Domenica 1 agosto 2021, S. Alfonso Maria de’ Liguori
C.I.S.Cu.P. DOSSIER N. 1
Inizia con questo numero della nostre rivista la serie delle informazioni, che vi passeremo regolarmente, relative a quanto riguarda l’attività del C.I.S.Cu.P. (Centro Internazionale di Studi sulle Culture del Pellegrinaggio), un sodalizio fondato due anni fa ma purtroppo “congelato”, causa Covid, fino ad oggi. Le note relative alla struttura, agli scopi e ai primi passi di questo nuovo sodalizio, che è augurabile interessi molti di Voi, appariranno da ora in poi settimanalmente: saranno in un primo tempo miscellanee e potranno contenere anche dati in apparenza secondari o minimali; poi, come vedrete, diverranno sistematiche e funzionalmente dirette all’informazione e a un invito a partecipare all’impresa.
ANTONIO MUSARRA
UNA “SANTIAGO” SICILIANA
Piccolo borgo dei Nebrodi, centro agricolo-pastorale in provincia di Messina, Capizzi – l’“aurea urbs Capitina” di Cicerone, tra quelle vessate da Verre; la “Capytium” di Tolomeo – trae il proprio nome dal fatto di sorgere su una roccia a forma di capo o, più semplicemente, dal trovarsi abbarbicata sulle pendici del monte Verna, a 1100 mt sul livello del mare. Arrivarvi non è facile. Soprattutto se si viene dal mare. Vi si accede da Caronia Marina, attraversando boschi incontaminati, facendo attenzione ai molti animali allo stato brado. Più semplice è giungervi dall’interno, seguendo gli antichi percorsi, da Nicosia, Cerami, Agira, Troina.
Il 26 luglio di ogni anno, Capizzi vive la propria festa, in onore del santo protettore: san Giacomo Apostolo (il patrono è, invece, san Nicola di Bari). Il giorno precedente, al termine della novena, i capitini percorrono a piedi scalzi il tragitto che il santo farà in processione, toccando gli edifici di culto esistenti e quelli scomparsi. Il giorno seguente, alle ore 16, la statua del santo è trasferita dalla vara in oro dell’altare maggiore a quella processionale, adornata di centinaia di provole: prelibata produzione del territorio. Alle 18, accolto da inni, applausi e fuochi d’artificio, il santo inizia a percorrere le stradine scoscese accompagnato da una fiumana di gente, sino a raggiungere la piccola piazza dei Miracoli. Qui, a fianco della chiesa di Sant’Antonio da Padova, si trova una casa, un muro della quale viene abbattuto utilizzando il fercolo come ariete. Non è chiaro il significato di questa tradizione; alla vista, davvero impressionante. Si è pensato al muro d’una sinagoga o d’una moschea. La voce locale ritiene quella casa essere appartenuta a un cavaliere aragonese, un certo Sancio de Heredia, colpevole d’aver trasportato a Messina le reliquie del santo, ch’egli stesso aveva portato a Capizzi.
Questa, almeno, la leggenda, i contorni della quale sono ricostruibili, ora, grazie al ritrovamento fortuito, occorso alla fine del 2019, da parte dell’arciprete del santuario, don Antonio Cipriano, d’una cassetta contenente sessantaquattro pergamene tre-quattrocentesche, alcune delle quali riguardanti il culto iacopeo (o “iacobeo”) locale. Un ritrovamento capace di scuotere la comunità scientifica.
Il 27 e 28 luglio scorso, il santuario di San Giacomo Apostolo ha ospitato un convegno importante, patrocinato dalla Regione Siciliana, dal comune di Capizzi, dalla Diocesi di Patti e dall’Arcipretura di Capizzi, nonché dal Pontificio Istituto di Scienze Storiche, dalla Soprintendenza Archivistica della Sicilia e dalle Università di Messina e Roma “Sapienza”. Il titolo, Translatio sanctitatis. Tra Terrasanta e Santiago: le pergamene ritrovate e il culto di San Giacomo a Capizzi, compendia efficacemente il contenuto e il messaggio dell’incontro, cui hanno preso parte studiosi provenienti da tutta Italia. Il rinvenimento delle pergamene ha riacceso l’attenzione sulla diffusione del culto iacopeo in Sicilia: crocevia di percorsi molteplici, isola di salvazione, situata al centro del Mediterraneo. Il santuario di Capizzi ne è tra le espressioni più antiche.
Non ne conosciamo l’anno di fondazione. Il Tabulario di Santa Maria Latina d’Agira menziona, però, un certo Gemmo; nel 1224, priore di San Giacomo di Betlemme in Capizzi. Ciò che mostra come il culto – legato alla Terrasanta, al pari di altre fondazioni levantine, che avevano in Sicilia chiese e proprietà – esistesse da tempo. In effetti, un filo rosso unisce il santuario iacopeo a Santa Maria Latina di Agira e, questa, alla comunità benedettina gerosolimitana, eretta nei pressi del Santo Sepolcro, che in Capizzi aveva un’altra dipendenza: San Filippo “in terra Capicii”.
A quanto pare, a seguito della guerra del Vespro, da un lato, della caduta di Acri, dall’altro, il culto capitino subì un processo di risignificazione, legandosi alla nuova realtà aragonese. Se, infatti, un documento del 1308-1310 menziona ancora un “frater Rogerius rector ecclesie Sancti Iacobi de Belem […] de castro Capitii”, un ventennio dopo, Betlemme non è più citata. La difficoltà dei pellegrinaggi verso levante, non diversamente dalla crescente presenza iberica nel Meridione siculo, favorirono la risemantizzazione del culto, ora rivolto verso Compostela. Incrementato, nel 1426, dall’avvento di alcune reliquie, tra cui la giuntura d’un dito della mano di san Giacomo Apostolo, recate da Sancio de Heredia – imparentato col maestro ospitaliere Juan Fernández de Heredia –, capaci di fare di Capizzi, anche se per breve tempo, una sorta di Santiago siciliana. E ciò, con tutta probabilità, grazie anche all’ordine ospitaliero, ampiamente presente nella zona.
Nel 1435, il “fattaccio”: la reliquia lascia Capizzi per Messina. Già nel 1431, Eugenio IV, su richiesta del re e della regina d’Aragona, aveva concesso una serie d’indulgenze e l’esenzione da decime, tasse e collette, a quella chiesa o monastero capaci di accogliere degnamente le reliquie capitine – oltre a quelle di san Giacomo, quelle di san Nicola di Bari e di san Paolo –, affinché fossero adeguatamente venerate. Approfittando d‘un decreto di Alfonso il Magnanimo del 12 ottobre 1432, l’arcivescovo e il senato di Messina ne ordinavano, dunque, il trasferimento. Alfonso affidava la ricerca del luogo idoneo a Sancio de Heredia, ora definito “provisor castrorum” del regio demanio, che individuava quale destinazione la cattedrale di Messina. Qui furono recati i sacri pegni, a eccezione d’un frammento e – colpo di scena – delle pergamene attestanti la vicenda.
Questi, dunque, i fatti, l’interpretazione dei quali è ancora in corso, così come lo studio delle pergamene superstiti. Capaci di rivelare molto circa un territorio denso di tradizioni. La vicenda che ho succintamente delineato non si esaurisce, a ogni modo, nella sola Capizzi. Il rinvenimento delle pergamene ha riacceso l’attenzione sul culto iacopeo in sé e sulla sua importanza nella costruzione di percorsi ramificati, capaci di vivificare il tessuto sociale dell’Europa cristiana. Un tema, questo, sotto l’attenzione del CISCuP, il neonato Centro italiano di Studi sulle Culture del Pellegrinaggio, che si propone di radunare sotto un solo tetto studiosi di varia provenienza e associazioni di diversa natura con l’obiettivo di rilanciare un campo di studi di enorme importanza. Il convegno di Capizzi ha dimostrato quanto la coordinazione tra studiosi afferenti ad aree diverse possa portare frutto. L’augurio è che si prosegua sulla stessa strada.
L’evocazione di Santiago, che poco sopra avete letto, serve anche a introdurre alla profondità della storia universale del pellegrinaggio, forma religioso-culturale affermata e diffusa in tutte le grandi religioni della storia mondiale. Di questo intende occuparsi il CISCuP, come ci ha ricordato Antonio Musarra. Per il momento, chi intende saperne di più può inviare le sue generalità (compresi telefono e indirizzo e-mail) a: info@edizionilavela.it.