Minima Cardiniana 343/3

Domenica 12 settembre 2021
Solennità del Santissimo Nome di Maria

I LAGER E LE FOIBE: SONO GLI UNICI ORRORI DELL’OCCIDENTE CONTEMPORANEO O DIMENTICHIAMO QUALCOSA?
L’amico Alessandro Barbero, che mi conosce da quasi quarant’anni, mi scrive di recente a proposito di una questione che ci ha trovato a militare su fronti in parte opposti o quasi, e di esserne stato sollevato: da un po’ di tempo si preoccupava che ci trovassimo troppo d’accordo. Gli ho risposto di non preoccuparsi: amicizia, stima (almeno da parte mia…) e simpatia sussistono e restano fuori discussione, ma vi sono cose sulle quali continueremo a litigare in eterno (a meno che il Signore non lo illumini indicandogli la Via della Verità e della Giustizia).
Poi ci sono altre cose sulle quali il sostanziale accordo non può nascondere un disaccordo latente. Mi spiegherò meglio dopo che avrete letto questo esempio di prosa polemica barberiana.

ALESSANDRO BARBERO
A PROPOSITO DELLE FOIBE
L’Italia è un paese meraviglioso, dove succedono cose che a sentirle raccontare uno non ci crederebbe. Un esempio: c’è una canzone italiana, popolarissima, conosciuta anche all’estero, dove molti la sanno cantare in italiano, cosa che dovrebbe fare molto piacere a chi ha cuore l’immagine del nostro paese. Questa canzone racconta di un italiano che una mattina si sveglia e trova il paese invaso dallo straniero, e decide di andare a morire combattendo contro l’invasore. Uno dice: chi in Italia rivendica con forza l’identità, la nazione, la patria e i suoi valori, e proclama con orgoglio di essere italiano, dovrebbe essere entusiasta di questa canzone. Invece no, è tutto il contrario: chi pretende di difendere l’italianità e la patria, questa canzone non la può sopportare, perché Bella ciao è comunemente associata alla Resistenza. E ai difensori della nazione, della patria e della religione l’idea che un giorno una moltitudine di italiani, rivoluzionari e conservatori, operai e nobiluomini, comunisti e monarchici e cattolici, civili e militari, si siano sollevati contro un invasore straniero e contro gli avanzi di un regime in cui molti di loro avevano creduto in buona fede e che aveva portato l’Italia alla vergogna e alla rovina, be’, ai nostri odierni difensori della nazione, della patria e della fede questa idea dà fastidio, non riescono proprio a non dimostrare la loro istintiva ostilità verso quei ribelli.
È bene ricordare che questo è il paese surreale in cui viviamo, per capire l’attuale dibattito sulle foibe e sul loro ricordo. Che non è affatto, sia chiaro, un dibattito sui fatti, ma sul modo in cui lo Stato italiano di oggi s’è incaricato organizzarne ufficialmente il ricordo. Sui fatti non c’è alcun dubbio, perché i fatti hanno questa caratteristica positiva, di essere roba solida, più solida delle distorsioni che l’ideologia o anche solo la memoria possono produrre. E così è un fatto che ai confini orientali d’Italia si è consumata una tragedia: fra il 1943 e il 1945 i partigiani jugoslavi, via via che occupavano i territori dell’Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia, hanno compiuto stragi di italiani, e molti altri ne hanno deportati in campi da cui la maggior parte non sono tornati, facendo molte migliaia di vittime, spesso uccise in modo atroce e gettate, morte o vive, nelle foibe. Il numero dei morti è, inevitabilmente, oggetto di una controversia non puramente scientifica; le stime più alte danno fino a 11.000 morti, quelle date dagli storici che personalmente a me paiono più scrupolosi e attendibili arrivano a 5000. Cifre spaventose per un’area geografica così circoscritta, paragonabili a quelle dei caduti della Resistenza, uccisi dai nazisti o dai fascisti di Salò: 5800 solo in Piemonte.
La vicenda delle foibe è senza alcun dubbio unica nella storia recente d’Italia. Il paese, nella seconda guerra mondiale, era stato invaso da altri due eserciti stranieri, quello degli Alleati, che dal 1942 si definivano ufficialmente le Nazioni Unite, sbarcato in Sicilia nel luglio 1943, e quello tedesco che dopo l’8 settembre si assicurò fulmineamente il controllo di quasi tutta la parte continentale d’Italia. L’occupazione tedesca produsse un numero enorme di vittime civili, fra deportati, caduti della Resistenza e vittime delle rappresaglie; quella alleata ne fece molte meno, ma al bilancio vanno aggiunte le vittime dei bombardamenti aerei alleati lungo l’intero arco della guerra. Tedeschi e Angloamericani sono responsabili della stragrande maggioranza dei 153.000 civili caduti e dispersi per cause belliche, calcolati dall’Istituto Centrale di Statistica E tuttavia la vicenda delle foibe è, ripetiamolo, unica, perché solo in quel caso quello che allora era territorio nazionale è stato invaso da un esercito straniero che ha compiuto ovunque stragi sistematiche, indirizzate specificamente contro il personale del regime fascista ma che hanno finito per coinvolgere in generale la popolazione italiana, determinando contemporaneamente l’esodo drammatico di una parte dei superstiti.
E dunque è bene che la tragedia delle foibe sia pubblicamente ricordata: perché è una vicenda unica nella storia italiana, e un esempio terribile dei risultati a cui può portare l’odio accumulato per anni, in un territorio dove da secoli convivevano un popolo imperiale, dominatore e portatore d’una civiltà assai sofisticata, e altri popoli tenuti per tanto tempo in condizione subalterna; dove il risveglio del nazionalismo caratteristico dell’Ottocento aveva portato anche quei popoli finora assoggettati a rivendicare la propria lingua, la propria cultura, la propria indipendenza; dove negli ultimi venticinque anni il popolo imperiale, in seguito a una schiacciante vittoria militare, era tornato a imporre con molta più intransigenza la propria supremazia, la propria lingua, il proprio regime politico, liberale prima e poi dittatoriale, senza lesinare il bastone, la deportazione e la galera; e dove negli ultimissimi anni una nuova guerra aveva visto il popolo imperiale allargare ancora il suo dominio in compagnia di un alleato ancora più feroce, e tentare di difenderlo senza lesinare, stavolta, le rappresaglie e le stragi, i villaggi bruciati e i civili fucilati. L’odio accumulato in quegli anni, che non fu soltanto etnico, ma venne accentuato come avveniva ovunque nel Novecento dallo scontro di opposte ideologie che s’erano abituate a prevedere la morte come unica pena da infliggere al nemico, produsse le atrocità delle foibe, travolgendo indistintamente chi aveva contribuito a creare quell’odio, e chi non aveva nessuna colpa se non di essere italiano. Guai a dimenticare una vicenda del genere, e quello che ci insegna sul modo in cui i nostri nonni hanno creato le condizioni perché le foibe accadessero.
E dunque, benvenuta l’istituzione della Giornata del ricordo, in cui tutti possiamo ricordare con sgomento ciò che accadde fra il 1943 e il 1945 a migliaia di italiani, e ragionare sul perché ciò accadde, e imparare a non riprodurre più i comportamenti che portarono a quella tragedia: il nazionalismo cieco, il disprezzo per l’altro, la certezza che noi abbiamo sempre ragione a tutti i costi, il “right or wrong, my country”, l’educazione basata sulla propaganda anziché sullo spirito critico, l’attitudine alla minaccia, all’insulto e alla bastonata anziché alla discussione anche con chi non la pensa come noi.

Di seguito proponiamo il testo dell’intervista rilasciata da Alessandro Barbero a il Fatto Quotidiano

Professore, il Rettore eletto dell’Università per Stranieri di Siena, Tomaso Montanari, ha scritto su questo giornale che la legge del 2004 che istituisce la Giornata del ricordo delle foibe “a ridosso e in evidente opposizione a quella della Memoria (della Shoah) rappresenta il più clamoroso successo” di una falsificazione storica di parte neofascista. È d’accordo?
Sono d’accordo, ma bisogna capirsi. Montanari non ha affatto detto che le foibe sono un’invenzione e che non è vero che migliaia di italiani sono stati uccisi lì. Nessuno si sogna di dirlo: la fuga e le stragi degli italiani hanno accompagnato l’avanzata dei partigiani jugoslavi sul confine orientale, e questo è un fatto. La falsificazione della storia da parte neofascista, di cui l’istituzione della Giornata del ricordo costituisce senza dubbio una tappa, consiste nell’alimentare l’idea che nella Seconda Guerra Mondiale non si combattesse uno scontro fra la civiltà e la barbarie, in cui le Nazioni Unite e tutti quelli che stavano con loro (ad esempio i partigiani titini, per quanto poco ci possano piacere!) stavano dalla parte giusta e i loro avversari, per quanto in buona fede, stavano dalla parte sbagliata; ma che siccome tutti, da una parte e dall’altra, hanno commesso violenze ingiustificate, eccidi e orrori, allora i due schieramenti si equivalevano e oggi è legittimo dichiararsi sentimentalmente legati all’una o all’altra parte senza che questo debba destare scandalo.

Ma perché proprio l’istituzione della Giornata del ricordo rappresenterebbe una parte di questa falsificazione, se i fatti in sé sono veri?
Ma proprio perché quando di fatti del genere se ne sono verificati, purtroppo, continuamente, da entrambe le parti (ma le atrocità più vaste e più sistematiche, anzi programmatiche, le hanno compiute i nazisti, questo non dimentichiamolo), scegliere una specifica atrocità per dichiarare che quella, e non altre, va ricordata e insegnata ai giovani è una scelta politica, e falsifica la realtà in quanto isola una vicenda dal suo contesto. Intendiamoci, se io dico che la seconda guerra mondiale è costata la vita a quasi mezzo milione di italiani, fra militari e civili, e che la responsabilità di quelle morti è del regime fascista che ha trascinato il Paese in una guerra criminale, qualcuno potrebbe rispondermi che però le foibe rappresentano l’unico caso in cui un esercito straniero ha invaso quello che allora era il territorio nazionale, determinando un esodo biblico di civili e compiendo stragi indiscriminate; e questo è vero. Ma rimane il fatto che se io decido che quei morti debbono essere ricordati in modo speciale, diversamente, ad esempio, dagli alpini mandati a morire in Russia, dai civili delle città bombardate, dalle vittime degli eccidi nazifascisti – che non hanno un giorno specifico dedicato al loro ricordo: il 25 aprile è un’altra cosa – il messaggio, inevitabilmente, è che di quella guerra ciò che merita di essere ricordato non è che l’Italia fascista era dalla parte del torto, era alleata col regime che ha creato le camere a gas, e aveva invaso e occupato la Jugoslavia e compiuto atrocità sul suo territorio: tutto questo non vale la pena di ricordarlo, invece le atrocità di cui gli italiani sono state le vittime, quelle sì, e solo quelle, vanno ricordate. E questa è appunto la falsificazione della storia di cui parlava Montanari.

Ritiene ci siano fascisti, nostalgici, persone che mal sopportano il 25 aprile nelle Istituzioni?
Parliamo di sensazioni. Io ho la sensazione che come gran parte d’Italia era stata più o meno convintamente fascista, così in tante famiglie si sia conservato un ricordo non negativo del fascismo, e un pregiudizio istintivo verso quei ribelli rompiscatole e magari perfino comunisti che erano i partigiani. E le famiglie che la pensavano così hanno insegnato queste cose ai loro figli. Per tanto tempo erano idee che rimanevano, appunto, in famiglia, e non trovavano una legittimazione esplicita dall’alto, nella politica o nel giornalismo: oggi invece la trovano, e quindi emergono alla luce del sole. Ma a me non spaventa incontrare una persona il cui nonno era fascista, anche i miei lo erano. E se quella persona ha imparato in famiglia che il fascismo non era poi così male, vorrei dirle: ma allora tu davvero avresti voluto che il fascismo, e quindi il nazismo, vincessero la guerra? Davvero avresti voluto che i campi di sterminio continuassero a gasare i bambini, e che le SS e la Gestapo avessero camere di tortura nelle nostre città? Voglio un po’ vedere chi avrebbe il coraggio di rispondermi di sì…

Appartiene alla normale dialettica politica l’auspicio dell’on. Meloni, lanciato dalle pagine del Giornale, di “fermare” il professor Montanari? Si cerca di costituire un precedente?
Non solo non appartiene alla normale dialettica politica, ma è inconcepibile in una Repubblica antifascista. E tuttavia va pur detto che non sono solo le destre ad aver creato un mondo in cui si reclamano le scuse, le dimissioni e i licenziamenti non per qualcosa che si è fatto, ma per qualcosa che si è detto. Il nostro Paese vieta l’apologia di fascismo, sia pure con tante limitazioni e distinguo da rendere il divieto inoperante, e questo divieto ha buonissime ragioni storiche, ma io forse preferirei vivere in un Paese dove chiunque, anche un fascista, può esprimere qualunque opinione senza rischiare per questo di essere cacciato dal posto di lavoro.

La sinistra, proclamando la fine delle ideologie (il comunismo ha fallito, i ragazzi di Salò, siamo tutti colpevoli), ha aperto la strada alla minimizzazione, allo sdoganamento e infine alla riaffermazione dell’ideologia fascista?
Il problema è che non sono finite le ideologie, è finita la sinistra. Il sogno che gli operai potessero diventare la parte più avanzata, più consapevole della società, e prendere il potere nelle loro mani, è fallito; il risultato è che nei paesi occidentali non c’è più nessun partito che si presenti alle elezioni dicendo “noi rappresentiamo gli operai e vogliamo portarli al potere”. Ma la sinistra era quello, non era nient’altro. Invece la destra, cioè la rappresentanza politica di chi vuole legge e ordine. rispetto dell’autorità e libertà d’azione per i ricchi, e non si sente offeso dalle disuguaglianze sociali ed economiche, è ben viva. E in un mondo dove la destra è molto più vitale della sinistra è inevitabile che anche la lettura del passato vada di conseguenza, e che si possano diffondere enormità come quella per cui il comunismo sarebbe stato ben peggio del fascismo.

GREEN PASS, BARBERO: “FIRMEREI L’OBBLIGO VACCINALE. MA BISOGNA RISPETTARE CHI HA DUBBI”
Lo storico, che ha firmato l’appello contro il pass all’università, precisa la sua posizione in un dibattito online con Paolo Flores d’Arcais
“Non escludo affatto di firmare un appello per chiedere l’obbligo vaccinale. Lo firmerei ma chiedo la massima attenzione e rispetto per i tanti motivi, che possono essere giusti o sbagliati, che inducono le persone ad avere dei dubbi sul vaccino”. Lo storico Alessandro Barbero, professore all’Università degli Studi del Piemonte Orientale, precisa oggi la sua posizione nel corso di un dibattito online sul tema Green pass e vaccini organizzato dal direttore di MicroMega, Paolo Flores d’Arcais. E lo fa all’indomani delle polemiche scoppiate dopo l’appello, firmato anche da lui oltre che da 300 colleghi accademici, contro l’obbligatorietà della certificazione verde nelle università.
“Chi non lo fa [il vaccino, ndr] per motivi sbagliati deve essere convinto e poi gli si può anche imporre un obbligo – ha detto Barbero – ma chi non lo fa per motivi più condivisibili deve essere salvaguardato e rispettato”. “Ho firmato un manifesto che esprimeva dei dubbi e che ritenevo di condividere, certo alcune parte non le avrei scritte in quel modo – ha sottolineato Barbero in merito all’appello dei docenti universitari contro l’obbligo del Green pass – ritengo che non si può accettare che ci sia confusione su quello che il governo ha costituzionalmente il diritto di fare e quello che non ha diritto di fare”.
E ancora: “Io credo che se una consistente minoranza di cittadini è spaventata da una misura che il governo vuole introdurre, con l’obbligo o in modo surrettizio, in democrazia sia fondamentale anche in emergenza che si aprisse un dialogo rispettoso e che si facesse maggior chiarezza, anziché dipingere cittadini spaventati come untori pericolosi. Molto del problema – aggiunge – consiste nel fatto del clima che si è creato, per cui segnalare cose per cui non si è convinti equivale ad essere criminalizzati”.
Sotto la lente del medievalista c’è l’aspetto giuridico dell’impianto che sorregge il Green pass: “Ad una minoranza che ha violato un preciso obbligo di legge, il governo ha il diritto di imporre sanzioni. Del tutto diverso è il caso di un governo che, senza voto del Parlamento e violando una direttiva dell’Unione Europea che proibisce di incriminare sulla base del vaccino, di fatto toglie diritti fondamentali a persone che non hanno violato un obbligo, non hanno infranto una legge”. “Mi è sembrato giusto firmare l’appello dei docenti perché il punto fondamentale è questo – aggiunge – non si può accettare senza discutere, senza neanche riconoscere la legittimità del dubbio e di chiedere chiarimenti, che ci sia così tanta confusione su quello che il governo ha costituzionalmente il diritto di fare.
Dal canto suo, il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais è andato oltre: “Impegniamoci a presentare un appello al governo affinché si approvi una legge per un vaccino obbligatorio. Io sarei felice che questa legge avvenisse con un voto di fiducia – ha aggiunto Flores d’Arcais – per cui vedremmo chi si assume la responsabilità e chi fa i doppi giochi”.
Ma cosa diceva il documento firmato, tra gli altri, anche da Barbero? Per i docenti firmatari quella introdotta dal governo è una “ingiusta e illegittima la discriminazione ai danni di una minoranza”. I sottoscrittori dell’appello “ritengono che si debba preservare la libertà di scelta di tutti e favorire l’inclusione paritaria, in ogni sua forma”, mentre il green pass “suddivide la società italiana in cittadini di serie A, che continuano a godere dei propri diritti, e cittadini di serie B, che vedono invece compressi quei diritti fondamentali garantiti loro dalla Costituzione”.
Ma, come sostiene il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais, è evidente che in un contesto pandemico la “libertà di scelta” di chi non vuole vaccinarsi né sottoporsi regolarmente a tampone (perché questo prevede il green pass) limita pesantemente la libertà degli altri cittadini di frequentare serenamente l’università senza rischiare il contagio. Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi né sottoporsi a tampone, dunque, non ha nulla di discriminatorio, ma è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri.
(Il Giorno, 9 settembre 2021)

A proposito di questi argomenti, ci sono molte cose che approvo, molte che mi lasciano dubbioso, molte che disapprovo: e su problemi talmente gravi e seri che non si possono esaurire in poche righe. Ne abbiamo parlato e ne riparleremo. Provo, unendo la “Giornata della Memoria” e la faccenda del vaccino, a riassumere schematicamente i miei dubbi e le mie obiezioni.

  1. Giornata della Memoria e Giornata del Ricordo. Verissimo che il paragone tra Lager e foibe sia aberrante, il che non toglie che anche le foibe siano state una cosa orribile; e c’è del vero anche nel fatto che nell’istituzione della Giornata del Ricordo vi sia stato un contributo (non so quanto risolutivo) di tipo neofascista. Io ci vedo piuttosto un maldestro mezzuccio “moderato” per far passare il principio degli “opposti estremismi” che in fondo si somigliano e per mostrare invece, in controluce, la virtus in medio della democrazia liberal-parlamentaristica nata nel nostro Occidente, equilibrata e immacolata. La verità è che la “Giornata della Memoria”, sulle prime, non era affatto nata per ricordare soltanto le vittime della Shoah, che semmai era un modello esemplare di orrore genocida, primario magari, ma non unico. Si trattava di ricordare tutte le vittime di qualunque genocidio: anche di quello degli armeni, dei native Americans, degli infiniti episodi orribili dei quali è ricca purtroppo la storia dell’umanità e che in buona parte riguardano anche il nostro “felice” e “civile” Occidente liberaldemocratico. Ma qualcuno ha fermato questo proposito e lo ha sostituito con l’Unico Mostro da Sbattere in Prima Pagina, l’orrore nazista, cui magari negli ultimi anni in sottordine si è aggiunto anche l’orrore stalinista. Nossignori, questo riduzionismo non si addice alla verità e alla dignità storica. I criminali vanno chiamati con il loro nome: anche quando esso è quello di Winston Churchill (si veda il Bengala affamato durante la seconda guerra mondiale per far affluire le derrate nel Regno Unito) o Harry S. Truman, presidente USA responsabile di aver consentito al bombardamento atomico del Giappone nell’agosto del 1945: una misura che sarebbe stata inutile in quanto il Giappone era ormai irreversibilmente in ginocchio, ma che fu in realtà un atroce esperimento su cavie umane e un criminale avvertimento intimidatorio nei confronti di quello che si profilava il prossimo concorrente all’egemonia USA sul mondo, l’URSS del generalissimo Stalin; o George W. Bush jr., responsabile delle aggressioni all’Afghanistan nel 2001 e all’Iraq nel 2003. Tutto ciò doveva essere ricordato se non si fosse deciso di restringere la memoria alla Shoah. Senza il tradimento dello spirito universale della Giornata della Memoria non ci sarebbe stato bisogno della Giornata del Ricordo.
  2. “Bella Ciao” non piace nemmeno a me. Mi ricorda l’ambiguità della Resistenza, che non fu affatto una lotta della Civiltà contro la Barbarie come sostiene Barbero. Sul fronte della “Civiltà”, gli obietta qualcuno, c’era anche Stalin: il che era assurdo e inconcepibile. Non mi associo a questo tipo di critica. Constato, e contesto, che sul fronte della “Civiltà” era schierato l’intero liberal-liberalismo che si era arricchito sulla rapina colonialista del mondo, un’infamia che sopravvisse a lungo al 1945 per dar luogo poi a una decolonizzazione e a una ricolonizzazione economico-finanziario-tecnologica ancor più infame, che molti fieri democratici antifascisti continuano ancor oggi a sostenere impavidi (anche perché ci fanno i soldi). Semmai, sarei d’accordo con Barbero sulla base di un conflitto 1939-45 come lotta fra tre differenti forme di barbarie, per quanto non tali al medesimo livello (e potremmo litigar di nuovo sulla fissazione delle gerarchie di responsabilità e di precedenza). E, a proposito di crimini e di criminali (ve ne furono anche dalla parte della Resistenza), non va dimenticato che, se gli eserciti angloamericani e quelli dei loro alleati e collaboratori combattevano per la libertà intesa all’Occidentale, quindi anche per il mantenimento del giogo e dello sfruttamento colonialistici che nessuno di loro aveva messo in discussione a parte vaghe e aleatorie promesse, i gruppi armati comunisti lottavano invece, in sostanziale disaccordo con essi, per una futura Europa comunista. Stalin, a Yalta, aveva accettato che il comunismo non si affermasse nell’Europa occidentale: ma dalla Jugoslavia alla Francia all’Italia c’era chi la pensava diversamente e lottava, spesso eroicamente, per far avanzare la rivoluzione socialista. Il partigiano di “Bella ciao”, per quale “libertà” era morto, per quella liberal-capitalista o per quella comunista? Fingiamo che il problema non esista o insultiamo i caduti in buona fede comunisti seppellendoli in un’ideale fossa comune con chi si era impegnato allo scopo di perpetuare sul mondo la schiavitù dello sfruttamento capitalista?
  3. Quanto all’obiezione proposta da Barbero all’ipotetica persona che si ostinasse a sostenere che una vittoria di Hitler sarebbe stata comunque preferibile eccetera, andiamoci piano. Vittoria di Hitler, quindi instaurazione sicura e indiscutibile di un regime di repressione feroce, con tanto di campi di sterminio e di Gestapo generalizzati e istituzionali? Barbero conosce troppo bene le regola del gioco ucronico-eterofattuale per sapere che non è ammissibile ipotizzare un futuro “chiuso”, a una sola uscita. Immaginiamoci concretamente, razionalmente, analiticamente, un Hitler vincitore. Ma quando? Nella primavera del 1940, se Churchill avesse accettato le sue proposte di pace con la spartizione egemonica del mondo fra una Gran Bretagna padrona degli oceani e un Reich dominante la massa continentale europea (certo non eurasiatica: c’erano l’URSS, allora diplomaticamente vicina alla Germania, e il Giappone, già impegnato nella conquista dell’Asia orientale), con un’Italia della quale dover tener conto e un’America ancora incerta? Allora dovremmo immaginarci davvero un mondo diverso, non necessariamente peggiore in quanto aperto a molteplici possibilità. Oppure un Hitler vincitore nel 1945 dopo aver commesso (se fosse arrivato prima lui nella gara atomica) orribili distruzioni in varie parti del mondo, dall’Inghilterra agli USA all’URSS? Un Hitler precocemente invecchiato, minato da molte malattie anche progressive, tiranno minacciato dalla demenza, odiato ormai da gran parte del suo stesso popolo del quale aveva provocato lo sterminio? Ma in quel caso una Germania “vittoriosa” in tali condizioni avrebbe forse trovato dal suo stesso seno la forza per una rivoluzione interna: sarebbe forse emerso, tra grandi industriali e militari, un movimento in grado di riprendere il disegno fallito il 20 luglio del ’44; e morto Hitler la NSDAP – un partito guidato da una classe dirigente meno che mediocre e quasi per nulla rispettabile – sarebbe stata spazzata via. Avreste guardato con antipatia a un’Europa egemonizzata da un Quarto Reich a indirizzo cristiano-conservatore a capo del quale vi fossero un cancelliere von Papen, un ministro dell’economia Schacht, un ministro dei lavori pubblici Speer, un ministro della ricerca scientifica von Braun, un ministro della giustizia Schmitt, un ministro dell’educazione pubblica Altheim, un ministro delle politiche artistiche von Karajan, con la probabile approvazione del papa e della Gran Bretagna e magari di Stalin, visto la notoria inclinazione filorussa di molti ambienti della tradizione Junker? E quanto avrebbe resistito la miserabile impalcatura razzista e antisemita a una classe dirigente del genere, certo in passato compromessa con Hitler ma ormai liberata dal suo fascino sinistro?
  4. Sul vaccino siamo sostanzialmente d’accordo, ma io sarei più esplicito. Ben venga il vaccino obbligatorio, se il nostro governo si deciderà una buona volta a fare il su dovere di governo di uno stato di diritto serio. Quindi legge rigorosa, chiara e articolata dopo ampia discussione parlamentare e precisa assunzione di responsabilità a proposito di eventuali danni alla salute riportati da cittadini in seguito all’inoculazione e comprovati da indiscutibili prove scientifico-sanitarie. Che la nostra classe dirigente politica accetti questa sfida e formuli una legge del genere: altrimenti i diritti del cittadino non si possono coartare col soccorso di ambigui mezzucci. È il caso di riaffermare il cristiano “sì, sì – no, no”.

Insomma, caro Alessandro, non temere: il nostro accordo su molte cose resisterà, ma le ragioni di discussione e magari di polemica sono e restano parecchie. Quel che conta, comunque, è che il mio modesto contributo vale anzitutto a rivendicare il diritto al rispetto che ti è dovuto in quanto rappresentante in posizione di eccellenza della nostra scienza storica. Gli attacchi virulenti ai quali sei stato sottoposto negli ultimi tempi a proposito delle foibe e del vaccino sono, per il loro tono e la loro qualità, spia di un diffuso sentimento di ostilità nei tuoi confronti che nasce da un fondo oscuro e limaccioso. Molte persone di vario livello e di differente cultura, e purtroppo anche alcuni colleghi, mostrano con evidenza che la loro contestazione di tesi che tu proponi e difendi con lealtà e chiarezza, e che possono ben essere contrastate (io ne contrasto alcune) nasce da una evidente ancorché non esplicita miscela di animosità e d’invidia che disonora chi ne è portatore. Non si contesta affatto, in realtà, il più o meno immaginario Barbero “comunista” e “no vax”, bensì il vero e concreto Barbero vincitore poco più che trentenne del Premio Strega, storico e romanziere di successo, “divo” della TV colta, autore di un recentissimo best seller dedicato a Dante che ha battuto molti record di vendite. Questo ti viene in realtà rimproverato: e con metodi inqualificabili. In quanto medievista “anziano” in questo paese, e a nome di moltissimi miei colleghi, ti rinnovo stima, simpatia, fiducia, solidarietà. Per il resto, continuiamo pure a litigare.