Minima Cardiniana 339/6

Domenica 8 agosto 2021, San Domenico

LIBRI LIBRI LIBRI

VANNI PUCCIONI, Tra i tagliatori di teste, Venezia, Marsilio, 2013.
Questa è la storia di una incredibile impresa.
Nella primavera e l’estate del 1886, Elio Modigliani, antropologo fiorentino, esplorò le regioni meridionali e centrali dell’isola indonesiana di Nias, i cui guerrieri avevano respinto ogni tentativo degli olandesi per sottometterli, e mantenevano viva una singolare tradizione- la caccia alle teste umane, che nella loro società valevano moneta sonante.
Perfino i missionari evangelisti che avevano tentato di stabilirvisi erano fuggiti per aver salva la vita; e quando gli olandesi, esasperati, costruirono una fortezza, nella baia di Lagundri, passarono solo un paio d’anni prima che fosse spazzata via da uno tsunami, e gli stregoni potessero cantare vittoria.
L’isola di Nias era circondata da un’aura di mistero e di leggende, fin da quando ne scrivevano il geografo greco Tolomeo ed i primi navigatori arabi.
Chi l’aveva chiamata l’isola dorata, sostenendo che di questo metallo erano le rocce dell’isola; chi narrava che l’oro vi fosse così abbondante che gli indigeni non gli attribuivano valore alcuno, e volentieri lo scambiavano con filo di ottone; ma tutti erano d’accordo nel proclamare la suprema bellezza delle fanciulle.
Ma in realtà le prerogative dell’isola erano la passione dei suoi indigeni per il collezionismo di teste umane e la sua arretratezza – e certamente tra queste caratteristiche c’era un legame, perché la prima di queste scoraggiava i visitatori, e i rapporti con il mondo esterno non si erano mai sviluppati.
Nias non aveva niente che potesse interessare alla Compagnia delle Indie, se non gli schiavi; ed ancora all’epoca di Modigliani, quando lo schiavismo era ufficialmente abolito da un pezzo, si continuava a farne commercio, grazie ad una astuzia del Governo coloniale, pensata per fornire manodopera alle piantagioni dei coloni: lo “schiavismo provvisorio”.
Voleva dire, che chi non riusciva a pagare i proprio debiti diveniva schiavo dei creditori sino a quando non avesse pagato il debito con il proprio lavoro; anzi, visto che c’erano, avevano esteso questa norma, per cui divenivano schiavi anche mogli e bambini del malcapitato.
E naturalmente, il sistema si prestava ad ogni genere di abuso – e gli schiavi e le schiave erano l’unica merce che le tribù del sud scambiavano con gli olandesi ed i commercianti di Ache, ed i villaggi dei Nias erano permanentemente in guerra tra di loro.
Ma il nostro Modigliani era deciso ad andare in cerca di guai, esplorando proprio la regione dove vivevano i più feroci dei cacciatori di teste.
Aveva con se solo quattro Giavanesi, tracciatori della giungla a cui aveva detto che sarebbero andati a far collezione di uccelli, piante e farfalle; il che era verissimo, se si omette il piccolo dettaglio dell’ambientino in cui tutto ciò doveva avvenire…
Gli Olandesi, che già consideravano eccentrici i suoi progetti per visitare Nias, quando seppero che voleva andare nel sud decisero che Modigliani era davvero matto.
Ai ragazzi del posto decisamente non piacevano gli stranieri, soprattutto i bianchi che volevano imporgli il loro modo di vita e metter fine alle loro onorate tradizioni.
Una questione di principio, che era stata abbondantemente chiarita ogni volta che gli olandesi avevano deciso di “dare loro una lezione” – per poi ritrovarsi in precipitose ritirate verso le loro navi da guerra, cercando di metter in salvo i feriti ed abbandonando i loro morti, le cui teste avrebbero adornato la casa di un guerriero o la sala del capo villaggio.
Perfino Dio aveva abbandonato i colonizzatori, quando uno tsunami aveva distrutto il forte che avevano costruito sulla spiaggia di Lagundri, con il risultato che i guerrieri si erano impadroniti delle colubrine abbandonate dagli olandesi nella loro fuga precipitosa.
Ma Elio era senza paura, aveva risorse da vendere con cui far fronte ad ogni genere di pericoli, mentre il suo viaggio lo portava in mezzo a guerre tribali, epidemie, mercanti di schiavi e cacciatori di teste.
Il diplomatico Modigliani, con la sua parlantina, se la cavava in situazioni dove il minimo errore sarebbe costato la vita.
Il soldato Modigliani teneva testa a oltre sessanta guerrieri, avendo dalla sua solo i quattro tracciatori Giavanesi.
Il medico Modigliani salvava vite con il chinino ed il permanganato che portava con sé.
Modigliani lo stagnino costruiva scatole a tenuta d’acqua anche in mezzo alla giungla, per conservarci i suoi preziosi dagherrotipi.
Modigliani il falegname costruiva la propria casa.
Modigliani il linguista, in pochi mesi, scriveva un vocabolario Italiano-Nias, completo di espressioni dialettali.
Modigliani l’antropologo studiava e documentava le credenze religiose, le leggende, struttura sociale, la condizione della donna, e come i Nias producevano il fuoco, i gioielli, il sale, le armi; come facevano il fuoco e la guerra, come coltivavano la terra.
Modigliani lo storico aveva studiato e narrato la storia dell’isola dai tempi di Tolomeo, sino all’anno prima della sua vista, consultando antichi manoscritti, i portolani dei navigatori arabi, mappe di ogni genere, registri coloniali.
Ma Elio era anche zoologo, topografo, geografo, imbalsamatore, stregone, cacciatore di spiriti e commerciante.
Modigliani ritornò con una formidabile collezione di oggetti d’artigianato, armi, piante ed animali, e con una incredibile storia da raccontare.
Ed aveva con sé anche ventisei teschi umani, trofei acquistati dai cacciatori di teste, allora considerati campioni preziosi per il museo antropologico di Firenze che studiava le teorie di Lombroso sulla fisiognomica.
Ma i trofei più importanti che aveva riportato intatti erano… la sua testa, e quelle dei suoi uomini. Ed il solo fatto che ci fosse riuscito, la dice lunga non solo a proposito di Modigliani, ma anche dei Nias.
La sua storia è ricca di aneddoti e indizi preziosi cha fanno luce sulla vera natura e disposizione dei Nias- e sullo straordinario dialogo che si rea istaurato tra loro e questo strano uomo bianco, da loro così diverso, eppure così simile a loro.
Più di cent’anni dopo, un altro fiorentino è a Nias, per ricostruire le case distrutte dal tragico terremoto che a Pasqua 2005 aveva seguito il grande Tsunami.
Vanni Puccioni dirige un progetto finanziato dalla Unione Europea e dalla Regione Toscana.
Incontra un frate cappuccino tedesco, Pastor Johannes, curatore del piccolo e splendido museo dell’isola, che gli mostra il libro di Modigliani, una impareggiabile miniera di notizie sulla cultura Nias.
Vanni traduce il libro, che restituirà ad i Nias la loro storia perduta…
E poi se ne va nei villaggi descritti da Modigliani alla ricerca di ricordi e dei discendenti dei guerrieri che Elio aveva incontrato…
Facendo nuove scoperte e trovando la chiave della sopravvivenza di Modigliani.
Ed infine, capisce anche il mistero del quadro dal quale sembrava mandargli un messaggio Nello Puccioni, il suo nonno antropologo e direttore del Museo antropologico di Firenze… che tiene in mano un teschio umano, oggetto dei suoi studi: uno dei teschi riportati da Modigliani!!
Una storia raccontata nel suo libro Tra i tagliatori di teste, edizioni Marsilio, 2013.
E si chiude così uno straordinario cerchio del destino.

MASSIMO CAMPANINI, Ibn Khaldun e la Muqaddima. Passato e futuro del mondo arabo, Viareggio, La Vela, 2019.
Quando ci vuole, ci vuole. E lo si fa con soddisfazione. Chiunque eserciti con onestà il “mestiere”, magari a part time del recensore, sa che non è per fortuna poi così facile trovarsi davanti a un libro che meriti una totale “stroncatura” (i killeraggi “su ordinazione” sono altra cosa: e gli onesti non vi si prestano). Ma più difficile ancora è il poter senza riserve formulare un giudizio pienamente positivo, se non addirittura poter esprimere una lode.
Ebbene: è quanto in tutta onestà mi sento – e lo faccio con gran piacere – di dover fare nei confronti di un libretto dell’orientalista, arabista e islamologo pp. 173, 15 euri), che non solo ci propone una visione sintetica ma molto chiara e circostanziata della vita e delle opere del grande filosofo e fenomenologo della storia arabo-tunisino Abd al-Rahman Ibn Khaldun (1332-1406), ma che alla luce della meditazione sulla storia di quel grande pensatore – che ha anticipato spesso, in modo impressionante, alcune tesi di Nicolò Machiavelli e di Karl Marx – ci presenta per non dire tout court che ci rivela una lunga, impressionante galleria di filosofi e di sociologi appartenenti al mondo arabo e musulmano gli scritti dei quali mostrano un’originalità, una libertà e spesso un’attualità sorprendenti. Al punto da obbligarci a chiedere a noi stessi se quanto è stato negli ultimi due-tre secoli detto in Occidente a proposito della “stanchezza”, della “immobilità”, della “mancanza di spirito laico” del mondo musulmano non sia stato semplicemente frutto della nostra disinformazione, magari mischiata a una buona dose di malafede.
Diciamo la verità: molti di questi dubbi erano già affiorati – ed erano già stati espressi da studiosi seri e addirittura da specialisti – in seguito ai lavori di un’orientalistica e arabistica anche italiana più moderna e aggiornata, che spregiudicatamente si era allontanata da modelli interpretativi venerabili ma alquanto antiquati come quelli proposti ad esempio da Bernard Lewis. A questa pattuglia d’innovatori appartengono studiosi come il purtroppo immaturamente scomparso Giorgio Vercellin o come Paolo Branca, Bianca Maria Scarcia Amoretti, Claudio Lo Jacono e Renzo Guolo, che ci hanno da tempo introdotti alla prospettiva di pensatori e anche di politici musulmani in grado di affrontare con originalità i temi del rapporto con la Modernità e della globalizzazione. In un prezioso lavoro di sintesi giunto ormai alla quinta edizione, Storia del Medio Oriente contemporaneo (Bologna, Il Mulino, nuova ediz. 2017), Campanini non ha esitato ad affermare, lucidamente dimostrandolo, come il luogo comune secondo il quale l’Islam sia teocratico e incline alla perenne confusione tra le dimensioni del potere politico e di quello religioso sia profondamente errato e come i casi “fondamentalisti” dell’Iran khomeinista e dell’Arabia saudita wahhabita corrispondano a forme di modernismo del tutto controcorrente rispetto all’Islam “classico”. E’ ancora, merito di Campanini e di altri suoi colleghi della pattuglia di studiosi anticonformisti ancora relativamente giovani l’averci fatto conoscere pensatori come Muhammad Mahmud Taha, pur da tempo tradotto anche in italiano, che ne Il secondo messaggio dell’Islam (Bologna, Emi, 2002), ha sostenuto che nel Corano è presente, dopo la prima fase propriamente rivelata, una “seconda stratificazione” più aderente alla storia del suo tempo che rende possibile una continua evoluzione del pensiero islamico sino alle forme più aperte alla libertà individuale e al rinnovamento politico e sociale.
Ma le idee innovatrici di Taha non nascono dal nulla: al contrario. Nel suo Ibn Khaldun, Massimo Campanini dimostra appoggiandosi all’analisi di studiosi quali A, Laroui, Islam e Modernità (Genova, Marietti, 1992) che in pensatori quali Sahid Qutb, al-Jabiri o Abu Rabi, in modo diverso, sia presente la possibilità di un pensiero musulmano proiettato addirittura nel futuro. L’analisi di Ibn Khaldun e in particolare la Muqaddima (“Introduzione”) a un suo saggio che oggi potremmo definire di world history, incentrata sul rapporto dialettico tra civiltà nomadiche e civiltà sedentarie e sul valore fondamentale della ‘asabyya, lo “spirito di corpo” fonte di valori comunitari e di energie dinamiche, finisce con il dar luogo a riflessioni che possono condurre anche a una maggior comprensione del nostro stesso presente. Di tutto ciò dobbiamo esser grati a uno studioso onesto, anticonformista, instancabile come Massimo Campanini: incurante di conformismi e di carrierismi, concentrato su una ricerca che non teme di dover sostenere anche tesi scomode o impopolari.
Quanto abbiamo fin qui detto riveste importanza tanto più intensa e pregante in quanto Massimo Campanini ci ha purtroppo da poco immaturamente lasciati, dopo aver lottato con energia e coraggio esemplari contro una lunga malattia: anche se non è stata essa, almeno direttamente, ad aver alla fine ragione della sua fibra. Questi mesi sono stati tremendi sotto molti aspetti: anche per gli ingegni che si sono portati via, talora precocemente. Il lavoro di Campanini aspetta di esser continuato, e senza dubbio lo è. Ma il suo coraggio, la sua energia, la sua dottrina sono una perdita insostituibile, un vuoto che sarà impossibile colmare.