Minima Cardiniana 335/4

Domenica 11 luglio 2012, San Benedetto

IL GOVERNO DEL MESSIA ALLA PROVA DEI FATTI
MICHELE RALLO
MARIO DRAGHI E LA RIPRESA CHE NON C’È
A voler dare retta a giornali e telegiornali, siamo in piena ripresa: il PIL avanza, lo spread arretra, e i “mercati” sono contenti. E – aggiunge gongolante qualcuno – non sono ancora arrivati “i soldi dell’Europa”… Vedrete, quando arriveranno quei benedetti quattrini – continuano gli estimatori dell’ex governatore della BCE – la nostra ripresa farà faville.
In realtà, per quanti sforzi si faccia, questa benedetta ripresa non compare proprio, e le faville non sono alle viste. Certo, il PIL aumenta, ma aumenta anche il numero dei disoccupati, unico indicatore veritiero – è la lezione di Keynes – dello stato di salute di un sistema economico. Vero è che la maggior parte del milione di disoccupati “ufficiali” (più forse un altro mezzo milione fra ex lavoratori autonomi ed ex lavoratori dipendenti in nero) risale alla gestione di Giuseppi II, ma è anche vero che Mario Draghi non ha affatto invertito la tendenza. Anzi, malgrado sia riuscito in qualche modo a barcamenarsi fra cassa integrazione e blocco dei licenziamenti, l’emorragia sembra addirittura aumentata.
E, allora, non posso fare a meno di osservare che non c’è alcun miglioramento reale della situazione economica italiana. Con un milione e mezzo di nuovi disoccupati, le statistiche della “povertà assoluta” in Italia registrano una vera e propria impennata. Oggi gli italiani ufficialmente “poveri” sfiorano i 6 milioni, più o meno il 10% dell’intera popolazione. Senza contare precari, sotto-occupati e quanti altri versano in stato di “povertà relativa”. E meno male – lo riconosco – che si è potuto fare affidamento sul reddito di cittadinanza; meccanismo che, pur con notevoli storture, è servito ad alleviare tante situazioni drammatiche.
Ma, allora, dove stanno i decantati miracoli di questo Governo delle Mille e una Notte? La risposta è semplice: niente miracoli, ma soltanto un onesto salto di qualità rispetto a quelli di prima, quelli delle primule, dei monopattini e dei banchi a rotelle. Obiettivo, peraltro, raggiungibile facilmente, come anche noi avevamo pronosticato.
Aggiungiamo pure all’attivo di Draghi una dichiarata propensione ad incrementare il debito pubblico per fronteggiare l’emergenza, accompagnata da un certo buonismo fiscale (“nel 2021 i soldi si danno e non si chiedono”). E, tuttavia, questi atteggiamenti generosi sono assolutamente a scadenza. Quando? certamente a far tempo dal 2027, quando dovremo cominciare a restituire “i soldi dell’Europa”. I cosiddetti soldi dell’Europa, infatti, sono per la maggior parte dei prestiti a tasso agevolato, da restituire comunque.
Quasi certamente, peraltro, la generosità di Super Mario si esaurirà molto prima, quando non sarà più lui a governare e quando sarà spirata la parentesi di magnanimità concessaci l’anno scorso dall’Unione Europea. Con buona probabilità già nel 2023, infatti, finirà la sospensione di quel nefasto “patto di stabilità” con cui la Germania impone le regole della macelleria sociale ai partner europei. è stata proprio questa sospensione (temporanea) che ha consentito a Mario Draghi di aumentare il debito pubblico per fronteggiare l’emergenza sanitaria e per tappare qualche buco. Ma i debiti in più dovranno essere ripianati in tempi brevi, pena la violazione del patto di stabilità e, quindi, l’arrivo della Troika, come in Grecia.
Nel 2023, quando il governo di Sir Drake si avvierà alla fine, sarà evidente la sua totale inadeguatezza a fronteggiare l’emergenza sociale postpandemica. A meno che, da parte di Draghi o di chi gli succederà al governo, non si vogliano aprire le ostilità contro l’Unione Europea e contro l’intero sistema finanziario internazionale che delega alle banche private l’emissione del denaro pubblico. Draghi, comunque, non potrà che rimanere allineato sulle posizioni iperliberiste “europee”, totalmente incompatibili con una linea politica che possa rivendicare la sovranità economico-finanziaria degli Stati.
Ma, senza il ritorno alla sovranità monetaria, l’Italia non potrà uscire dal vortice di una crisi economica asfissiante; una crisi cominciata tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, quando un drappello di illuminati economisti (tutti “di sinistra” e tutti molto vicini alle istanze della destra economica) riuscì ad imporre che il nostro sistema bancario abbandonasse l’assetto pubblico ed adottasse i criteri privatistici cari alle grandi banche “centrali” anglosassoni. Erano gli anni della speculazione contro la lira italiana ad opera degli stessi “filantropi” che oggi finanziano l’assalto migratorio alle nostre coste, ed erano gli anni del “Britannia” e della privatizzazione dell’industria di Stato italiana. Come Draghi dovrebbe ben ricordare.