Minima Cardiniana 339/4

Domenica 8 agosto 2021, San Domenico

TORI E BUFALE
Tra i molti eruditi raccoglitori di aneddoti che per questo si atteggiano a critici degli storici professionisti e a censori degli studiosi definiti con disprezzo “accademici”, c’è un anziano signore siciliano che ama ostentare le Magnifiche Sorti e Progressive della “democrazia” liberal-liberista occidentale. Ho purtroppo avuto la malaugurata idea (“io son per mia disgrazia uom di buon cuore”, come fa dire Lorenzo Da Ponte a don Giovanni) di rispondere due o tre volte ad alcune sue provocazioni e sono stato riempito di concioni e di contumelie. Alla fine ho provato con lo “strappo” energico e sono riuscito a farmi mollare. Ma, altrove e con altri, egli imperversa. Non ho intenzione di dargli spago. Comunque, a volte colpisce nel segno. Come stavolta, scrivendo a un giornale milanese, a proposito di un dipinto uscito da un famoso pennello: un dipinto nel quale si parlava per la verità di un toro e di un torero, ma che poi fu riciclato come denunzia di un bombardamento oggetto di un’immensa speculazione finanziaria e ideologica. Un dipinto il cui protagonista mitico-simbolico dovrebb’essere un toro, mentre quello sostanziale è una bufala. Ecco qua.

ERNESTO SCURA
PICASSO: LACRIME DI COCCODRILLO
A Madrid, nel museo Reina Sofia, è esposto il massimo “Capolavoro” di Pablo Picasso, GUERNICA, eseguito e ultimato nell’intento di commemorare l’amico torero JOSELITO, morto sotto il “bombardamento” delle… cornate del toro. Ma, quando il diavolo (Stalin) ci mette la coda non si sa mai come va a finire. E finì che, al suono di 300.000 pesetas, pagate “cash” da Stalin, tramite il Governo anarco-comunista di Madrid, Picasso non esitò a cambiargli il titolo in GUERNICA per ricordare (ad usum dei gonzi) una strage di civili che strage in effetti non fu se, nel giudicarla, contiamo il numero limitato di morti (meno di cento), talmente limitato che, in confronto ai 300.000 morti di Hiroshima e Nagasaki, è una carezza. E sia Hiroshima che Nagasaki non erano sedi di fabbriche di armi né tantomeno di insediamenti militari come, del resto, anche Dresda, la martoriata città tedesca universalmente nota come una città d’arte (La Firenze del Nord) che fu bombardata dagli inglesi con 1.500 tonnellate di bombe esplosive e con 1200 tonnellate di bombe incendiarie, quelle a cui si aggiungeva anche benzina che, elevando la temperatura atmosferica a quasi 2.000 gradi, creava uno scompenso termico a cui seguiva una ferale tempesta di fiamme che, a Dresda, si propagò per alcune decine di chilometri. Furono 30.000 i morti, tutti rigorosamente civili (nemmeno uno militare), che finirono arrostiti in quell’atroce, crudele, sventurata e consapevole scelta degli anglo-americani. Una delle più rinomate culle dell’arte universale fu rasa al suolo e l’acre odore di morte e di carne bruciata durò per molti giorni. Questo a Dresda. Se poi diamo un’occhiata alla scellerata e vergognosa nefandezza di quelle bombe (ne bastarono solo due) che, sganciate su Hiroshima e Nagasaki, sortirono il macabro effetto di annullare 300.000 vite umane, noi comprendiamo cos’è l’orrore dei bombardamenti. Noi, Picasso, “NO”. Ma Picasso era fatto così, per lui meno di cento morti spagnoli avevano una valenza infinita di fronte ai 300.000 morti giapponesi o ai 30.000 morti tedeschi, rigorosamente innocenti. Tanto che non si è mai accinto a convertire per Dresda, Hiroshima e Nagasaki altri “scarti” di sue opere di “seconda mano”, anche perché non ci fu nessuno Stalin, fesso, disposto ad offrirgli l’equivalente di 2.000.000 di attuali Euro tali da equiparare le 300.000 pesetas di allora. Ma com’era fatto male quel Picasso che, quando decideva di commuoversi e commuovere, lo faceva solo a gettoni.
Un vero “Jukebox”. E se i gettoni non arrivavano non si accorgeva nemmeno di altre stragi nel mondo, fossero causate da bombe o pestilenze o, ancora più tragicamente, di quelle vittime di dittature che morivano di fame e non di bombe. Tutti siamo a conoscenza degli slogan comunisti, e Picasso era comunista, negli anni venti e a seguire, fino al crollo del muro di Berlino: LA TERRA AI CONTADINI.
E i contadini di tutto il mondo s’illudevano di ottenerla, quella terra, una volta fatta la rivoluzione. Ma quegli agitatori di masse si guardavano bene da spiegare ai poveri illusi di tutto il mondo che, nella realtà comunista, la terra appartiene solo allo Stato. Infatti, appena preso il potere in Russia, lo Stato si appropriò di “tutta” la terra che veniva gestita tramite KOLKHOZ E SOVKHOZ, arrivando a requisirla persino ai piccoli proprietari contadini, i KULAKI, quelli che Stalin non esitò a decimare con le mitragliatrici, sulla Piazza Rossa, a Mosca, il giorno che manifestarono per reclamare ciò che il partito aveva sempre promesso. E gli effetti più nefasti si verificarono in Ukraina, dove i Kulaki erano una categoria molto numerosa che, a suo tempo, aveva procurato il benessere alimentare di tutta la Russia, poiché l’Ukraina era il granaio dell’Impero zarista. Ne seguì che ognuno cercò di sottrarre dal conferimento allo Stato quanto più poteva per uso personale.
Stalin immediatamente Istituti una campagna di requisizione che arrivò a privare la popolazione persino del minimo di derrate indispensabile alla sopravvivenza, nascosto nelle case, e ne seguì uno dei più vergognosi provvedimenti che ridusse alla fame tutta l’Ukraina, con la conseguenza che i morti d’inedia furono valutati in 5.000.000. Il fatto passò alla storia col nome di HOLODOMOR, che è la pagina più triste dell’Ukraina.e più vergognosa dell’Unione Sovietica.
Ma torniamo a PICASSO. Alla luce di quanto sopra vorrei proprio sentirli e guardarli in faccia tutti i grandi critici che trovano in Guernica la massima espressione della “HUMANA PIETAS” che Picasso ha saputo trasfondere nelle “facce storte” di quel dipinto dove le donne, con le mani alzate al cielo, invocherebbero la maledizione del cielo sugli autori di una …strage che di morti, ne aveva causati… 93, per l’esattezza.
E dire che quelle donne, invece, piangevano la morte di un torero, ed il toro era quello della nefasta corrida, ed il cavallo era quello dei picadores, e la spada spezzata era quella del torero che ne stringe il moncherino dopo la fatale incornata del toro.
Ma Picasso, da buon comunista di comodo, i morti li sapeva contare solo a sinistra, versando lacrime di coccodrillo per i 93 di Guernica, ed ignorando impudicamente i 30.000 morti di Dresda, i 300.000 morti di Hiroshima e Nagasaki, i 5.000.000 di Kulaki immolati al potere dello Stato Comunista Sovietico.
Totò, il grande Totò, che tutto aveva capito con molto anticipo, in un film, esclamò:
LA TERRA AI CONTADINI
LE FERROVIE AI FERROVIERI
IL CIMITERO… AI MORTI.
Come la sapeva lunga, Totò.
(il Giornale, 31 luglio 2021)

Ovviamente, a proposito di quel che l’autore della lettera dice su Stalin, non sono per nulla d’accordo; la sua descrizione tragicomica del comunismo sovietico mi nausea al punto che non ho alcuna intenzione di commentarla. Quanto al governo di Madrid dell’epoca cui egli si riferisce, gli anarchici non c’erano: erano altrove, e furono a loro volta fatti a pezzi. Bene l’elogio a Totò, sbilenco il conto delle vittime innocenti (il capitalismo nel mondo, e nell’ultimo mezzo millennio, ne ha fatti molti di più di Stalin e del comunismo).