Minima Cardiniana 336/1

Domenica 18 luglio 2021, San Federico

EDITORIALE
MARINA MONTESANO
BREVI CONSIDERAZIONI SULLA “RIVOLUZIONE DEMOCRATICA” DI CUBA
Ci mancava anche Sergio Staino, che su Repubblica (e dove se no?) di sabato scorso ci delizia con le sue considerazioni sulla fine di un sogno (il suo) e sulla necessità (per tutti, naturalmente) di favorire le “rivoluzioni democratiche” a Cuba, Hong Kong e certamente tutte le altre che si presenteranno nei prossimi tempi. Cominciamo dalle parentesi: non ho coltivato sogni particolari rispetto alla rivoluzione cubana, sorta all’interno del paese e con l’aiuto di movimenti che agitavano (e agitano) l’America Latina, per sovvertire il governo di Batista, che aveva trasformato l’isola nel bordello degli Stati Uniti. Il movimento castrista all’inizio cercò la sponda degli stessi americani del nord, che tuttavia avevano gli interessi economici delle loro mafie (non in senso lato: si trattava delle stesse mafie che spadroneggiavano negli USA degli anni ’50-’60) da salvaguardare, e consegnarono Cuba alla sponda sovietica, ben felice di potersi insediare come una spina nel fianco degli statunitensi.
Negli ultimi decenni Cuba si è ritrovata prima completamente sola, poi coinvolta in una piccola rete molto instabile di governi fra America centrale e meridionale, come Venezuela e Uruguay, che hanno provato a uscire dal “cortile di casa” degli Stati Uniti, come questi ultimi con la dottrina Monroe hanno sempre considerato l’America Latina. Quello che si è realizzato a Cuba non è stato un sogno né un modello di perfezione: come tutte le cose umane Cuba perfetta non è, ha infiniti problemi e i suoi leader nel tempo avrebbero potuto magari agire meglio di come hanno fatto. Tuttavia, l’embargo del quale Cuba ha sofferto da quando gli statunitensi hanno fallito le manovre militari (non solo la Baia dei Porci, perché ce ne sono state altre successive) per sovvertire il governo di Castro, ha impedito loro qualunque sviluppo economico. Sono riusciti comunque ad avere una sanità pubblica eccellente persino al punto da esportarla (sono venuti anche ad aiutarci durante la prima ondata epidemica, ma tanto a Repubblica non interessa più) e un’istruzione decisamente superiore rispetto a quella dei paesi limitrofi (con i quali è il caso di confrontarla: inutile obiettare che in Svizzera è meglio). La mortalità infantile a Cuba è pari a quella del Canada, cioè leggermente migliore rispetto a quella degli Stati Uniti, dove evidentemente però i bambini dei poveri muoiono più democraticamente e quindi siamo contenti. Sotto la presidenza Obama, quando l’embargo è stato ammorbidito, i progressi dell’economia ci sono stati, contrariamente alla vulgata; molte città, l’Avana in testa, hanno potuto ricevere aiuti per rimettere a posto almeno i centri storici, sono arrivati più turisti, pareva di essere a una svolta; poi con l’avvento di Trump e dell’altro figuro che l’ha seguito l’embargo è tornato. Mi spiace che il sogno di Staino si sia così infranto, ci sono sognatori che amano sognare ciò che in un periodo va di moda, Cuba inclusa, ma che fanno presto a voltare le spalle invece di provare a capire che se le cose non vanno non è perché mancano democrazia e capitalismo, è perché i paesi vengono affamati e colpiti da misure contrarie a qualsiasi straccio di diritto internazionale: perché, che gli Stati Uniti non vogliano fare affari con Cuba lo posso capire, ma che sanzionino qualsiasi ditta nel mondo che invece li vuole fare, questo in una società mondiale nella quale le leggi contano ancora qualcosa dovrebbe fare scandalo, e invece niente. Ma è facile riempirsi la bocca di democrazia, un concetto oggi del tutto privato di senso, e non parlare mai invece di diritto, calpestato e infranto ogni giorno dai paesi “democratici”. I giovani cubani che marciano certamente sono scontenti e si può capire, certamente la maggior parte di loro anela davvero a vivere meglio, e chi potrebbe considerarlo illegittimo? Così come a Hong Kong, però, con questi movimenti marciano anche i paesi che dall’esterno soffiano sul fuoco, infiltrano, sovvenzionano. Gli Stati Uniti hanno in questo settore un pedigree invidiabile: i più grandi cleptocrati-assassini come Marcos nelle Filippine, Mobutu in Congo (con l’aiuto del Belgio), Suharto in Indonesia (insieme con il Regno Unito) li hanno messi al potere loro. Ma ce ne sono tanti altri: Papa Doc ad Haiti, Mossadeq in Iran, Pinochet in Cile tanto per pescare qualche nome. A Suharto la CIA consegnò la lista dei comunisti da assassinare. In Nicaragua i narcotrafficanti Contras combattevano il governo sandinista finanziandosi con la droga venduta negli stessi USA, dando origine alla più grande epidemia di tossicodipendenza che dura ancora oggi, il tutto con il benestare dei democratici governi che si succedevano negli Stati Uniti, ai quali non soltanto non stavano a cuore i diritti dei nicaraguensi, ma neppure quelli dei propri stessi cittadini. Davvero pensiamo che oggi sia così diverso? La complicità dei media occidentali va di pari passo con quella dei governi, dando in pasto una narrativa (scusate…) fatta di “regimi” contro “democrazie”, di “comunisti” contro felici capitalismi dello sviluppo, mentre intorno a noi il mondo va in pezzi. Ma ce lo ricordiamo che Guantanamo (ancora aperta, fuori da ogni diritto) si trova in un lembo di Cuba che gli Stati Uniti hanno tenuto per sé? Quando vedrò un carcere cubano in Oregon, allora parleremo di democrazia.