Minima Cardiniana 341/2

Domenica 29 agosto 2021, Martirio di San Giovanni Battista

IN MEMORIAM
LUCIANO LANNA
AVEVO UN GRANDE AMICO, IL MUSULMANO ITALIANO OMAR CAMILETTI
È difficile scrivere di un’assenza, di chi se n’è andato all’improvviso dopo essere stato una presenza fondamentale nella nostra vita e nel nostro percorso intellettuale e spirituale. Ma è proprio così: Mario/Omar Camiletti è stato per chi scrive una di quelle amicizie che nella vita di tutti noi se ne contano al massimo tante quante sono le dita di una sola mano. L’ho conosciuto relativamente tardi rispetto agli altri amici che per me rivestono la sua stessa importanza ma, fortunatamente, l’intensità di frequentazione e di condivisione ha recuperato velocemente tutti gli anni precedenti. Il nostro stesso incontrarci non è stato immediato e automatico. E anche questo ha forse avuto un suo senso…
Eravamo nell’autunno del ’91 e il sottoscritto era giunto al termine di un periodo di impegno politico e culturale che riteneva ormai chiuso e archiviato. Ero diventato giornalista e, prendendo anche questa vicenda professionale come un pretesto, mi ero congedato da un decennio di politica e metapolitica a tempo pieno. Dopo la caduta del Muro e la fine dei vecchi equilibri ero convinto che tutto fosse cambiato, soprattutto che non ci fossero più le appartenenze e le conflittualità degli anni precedenti. Io e i miei amici avevamo realizzato progetti e intuizioni, avevamo in qualche modo anticipato i tempi, centrato qualche sintesi ma anche mancato clamorosamente qualche obiettivo. Proprio in questo nuovo scenario io avevo organizzato un convegno all’Università di Tor Vergata con la sigla dell’associazione ViceVersa e dall’emblematico titolo di “Oriente e Occidente: incontri e attraversamenti”.
Erano i giorni della crisi del Golfo e della coalizione occidentale anti Saddam, evento che aveva in me stimolato letture sull’area islamica e fornito spunti per una messa in sintesi di varie suggestioni che mi animavano da qualche anno: la critica all’occidentalismo egemone dopo l’89, la sintonia con filoni di pensiero eccentrici e liberi rispetto a quella che poi sarebbe stata chiamata la narrazione dominante, l’interesse per tutte le forme di spiritualità che nascevano all’interno di un orizzonte comunque contemporaneo, l’attenzione per la letteratura, il cinema e la musica che si facevano interpreti di queste “nuove sintesi”, la sintonia con quelle espressioni, editoriali o metapolitiche esse fossero, che mi apparivano all’interno di questo varco epocale in fieri: la cosiddetta “nuova destra”, il fermento intorno a Comunione e liberazione, la letteratura fantastica, il settimanale Il Sabato, la rivista Elementi, i testi dell’economista irregolare Geminello Alvi, l’opera di Ezra Pound e di Ernst Jünger, la produzione della casa editrice Adelphi, le suggestioni intrinseche all’opera di Franco Battiato…
Alla luce di tutto ciò feci contattare e invitai al convegno una serie di figure legate in un modo o nell’altro a questi fenomeni: Franco Cardini e Giano Accame, Marco Tarchi e Elémire Zolla, Paolo Liguori e Abd al Wahid Pallavicini, Vittoria Alliata, Sergio Bertelli, Sergio Quinzio, Adolfo Morganti, Monica Centanni. Concludemmo il ciclo di conferenze con la proiezione di diapositive dai viaggi in Oriente di Umberto Croppi con il suggestivo titolo battiatiano di “E ti vengo a cercare”…
Stranamente, io che avevo organizzato il tutto, riuscii a essere presente solo al primo incontro, che moderai. Nel frattempo avevo infatti firmato il mio secondo contratto giornalistico e mi ero dovuto trasferire a Napoli. Lo scrivo perché il mio allontanamento temporaneo da Roma impedì di incontrarmi già allora con Mario/Omar. Il mio futuro amico, infatti, aveva letto sui giornali del ciclo di conferenze e si era recato a Tor Vergata per parteciparvi, quantomeno a quelli con la Alliata, con Zolla e – cominciandosi ad avvicinare all’Islam – all’incontro con Pallavicini, uno dei primi italiani musulmani. Però qualche anno dopo Mario mi mostrò la locandina di “Oriente/Occidente” e gli appunti che aveva preso in quelle occasioni… In qualche modo ci stavamo cercando…
Passa solo un anno e il mio amico Umberto mette su un’altra associazione, UnaCittà, nella quale si ritrovano persone provenienti dalle esperienze più diverse e disparate: da sinistra e da destra, cattolici e laici, creativi e boy scout, ex sessantottini o esponenti della generazione Campo Hobbit. Nel gruppetto c’è Mario, e Umberto al telefono me ne parla entusiasta come di un ex indiano metropolitano, di formazione situazionista e da qualche tempo vicino al sufismo. “È come te – mi dice – e di qualunque cosa si parli lui aggiunge sempre informazioni. Ha una biblioteca vastissima, sta sempre in cerca di libri…”.
L’anno successivo, 1993, complice ancora Battiato e il suo album Café de la paix, Umberto mi chiede cosa leggere di Gurdjieff. Gli suggerisco Incontri con uomini straordinari e la monografia di Louis Pauwels sul singolare filosofo greco-armeno. E lui aggiunge: “Sai, mi sta spiegando delle cose anche Camiletti, lui ha frequentato per anni i circoli gurdjieffiani, ha tutti i libri di e su Gurdjieff…”.
Il personaggio mi stava incuriosendo sempre di più. Arriviamo al 1994 e alla presentazione di un libro organizzata da Umberto intravedo Mario per la prima volta, camicia coreana, look da ex alternativo, libri e fotocopie sotto il braccio. Prende la parola e contesta l’interpretazione dei due relatori. Una vera e propria provocazione in stile situazionista…
Poi, un anno dopo lo ritrovo a pranzo a casa dai miei con Umberto e altri amici, con mia mamma che sapendo della sua conversione all’Islam prepara, da persona vissuta a Istanbul, un menù rispettoso della sua religione. Il pomeriggio, poi, si va a Palestrina e lì tra una chiacchiera e l’altra – aver avuto uno stesso maestro all’università, il professor Angelo Sabatini, la comune passione per Nietzsche, la lettura di Debord e di Gurdjieff, l’essersi nutriti sui libri di Eliade e Zolla, i suoi trascorsi nel movimento degli indiani metropolitani – sboccia immediatamente l’amicizia, la sintonia, il sentirsi fratelli. Comincio a chiamarlo spesso per avere conferme, materiali e bibliografia per i miei articoli.
Nel frattempo ero diventato redattore capo all’Italia settimanale. Quando, a novembre 1995, viene nominato direttore il mio amico Pietrangelo Buttafuoco io vengo immediatamente promosso direttore responsabile e iniziamo a realizzare un settimanale fantastico: grande formato, immagini vintage, linea editoriale fuori schema, oltre la sinistra e la destra… Un giorno si presenta in redazione Mario Camiletti: “Sono pronto a collaborare…”. Gli commissiono subito un servizio sull’Internazionale Situazionista e su Guy Debord… Buttafuoco lo incrocia davanti la mia scrivania, si guardano ed è sintonia totale… Purtroppo a fine marzo il nostro editore fallisce per suoi problemi fiscali e malgrado il giornale stesse andando molto bene, sia in termini di vendite che di critica, Camiletti non poté più pubblicare quel suo articolo ma le nostre strade si erano ormai intrecciate per sempre. Avevamo cominciato a sentirci regolarmente e mentre io mi preparavo alla mia prima collaborazione con la Rai – un programma radiofonico sul jazz – Mario mi dice che c’è un convegno un Umbria organizzato da Geminello Alvi su Adriano Olivetti e la triarticolazione. Decidiamo di andarci anche noi: io, mio fratello Stefano e Umberto. Furono “due giornate” indimenticabili, lì c’erano anche altri nostri amici: Alessandro Campi e suo fratello Natale, Raul Lovisoni, un ex parlamentare leghista col quale avevo collaborato in passato, Yuri Biondi, un ragazzo appena laureato alla Bocconi e figlio di un amico di Mario. Per il soggiorno finimmo ospiti di Stefano Di Fiore, un vecchio amico di Umberto, trascorremmo una notte a parlare e parlare con Mario. Di tutto: Guerra del Golfo, metapolitica, Nietzsche, l’antroposofia, il Settantasette, i situazionisti, la scuola di filosofia del professor Sabatini, una possibile riscrittura dei Promessi sposi…
Di tutto e di più. Da allora, sono velocemente trascorsi venticinque anni della nostra vita senza che ci fosse un solo giorno di interruzione o distacco nel sentirci, confrontarci, aiutarci, volerci bene. Un giorno, mentre conducevo il programma radiofonico quotidiano Serata d’estate, jazz e cultura, mi salta l’ospite previsto e non sapendo chi chiamare invito in studio Omar e Pietrangelo a parlare con me e Peppe Caporale di Islam e jazz, ricordando i tanti jazzisti afro-americani di fede islamica. Ecco, in quel momento mi balzò con evidenza alla mente l’analogia esatta tra Mario/Omar Camiletti e Cat Stevens/Yusuf Islam, il musicista e cantautore greco-britannico prima buddista e poi – proprio nel 1977 – convertitosi alla fede musulmana. Stessa estetica, stesso abbigliamento, stessa passione per la musica…
Da allora, uno di noi due cominciava un discorso e l’altro lo concludeva in totale sintonia. Sempre senza avvertire come una barriera o un muro la mia fede cristiana e il suo orientamento nell’Islam. Proprio nell’autunno del 1996 – passato io a lavorare nel bimestrale Ideazione – feci collaborare Omar con una serie di traduzioni, dato che conosceva e parlava bene inglese, francese e tedesco – e anche con alcuni articoli di politica estera. Indimenticabile la sua intervista con Geminello Alvi sul libro appena pubblicato dell’economista-scrittore, Il secolo americano
Sempre nello stesso periodo feci pubblicare da Marco Tarchi su “Diorama letterario” il saggio di Camiletti su Debord che mi aveva preparato per Italia settimanale e un articolo sul movimento del Settantasette nel ventennale della contestazione targata indiani metropolitani. Per non parlare delle nostre esplorazioni psico-geografiche nelle librerie antiquarie e dell’usato di Roma che Omar conosceva una per una… O delle cene a casa sua, straordinaria quella insieme a Pietrangelo, seduti a terra sul tappeto persiano come viaggiatori europei dell’Ottocento… E i libri, i molteplici libri, che mi ha donato: da una bellissima versione di pregio del Divano occidentale-orientale di Goethe a una edizione in più volumi delle Mille e una notte. E gli incontri, i pranzi, le cene, le conferenze: Marco Tarchi, Giampiero Rubei, Fiorello Cortiana, Virgilio Ilari… Indimenticabile la cena con il sottoscritto, Pietrangelo, Virgilio e Francesco Maiello… E quando andammo a Milano, e cenammo al Fondaco dei Mori di Ali Shutz… E Omar che mi guida e accompagna alla lettura di tutta l’opera di Philip Dick, e poi di Fernando Pessoa, di Witold Gombrowicz, di Salvador de Madariaga. E i libri, per me fondamentali, di Kenneth Walker, John G. Bennet, Mircea Eliade, Alfredo Cattabiani… E quando pranzammo con Marco Tarchi e Antonio Carioti o la volta che Omar portò Geminello Alvi ad Artena al compleanno di mio fratello… Indimenticabili i film visti insieme, i dvd che mi hai regalato… E gli incontri con amici straordinari: Ivo Germano, Mauro Verro, Vittorio Macioce, Vito Perugini, Eduardo Zarelli, Fernando Acitelli, Francesco Vergovich… E quando salutammo Gualtiero Jacopetti o la serata in cui ricordammo ad Artena Bettino Craxi… Per non dire del convegno su Ezra Pound del 2001 a Grosseto, in cui io e Omar fummo entrambi relatori e tornammo a casa insieme a Giano Accame, facendo anche tappa a Pitigliano dove – dopo il ’77 – Omar aveva vissuto facendo il libraio… E come non ricordare, caro amico mio, quando ti suggerii la lettura di Michel Houellebecq e di Arturo Perez-Reverte. Di quest’ultimo scovasti pure una bellissima intervista in Francia che poi io feci tradurre e pubblicare su Ideazione…
E proprio sulla rivista, paradossalmente ritenuta vicina a Forza Italia e agli emergenti teocon, ma di cui io ero il caporedattore, nel settembre del 2001, poco dopo i tragici attentati di New York, pubblicammo coraggiosamente un tuo intervento sull’Islam autentico e non fondamentalista che – accanto agli scritti contemporanei di Franco Cardini, Franco Battiato, Tiziano Terzani e Pietrangelo Buttafuoco – offriva una risposta improntata al dialogo di civiltà tra Oriente e Occidente e alternativa alla montante deriva islamofobica… Ne abbiamo fatte di cose insieme, amico mio, e quanto debbo ringraziarti per come tu, che da quando eri giovane ha sempre seguito la rassegna stampa Prima Pagina su Radio Tre, mi aiutavi quotidianamente nella mia professione nella direzione di due giornali, suggerendomi i temi e il taglio del giornale da realizzare per il giorno dopo… Non entro nel merito della tua conoscenza della teologia islamica né nel tuo ruolo, saggio e accorto, nella Grande Moschea di Roma. So che sei stato apprezzato da tutti.
Ti ho voluto bene. Purtroppo la pandemia in corso ci ha tenuti a distanza per un anno e mezzo. Eppure, il 24 giugno siamo riusciti a incontrarci e a guardarci in faccia oltre che a scambiarci dei libri. È stato il nostro addio! Sono passati davvero di corsa questi nostri venticinque anni. Vale quanto il comune amico Giovanni Tarantino ha scritto a proposito dell’amicizia: “Rileggi le mail di una vita fa, ripensi come un film a tutto il percorso fatto insieme. Rimane un interrogativo, uno soltanto: sicuro sia accaduto tutto per caso?”. “Da Dio veniamo, a Dio ritorneremo”, mi hai ripetuto, caro Omar, centinaia di volte. Ora che tu hai già compiuto il ritorno… veglia su di noi e su questo nostro mondo.

Omar/Mario Camiletti (1952-2021) Giornalista, saggista, libraio, animatore culturale. Studi di Filosofia alla Sapienza col prof. Angelo Guido Sabatini, situazionista e gurdjieffiano in gioventù, vicino agli indiani metropolitani nel ’77 (autore del libretto apparso in forma anonima “I manoscritti anti-economici e anti-filosofici del 77”; fu lui a usare forse per primo l’icona dei fratelli Marx in copertina come simbolo della nuova contestazione). In quella fase i suoi autori erano: Nietzsche, Gurdjieff, Pessoa, Gombrowicz e Philip Dick… Romano dell’Alberone, ha vissuto a Parigi, a Praga, a Istanbul, in Scozia e, negli anni ’80, a Pitigliano, in Toscana. Convertito all’Islam dai primi anni ’90. Conferenziere e divulgatore, ha tradotto per la Newton Compton “Le parole del Profeta” (1997) e diretto “Islamica rivista online”. Per oltre 20 anni ha partecipato a dibattiti televisivi nazionali e internazionali come esperto delle realtà islamiche. Ha partecipato, inoltre, a numerosi convegni internazionali. È stato membro del Consiglio Islamico d’Italia, dal 1998 al 2002, nel tentativo di stipulare l’intesa con lo Stato Italiano. Nella seconda metà degli anni ’90 ha scritto per le riviste “Diorama letterario” e “Surplus”. Co-fondatore del tavolo interreligioso di Roma. Dopo il 2001 si è speso molto contro il fondamentalismo e l’affermazione di un Islam autentico, equilibrato e tradizionale. Nel 2004 ha partecipato, con Pietrangelo Buttafuoco, alla realizzazione del docufilm “I picciotti del Profeta”, regia di Fabio Tricarico, uscito in DVD nel 2010. Giornalista pubblicista, ha collaborato a diverse testate dell’area di centro-destra, tra cui ricordiamo la sua collaborazione al bimestrale “Ideazione” e al quotidiano “Secolo d’Italia” con la rubrica “Musulmani d’Europa”.

Aggiungo alle parole di Luciano una breve mia testimonianza personale, alla quale sono sicuro di aggiungeranno gli amici Pietrangelo Buttafuoco e Claudio Mutti. A differenza di loro, io sono cattolico, non musulmano: ma con loro, e con altri amici sia cristiani sia ebrei, ho a lungo condiviso la “coscienza fraterna di tutti i figli di Abramo”.
Arrivederci, Omar. Come dice la canzone militare spagnola
Yo tenìa un Camarada, versione della tedesca Ich hatte einen Kamaraden, spero che “…en el cielo me encontrarás”. FC