al “chierico”, vale a dire alla persona inserita nella gerarchia sacramentale e disciplinare della Chiesa. Nella distinzione che ha equivocamente tradotto in termini politici la massima (sostanzialmente anticlericale e antiecclesiale) del “libera Chiesa in libero stato”, lo stato è laico se, in quanto, nella misura e finché dispone d’istituzioni e di coscienza che ne sanciscono la libertà rispetto alle compagini religiose ed ecclesiali: il che, nella storia dell’Europa premoderna, era nei confronti della Chiesa cattolica – e contro di essa – una questione delicatissima che neppure la Riforma protestante era riuscita a risolvere del tutto. Si sarebbero dovuti attendere il Settecento riformatore, la Rivoluzione francese e la sintesi legislativa napoleonica per giungere a uno stato – e a un “regime di coscienza” – di tipo laico.
Tutto ciò non ha di per sé, d’altronde, nulla a che vedere con la mentalità non già “laica”, bensì “laicista”, che considera il centro del suo pensiero e della sua azione, il suo autentico scopo, la rovina e la scomparsa quanto meno politica e culturale delle Chiese storiche (in particolare a quella cattolica) e in senso più ampio di qualunque compagine religiosa. Il “laicista” non è un “laico”: è il partigiano di un atteggiamento anticlericale se non addirittura antireligioso che finisce con il coincidere con una filosofia, con un’ideologia, con una mistica. “Chiericali” e “laicisti” non sono nemici fra loro: sono due facce della stessa medaglia fatta d’intolleranza e di mancanza di comprensione per l’“altro”. La mentalità “laicista” ha il suo nucleo profondo, conscio o inconscio, implicito o esplicito, nella “religione dell’irreligiosità”, che può addirittura divenire una “religione dell’empietà” assoluta e sistematica declinata in tutti i possibili modi (incluse le molte forme di satanismo, ritualizzate o meno che siano).
A complicare ancor più le cose c’è poi il fatto che in Italia esistono anche altri culti e altre religioni, a cominciare dall’ebraismo e dall’Islam; e che vi siano cittadini riformati, cristiano-ortodossi, ebrei e musulmani la libertà religiosa dei quali lo stato ha il dovere di garantire.
Diamo quindi una mano al presidente Draghi: aiutiamo a portare in porto una “legge Zan” un po’ meno infame del ddl che ne è stata l’infelice embrione. Diamogliela con chiarezza e correttezza, ricordando che il “laico” non è colui che proibisce o limita la libertà religiosa (qualunque siano le religioni presenti nel nostro paese), ma colui che al contrario difende qualunque tipo di religione e di culto a patto ch’esso sia coerente con le leggi dello stato. Il vero laico può non condividere alcuna religione o può praticarne anche profondamente una sola: ma, come cittadino – e tantopiù come garante della libertà di tutti – deve agire in modo da consentire ogni espressione religiosa e da impedire che qualcuna di esse faccia illegittimamente aggio sugli altri.
Il ddl Zan sarà correttamente perfezionato se, in seguito ad esso o grazie ad esso, tutte le “persone religiose” del nostro paese potranno convivere fra loro e con chi religioso non è nella fedeltà al proprio rispettivo culto e nel rispetto del culto o dell’assenza di culto altrui. Nessuno impedirà ai cattolici di continuar a praticare ad esempio comportamenti morali che altri giudicheranno restrittivi nei confronti di sistemi ispirati ad altri princìpi: così come nessuno impedirà agli ebrei di seguire la torah e ai musulmani di osservare i cinque akhan al-Islam, i cinque pilastri della fede coranica. Ma sarà un impegno rigoroso, al quale aderire tutti con onestà e con severità. Del resto, la vera democrazia non si attua quando ciascuno fa quel che vuole, ma allorché tutti agiscono d’accordo nel pluralistico interesse del Bene comune. Che nasce da note e accordi differenti, non dalla monotonia lamentosa di una nota sola. Siamo liberi attraverso il rispetto delle libertà altrui: se una società civile non capisce questo, è candidata al fallimento.
Solo che tutto ciò non era affatto nelle primitive intenzioni del ddl Zan: ennesima espressione in sé, con tutte le sue virtuose premesse democratiche e pluralistiche, dell’avvolgente tirannia del “Pensiero Unico” e del suo principale strumento psicosociologico e demagogico-liberticida di massa: il politically correct, strumento nihilistico per condurre definitivamente all’afasia etica e culturale una società civile già vuota, inconsistente, incapace di esprimere idee e concetti che vadano al di là di una improponibile “libertà assoluta dell’individuo” che si vuol tenere al riparo dall’attacco di qualunque argomento critico anche e soprattutto perché si è intimamente consci della sua inconsistenza.
E allora avanti, sulla via della distruzione. Abbiamo già attraversato, forse perfino metabolizzato, la purtroppo indimenticabile età del “Vietato Vietare”, scopo della quale era il picconare le basi concettuali di una società ancora in grado di sopportare quel “sistema di differenze” ch’è presupposto della libertà, dell’intercomunicazione e quindi di una conquistata discordia discors nella quale ogni proposta sensata e giuridicamente ammissibile era destinata a confrontarsi con le altre. Ma si preferì sostituirle il trionfo delle volontà individualistiche, ciascuna di esse tesa non a prevalere sulle altre, ma ad annullare con il pretesto del relativismo etico qualunque costruttiva possibilità di scelta. Ma per arrivare sul serio a tutto ciò la “totale libertà individualistica” aveva paradossalmente bisogno di un divieto. Il totalitarismo liberal-liberistico necessitava, come qualunque totalitarismo – ricordate Hannah Arendt? –, di un Nemico Metafisico. Lo si è progressivamente individuato nell’oggetto dell’“Eccezione al Divieto di Divieto”, nella lotta contro l’unico Male per definizione Assoluto: quello combattuto più volte con progetti giuridici quali le leggi Mancino, Colombo eccetera, con il progetto “antiliberticida” di Fiano, con la sostanziale adozione dello schema mitico-antropologico proposto nel 2018 dal pamphlet di Umberto Eco, ripreso e riproposto l’anno successivo da un altro pamphlet, il Fermare l’odio di Luciano Canfora (e sto parlando – lo dico per onestà intellettuale – di due Maestri che ammiro e di due cari Amici, per quanto radicalmente mi trovi a contestare il contenuto di quei due libri per tanti versi complementari). Al fascismo vero o supposto, autentico o presunto – comunque passato, presente o futuro che sia – si va accomunando altresì un altro mostro in gran parte immaginario ma dotato di una sua temibile energia. Invincibile, incoercibile è la potenza delle cose che non sono, come diceva il vecchio Arturo Graf presentando il suo studio dedicato al Diavolo. Così, dopo il fascismo ontologicamente demonizzato nella misura nella quale lo si destoricizza, alcuni specialisti per autocertificazione hanno proposto la definizione delle istanze cosiddette fondamentaliste musulmane nel loro forzoso insieme come “fascismo verde” e hanno farneticato di un fronte verde-rosso-bruno di truci estremisti nemici del genere umano in generale, del Felice e Pacifico Occidente in particolare. Ancora fantasie complottistiche, ancora congiure e Grandi Vecchi…
Ora, nella sostanza, alcuni “paletti” all’esercizio della critica e alcuni limiti fra il lecito e l’illecito al riguardo erano già stati posti dalla Costituzione e dai codici civile e penale. Il resto è superfluo: il proporlo e l’insistervi è pertanto solo intimidazione terroristica. Il ddl Zan, nella sua primitiva intenzione di tutela “iperlibertaria” tesa a tutelare qualunque istanza permissivistica, approda a un (solo apparente) ossimorico scopo negazionistico e liberticida di sapore tragicomicamente orwelliano. In apparenza e in superficie, si tratta solo di affermare il diritto generale di esprimere qualunque opinione tutelando nel contempo il generale diritto di critica, colpendo rigorosamente tuttavia qualunque forma di violenza, di coercizione, di minaccia. Insomma, un passo avanti sulla strada della democrazia e del libero dialogo.
Nella sostanza, non è così. Il vero scopo di quel ddl mira a terroristicamente scoraggiare il diritto di critica rispetto a tutto quel che va nel senso dell’affermazione definitiva del Pensiero Unico. Le aree di libera espressione del dissenso e dell’eventuale condanna d’istanze “diverse” si vanno pericolosamente riducendo a due sole, nei confronti delle quali il diritto di contestazione e magari di contumelia è assicurato. Vedremo nelle prossime settimane quali siano.