Domenica 26 settembre 2021, ss. Cosma e Damiano
“IL TEMPO DI DANTE” E LE “RIEVOCAZIONI” STORICHE
FRANCO CARDINI
MEDIOEVO E MEDIEVALISMO
Si conclude oggi l’edizione 2021 dell’ormai tradizionale e molto seguito Festival del Medioevo nella città di Gubbio, iniziato mercoledì 22. Com’era ovvio e quasi obbligatorio, tema della settimana è stato Il tempo di Dante; l’anno prossimo, in coincidenza con il seicentesimo anniversario della nascita di Federico da Montefeltro duca d’Urbino (al quale sarà anche dedicata una grande mostra), tema del Festival saranno Le grandi dinastie.
E continueremo a rievocare. Lo riteniamo un’ottima risorsa socioculturale, un valido antidoto all’oblìo ma anche alla retorica, un mezzo per divertirsi imparando e imparar divertendosi. La nostra società civile ne ha bisogno. Ha bisogno di rievocare il medioevo e d’interrogarsi sul fenomeno culturale del medievalismo. Qualche considerazione al riguardo non guasterà.
Medioevo è parola oggi, e da almeno un paio di secoli, di cui si usa e si abusa.[1] Che, al di là della convenzione cronologica e della tradizione consistente nel periodizzare il flusso della storia e nel riferirsi ai nomi che ai periodi così ripartiti usiamo conferire, dietro tale parola siano ormai discernibili valori per così dire specifici – da distinguersi da quelli, ad esempio, tipici del cosiddetto ancien régime, e perpetuatisi oltre gli schemi cronologici più consolidati in un cosiddetto “lungo medioevo”, magari il moyen-âge des profondeurs proposto da Jacques Le Goff –[2] è ancora oggetto di discussione.[3]
Sta di fatto che della parola in questione, la quale ha come noto uno statuto ben consolidato nel campo degli studi e della ricerca sotto il profilo storico e filologico,[4] oggi troppo spesso ci si riferisce per indicare un oggetto ambiguo e confuso, un “medioevo” immaginario (ben altra cosa dall’“immaginario medievale” il cui studio è una dimensione, sia pur discussa, della medievistica),[5] che forse meglio dovremmo definire “fantastico” – se ciò non facesse corto circuito con un celebre capolavoro di Jurgis Baltrusaitis –[6] e che naturalmente, a sua volta, designava una cosa ben diversa,[7] un “medioevo” arbitrariamente concepito e proposto, rispetto al quale si dovranno analizzare volta per volta intenzioni, metodi e materiali d’elaborazione, volontà di verosimiglianza storica, verosimiglianza effettiva. Comunque, la parola e i contenuti che le vengono attribuiti riempiono i nostri massmedia e sembra faccia molto business.[8]
Insieme con le piramidi e i misteri dei faraoni, è il medioevo – o qualcosa ad esso più o meno lontanamente ispirato – a tener banco e a occupare gli scaffali delle librerie e dei negozi di giocattoli, le vetrine delle edicole,[9] gli schermi cinematografici[10] e televisivi, i displays dei computers usati per CD-Rom e per war games, molte linee internet.
Esso tiene banco con le storie del Graal, con i libri sui segreti dei Templari, con i romanzi di swords and sorcery:[11] e per questo potrebbe sembrare che la sua cifra prevalente sia quella di un medioevo da iniziati, da esoteristi-occultisti.[12] Accanto ad esso ve ne sono però altri: il medioevo anch’esso di largo successo veicolato nel romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco, dove sono presenti toni satirici e polemici contro il medioevo dei “tradizionalisti” – quello, per intendersi, largamente ispirato al “reazionarismo” d’un Borges da una parte, agli scritti di autori come René Guénon o Julius Evola dall’altra –[13]; o quello reimmaginato in best sellers come quello di Ken Follett[14]; e infine c’è il medioevo evocativo-popolare, legato a certe grandi feste e connesso con la ricerca romantico-nazionale dell’identità, delle radici, ma anche animato dal revivalismo ch’è un ingrediente dell’industria del turismo e dell’“industria della nostalgia” tipiche entrambe della società dei consumi, un medioevo che si volge semmai al collettivo, alla vita quotidiana, al tableau, come nelle feste assisane del Calendimaggio, nei giochi cavallereschi di Asti, di Ascoli Piceno, di Narni o di Foligno, nelle “ricostruzioni” di momenti e ambienti “medievali” in Bevagna, nelle feste di Brisighella o di Città del Sole, nelle rievocazioni storiche dell’età matildina in provincia di Parma o della battaglia contro il Barbarossa a Legnano,[15] nella “Settimana medievale” in San Marino e in tantissime altre. Fino a pochi anni fa, era forse l’Italia il “luogo deputato” di queste rievocazioni, in un’infinita gamma di proposte ludico-folkloriche e con differenti pretese di continuità tradizionale. Oggi, però, occasioni del genere si riscontrano un po’ in tutta Europa e magari anche fuori di essa.[16] Varie forme e differenti aspetti del “nuovo medioevo” aspettano utenti, clienti, turisti. È un medioevo sparso e diffuso un po’ in tutto il mondo, là dove in qualche modo ci si senta legati all’Europa (quindi anche negli Stati Uniti, in Canada, in Australia), ma soprattutto in Europa: quello delle feste popolari, delle saghe, delle rievocazioni “in costume”, delle gare d’armi, delle riproduzioni artigianali di mediaevalia[17]– ci limitiamo alle feste e dei banchetti “medievali”. Ve ne sono dei solenni e ben radicati, come il Palio di Siena (che per antichità, continuità, autocoscienza e rapporto con la città resta comunque un caso a parte, difficile da paragonarsi con altre feste in apparenza analoghe, che lo prendono comunque sempre a modello), la Saga del Carroccio di Legnano o il Calendimaggio d’Assisi, che davvero coinvolgono molto seriamente intere comunità; e di più modeste e approssimative, dove la storia e gli aspetti filologici dell’età che si vuol rievocare sono trattati con più o meno allegra disinvoltura. Di recente, sono nati anche sodalizi di amateurs abbastanza indecisi tra lo studio del medioevo dei medievisti e il fascino rievocativo del medioevo dei medievalisti (uso qui, in modo abbastanza arbitrario e personale, il primo come aggettivo di “medievistica” e il secondo come aggettivo di “medievalismo”).[18]
Ormai da tempo si sono fatti vari tentativi di “razionalizzare” e di “catalogare” (quando non addirittura di “filologizzare”) questi molti eventi medievalizzanti, cercando di affiancare lo studio storico-filologico dell’età convenzionalmente definita “medioevo” (cioè la scienza detta di consueto “medievistica”) con la galassia d’istanze, di passioni, d’interesse etico-estetico-promozionale e talora maniacale che più propriamente si potrebbe definire “medievalismo”.[19] A questo tema si sono anche dedicati dei convegni.[20]
Tra queste differenti dimensioni, possano crearsi varie aree di sovrapposizione e/o di conflitto. È comunque un medioevo di largo consumo, dedicato specialmente ai più giovani i quali peraltro, anche quando vi partecipano con entusiasmo (come accade in molti sodalizi che con vario grado di serietà filologica cercano di ricostruire e di praticare forme di gioco-battaglia “medievali”),[21] sembra non vi riconoscano per nulla – né si preoccupino di farlo o di non farlo – il periodo chiamato convenzionalmente allo stesso modo e fino ad oggi studiato sui banchi di scuola. Una schizofrenia cui si dovrebbe rimediare anche in controtendenza con quanto affiorato in Italia dalla riforma scolastica che tende ad adeguare anche il nostro paese al trend occidentale di riduzione del peso della memoria storica dall’educazione di base del cittadino.[22]
Ma questa passione, o questa “moda”, del medioevo, non è cosa nuova. Da trenta o quarant’anni, come poco fa accennavamo, continua a esser pubblicato in molte lingue – e ha dato luogo al radicarsi di un vero e proprio culto, sostenuto da un alto numero di “società tolkieniane” – del mondo il romanzo eroico-fantastico Il signore degli anelli, capolavoro di un medievista di Oxford, il filologo John Reuel Ronald Tolkien; ed è un semiologo a sua volta di formazione medievistica, Umberto Eco, ha avuto grande successo con Il nome della rosa, anch’esso ambientato “nel medioevo”, come si usa dire nonostante si tratti di una frase senza senso; d’argomento medievale – e lo ripetiamo – anche il best seller di Ken Follett, I pilastri della terra. Ormai, questo medievalismo diffuso ha dovuto interessare gli stessi studiosi, se non altro per la diffusione del fenomeno: e già abbiamo avuto, al riguardo, contributi che permettono di razionalizzarne i caratteri e i limiti.[23] Medioevo – dicevamo poco sopra anche questo – nello stesso cinema, dove ce n’è per tutti i gusti: dall’esistenzialismo del Bergman de Il settimo sigillo allo spirito goliardico non privo di qualche finezza filologica de L’armata Brancaleone, alla storia di Ginevra e di Lancillotto e alla Giovanna d’Arco più volte visitata e rappresentata, sino al kolossal di Luc Besson del 1999.[24] Per tacer del “medioevo” disneyano, più volte ripercorso (da Biancaneve alla Bella addormentata alla Spada nella roccia a Notre Dame de Paris), che può sembrare qualcosa di strano a chi non conosce gli Stati Uniti d’America: ché al contrario chi ne ha qualche pratica o ha letto qualcosa sulla loro storia sa bene quanto profonde radici abbiano in esse il neomedioevo e lo pseudomedioevo.[25] Basti pensare alla complessa vicenda del trasferimento e della ricostruzione d’un monastero spagnolo sulle rive dello Hudson, presso New York (il Cloister), o all’ispirazione “medievistica” di gran parte dell’architettura statunitense e canadese contemporanea, anche – soprattutto? – della più recente. Ma la cultura statunitense, fino dal secolo scorso e specie in aree alte ed esclusive – come quella dei “bramini” bostoniani –[26] è percorsa da una passione per l’Europa medievale che si collega al pensiero costituzionalistico e al cosiddetto teutonismo: un atteggiamento ben connesso con il gusto neogotico in architettura, ma a proposito del quale si preferisce non porsi la domanda relativa alle radici della bermenschen democracy. Nella pittura, poi, il medioevo ha com’è noto conosciuto revivals illustri, dalla pittura romantica in una gamma infinita che da Delacroix giunge ad Hayez e ai loro epigoni che, con le loro rievocazioni storiche, si addentrano nel Novecento, fino al caso del tutto speciale dei preraffaelliti[27] ma anche a epigoni contemporanei di notevole interesse, sospesi tra revival, ispirazione fantastica, gioco e sperimentazione decorativa.[28] Il medioevo ha tentato anche molti cantanti di musica leggera e cantautori: tanto per restare in Italia, da de André a Iannacci, a Vecchioni, a Branduardi, a Endrigo, a Guccini, ai Gufi, alla Vanoni. Esiste, com’è noto, anche una “giallistica” ambientata nel medioevo, di cui buon esempio italiano è I dodici abati di Challant di Laura Mancinelli: Umberto Eco in qualche modo ne dipende. In alcuni casi, si hanno anche esperimenti lirici che, più che rifarsi a modelli medievali o trarvi ispirazione, sembrano riproporre un diretto allacciamento ad essi.[29]
Inoltre, c’è il come s’è visto medioevo delle polemiche: il medioevo “età oscura”, con tutto un corredo di argomenti denigratori che hanno una chiara origine illuministica; e il medioevo “età aurea” per un motivo o per l’altro vagheggiata e rimpianta,[30] con temi che in qualche modo si rifanno al primo romanticismo ma che fino a pochi anni fa attingevano alla Weltanschauung d’una destra antimoderna collegata alle problematiche di Guénon o di Evola e affascinata dai romanzi di Tolkien, mentre adesso appaiono piuttosto raccordati al celtismo caro ad ambienti della new age. Fino a pochi anni fa si sarebbe detto – tanto per parafrasare i giochetti proposti da “L’Espresso” o una nota canzone di Giorgio Gaber – che il medioevo era “di destra” e l’antimedioevo “di sinistra”. Ora non è più vero: forse perché le ideologie sono entrate in crisi e i parametri di “destra” e “sinistra” si sono confusi, piuttosto che non perché si sia fatto chiarezza sul medioevo.
Infine, di tanto in tanto riemerge anche il medioevo delle fantasie futurologiche e delle paure connesse con certi sviluppi della scienza e della tecnologia. La paura – o anche la previsione in apparenza fredda e razionale – di un “medioevo prossimo venturo” si collega a vecchie posizioni catastrofistiche e a visioni cicliche della storia: con Hiroshima si è aperto il tempo delle proiezioni apocalittiche sul nostro futuro, tuttavia corrette dall’ipotesi che qualcosa sopravviva comunque e che la civiltà ricominci, magari da nuove invasioni barbariche e da nuovi monasteri dove si conservino e si cataloghino i brandelli del sapere antico in attesa della rinascita. D’altro canto, c’è chi ha osservato che la fine delle sia pur ambigue “certezze” ideologiche costituisce qualcosa di simile alla fine dell’impero romano d’Occidente: la caduta del muro di Berlino del 1989 come il cedere del limes e dei valla nel corso del V secolo e l’apertura d’una crepa immensa in un sistema di valori magari ingannevole e ingiusto, a suo modo comunque solido, e dopo la caduta del quale si ha difficoltà a ridare un senso al mondo? Si è alla soglia di un “mondo senza centro”, nel quale si debba ricominciar tutto daccapo e riscostruire, ripensare, riordinare?[31] Ma l’essenza del “medioevo” – verrebbe da chiedere e da chiedersi – sta nell’azzeramento dal quale esso può esser partito al tempo delle società romano-barbariche o nell’ordine morale, estetico e razionale al quale sembra esser pervenuto al tempo delle università e delle cattedrali? Se sono medioevo le città diroccate e le brughiere selvagge, non lo sono anche Chartres e la Summa di Tommaso?
Queste polemiche, queste ipotesi, queste preoccupazioni, queste fantasie, rispondono a una manìa degli ultimi decenni? No davvero. Procedendo a ritroso nel tempo, troviamo ancora e sempre medioevo, di generazione in generazione, almeno fino alla seconda metà del Settecento:[32] limitandoci all’Italia, il gusto romantico[33] e poi carducciano e dannunziano per le cupe tragedie di sangue, l’architettura neogotica di chiese e di palazzi comunali nello scorcio fra Otto e Novecento (ma anche le forme neogotiche o neoromaniche di banche, fabbriche, stazioni ferroviarie, nonché le molteplici forme del restauro più o meno falsificatorio dell’Ottocento e del primo Novecento);[34] e, prima ancora, i romanzi storici come quelli del Guerrazzi o del D’Azeglio[35] e le opere liriche come Il Trovatore di Giuseppe Verdi[36] o Il Mefistofele di Arrigo Boito.[37] Certo, altre epoche del passato hanno sprigionato un fascino persistente nei secoli successivi: nessuna, però, profonda e duratura come il medioevo. Perché?[38]
Una risposta di fondo è soprattutto politica. Il medioevo è il luogo nel quale, a torto o a ragione, si fonda l’elaborazione del concetto di nazione[39] e si sviluppa quello di popolo: i due concetti-base del romanticismo politico, poi variamente articolatosi nel nazionalismo, ma anche nel socialismo e nelle stesse molteplici espressioni del cattolicismo politico.
È necessario prendere dunque atto che l’interesse per il lungo periodo che ordinariamente definiamo “medioevo” situandolo fra V e XV secolo può orientarsi in due differenti dimensioni, non necessariamente opposte ma di solito separate. Una è la “medievistica”, vale a dire la scienza che studia il medioevo sotto il profilo storico, filologico, artistico, filosofico, religioso, letterario, col fine di ricostruirne la realtà dinamica.[40] L’altra è piuttosto il “medievalismo”, cioè il complesso di interessi e di atteggiamenti concretizzatisi fondamentalmente lungo il XIX secolo e tesi a rivivere – in modo talora ludico, talaltra nostalgico-evocativo – un “medioevo” immaginato secondo stereotipi in parte radicati e accumulatisi nel tempo, in parte periodicamente ravvivati da mode di vario genere.[41]
Non parleremo qui direttamente della medievistica, che ha i suoi metodi, il suo statuto scientifico, le sue sedi deputate, molti e severi cultori: che saranno magari qui ricordati, ma non direttamente per le loro ricerche professionistiche. Gli studiosi che si occupano ordinariamente di indagare sul medioevo con i metodi e gli strumenti della ricerca scientifica sono quelli che fanno capo alle Università o agli Istituti specialistici (limitiamoci alla menzione, per l’Italia, dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, con sede in Roma). Càpita loro, sempre più spesso, di misurarsi con il medievalismo e con la divulgazione, dimensioni dalle quali un tempo la cultura accademica si teneva prudentemente, perfino alteramente lontana: ma oggi forse le esigenze massmediali obbligano a più frequenti e profondi contatti.[42] Non crediamo che ciò sia male: la divulgazione scientifica è una cosa seria, che può contribuire alla crescita della società civile. È bene la facciano gli specialisti piuttosto che non dei divulgatori o degli improvvisatori affetti magari da turbe cultural-maniacali.[43] Ma essa ha le sue regole: se da un lato dev’essere attendibile e autorevole, dall’altro non può esimersi dall’essere gradevole, accattivante, magari persino divertente. Sono qualità che raramente vanno insieme. Eppure, grandi studiosi come Georges Duby o Jacques le Goff ci sono riusciti. È una strada da praticare, un esempio da raccogliere e da seguire.
Ma qualcuno si stupisce e si allarma per il perdurare di questa fama e di questo fascino d’un medioevo magari falso o falsificabile, fonte di equivoci e di confusione; c’è chi lo ha perfino detto pericoloso. Proviamoci a rispondere al perché di questo fenomeno.
Le ragioni principali paiono cinque.
Primo. Il medioevo attrae perché lo s’interpreta anzitutto, e quasi involontariamente, come una metafora della condizione umana. Siamo tutti immersi in una “età di mezzo” tesa fra due incognite, fra due misteri. Ci sentiamo librati fra un prima e un dopo ugualmente misteriosi e incerti; e, se da un lato ci turba l’angoscia (o la tipicamente moderna semicertezza) d’un Nulla che ci fascia, dal quale proveniamo e nel quale siamo destinati a piombare di nuovo, dall’altro ci attrae e ci fa paura – ma ci dona anche speranza – la prospettiva d’un Cielo Nuovo e d’una Terra Nuova oltre i confini dell’esistere. Queste angosce, queste speranze e queste paure si riflettono bene nei testi e nelle immagini medievali. Ingmar Bergman, nel suo kierkegaardiano Il settimo sigillo, l’ha perfettamente compreso.
Secondo. Al di là dell’uso che se ne fa in termini propriamente storiografici, il termine “medioevo” rinvia all’idea d’un tempo ricorrente, d’un’era da ripercorrere: segnata cioè da caratteri più tipologici che fenomenologici e cronologici. L’attesa dell’irruzione dei barbari, i vertici ammirevoli e terribili della scienza-magia, gli abissali interrogativi della fede, la tragedia della violenza e l’eroismo sovrumano di chi ad essa si oppone, la minaccia continua della distruzione e dell’Apocalisse. Sono questi i caratteri di quel “medioevo prossimo venturo” rievocato anni fa in un saggio di successo di Roberto Vacca e in un libro che nel bene e nel male ha fatto epoca, Il mattino dei maghi di Pauwels e Bergier. la civiltà ipertecnologica e megalopolitana sente di portar in sé i segni d’una nuova Sodoma e d’una nuova Babele, entrambe minacciate dall’ira divina. È il tema della fine della civiltà e della barbarie ritornante: il tema dei Guerrieri della notte e di Conan il barbaro. Il nuovo medioevo è dietro l’angolo, con i suoi orrori e le sue meraviglie: la cultura del New Age è tornata a riproporre, insieme con altri, anche questo messaggio.
Terzo. Il medioevo non è mai stata un’età davvero “finita”. Nel medioevo ci si vive dentro: lo si restaura, lo si rabbercia, ma si continua a ritenerlo vivo. E in questo modo lo si rinnova. Si pensi ai palazzi, alle chiese, ai centri storici, ma anche alle leggi, alle tradizioni, alle usanze. Acristiani, postcristiani, neocristiani che ci si possa dire, viviamo radicati in una grande tradizione di cui ci restano addosso e intorno imponenti tracce culturali, etiche, comportamentali, mentali. I fondamenti del nostro diritto sono ancora quelli tracciati dal diritto giustinianeo rielaborato nelle università medievali e dai quadri di riferimento della scolastica. Agostino, Dionigi l’Aeropagita e Tommaso costituiscono ancora i referenti immediati e robusti della nostra politica, della nostra estetica, della nostra psicologia. Una cultura senza le basi delle Confessioni, della Città di Dio, della Gerarchia celeste e della Summa teologica sarebbe per noi moderni impensabile: sarebbe una cultura senza Dante, senza Michelangelo, senza Goethe, senza Nietzsche, senza Marx, senza Freud, senza Rilke, senza Einstein.
Quarto. La nostra meditazione moderna relativa all’autocoscienza occidentale è maturata di pari passo con l’invenzione del concetto di “medioevo” e con la coscienza della rottura dunque fra mondo antico e mondo moderno. Dall’umanesimo del Quattrocento attraverso la Riforma, l’Illuminismo e il Romanticismo, abbiamo continuato a interrogarsi sull’Età di Mezzo, il suo significato, il suo valore. qualcuno ha detto che noialtri moderni – lo si voglia o no – siamo tutti figli di Hobbes o di Rousseau. Dal punto di vista della visione del medioevo, noialtri moderni siamo tutti figli di Voltaire o di Novalis.
Quinto. Piaccia o no, il medioevo attrae e respinge al tempo stesso perché lo sentiamo come un tempo “per tutte le stagioni”. In esso c’è tutto e il contrario di tutto; ci sono il lievito e la sostanza d’ogni età del mondo, d’ogni età futura; ma soprattutto ci sono i conflitti dell’età presente. Ci si trovano il culto della tradizione e il fascino dell’innovazione, il rispetto per le istituzioni e la furia devastatrice della barbarie, la mistica e l’empietà, il culto della forza e della violenza guerriere e l’anelito struggente alla pace, la libertà tesa fino alla licenza e l’autorità spinta fino alla tirannia, il “razionale” della scienza e l’“irrazionale” della magia (che sono spesso le due facce della stessa medaglia, il rifiuto eroico della ricchezza e il culto del danaro e del suo straordinario potere, le radici delle nazioni e le basi della questione sociale, la bella e dolce Natura e le tentazioni alchemiche della manipolazione e dell’artificio.
Ecco perché tanto spesso il medioevo è usato come una metafora. Esso è, per noi moderni, uno specchio e un alibi.
Ma che cos’è, davvero, questo “medioevo” che riempie la fantasia? Nei libri, al cinema, in TV, nelle piazze delle nostre città dove si organizzano feste e banchetti “medievali”. È onore, coraggio, fedeltà, colore. Eppure, spesso, sui giornali la parola viene usata in un altro senso. Barbarie medievali, tenebre medievali, roba da medioevo. Ignoranza, paura, miseria, violenza.
Nata con intenti polemici, la parola “medioevo” ha continuato a far litigare. Nel Settecento, era sinonimo di ogni sorta di superstizione, di fanatismo e di credulità; nell’Ottocento, significava invece ogni forma di fede e di bellezza.
Insomma, sembra esserci tutto e il contrario di tutto: la gioia e il terrore, l’eroismo e la ferocia, l’oro e la lebbra, la dolcezza di Francesco d’Assisi e l’orrore della caccia alle streghe e agli ebrei, l’ignoranza d’un mondo di analfabeti e la scienza dei teologi, dei maghi, degli alchimisti.
È mai possibile che cose tanto lontane fra loro posano convivere al punto di venir fatte coabitare sotto uno stesso tetto concettuale, di venir ospitate sotto una comune parola che in qualche modo dovrebbe rappresentare l’essenza di tutte? Il medioevo dei professori dura mille anni, dalla caduta dell’impero romano d’Occidente (476) alla scoperta dell’America (1492). Ma non si è d’accordo su nulla: nemmeno sulla sua durata. E in effetti mille anni per un solo periodo storico sono un po’ troppi. In mille anni ne succedono, di cose: tutto e il contrario di tutto. E allora, come si fa a parlare di un “uomo medievale”, di una “società medievale”, di una “cultura medievale” e così via, come se fossero qualcosa di compatto e di coerente?
Infatti, non si può. Anzi, perfino la convenzionale parola “medioevo” è un rebus insensato. L’hanno inventata fra Tre e Cinquecento: più che una definizione, una non-definizione. Medio-Evo, età di mezzo, periodo di transizione fra le sole età che contano, l’antica e la moderna.
Ma la natura concettuale di questa non-definizione rende arduo l’uscire dal suo cerchio. Il medioevo delle scuole è finito nel XV secolo: eppure è una strana spirale, che torna. Borges e Klee sono più “medievali” di Goldoni e del Canaletto, anche se di parecchio tempo più lontani di questi ultimi – cronologicamente parlando – dal medioevo che c’insegnano a scuola. Il XX secolo è ben più medievale – la teologia politica dello stato e la distruzione dello stato, il ritorno della magia, l’adorazione per la tecnologia, la “paura dei barbari”, l’attesa di un’età nuova – del XIX, che pure idolatrava il medioevo gotico. Il computer, che sottintende un rapporto piuttosto immediato fra la mente e la realizzazione informatica, finisce col trattare i testi su cui si lavora in un modo più “medievale” di quanto non si è potuto fare dall’invenzione di Gutenberg alla macchina da scrivere.
Si è dunque dinanzi a una sorta di “storia infinita”. Oggi, ai molti motivi di ambiguità e di equivoco che siamo andati sommariamente delineando fa riscontro un certo ritorno all’ipercriticismo tardottocentesco: insieme al fascino per il falso, la caccia alla falsificazione, che giunge a punte di negazionismo fondamentalistico: appoggiandosi alla mancanza di fonti davvero coeve, ad esempio, si dubita che Carlomagno sia mai esistito e lo si sospetta creazione di ere più recenti.[44]
Medievistica e medievalismo sono espressioni differenti della cultura occidentale: possono anche procedere di pari passo, anzi è auspicabile che si sostengano a vicenda in modo da una parte di rafforzare il mondo degli studi specifici – la crisi della storia è uno degli aspetti del cedimento dell’Europa alla globalizzazione e della sua perdita d’identità –, dall’altra di procedere a una rifondazione della sensibilità e della stessa estetica delle giovani generazioni, che appaiono devastate dal consumismo e dal livellamento ispirato all’American way of life. È auspicabile un loro progresso armonico, distinto ma non separato, rispettoso dei reciproci àmbiti, attento a non cadere di nuovo nei tranelli tesi dalla tentazione di usar “ideologicamente” della storia. In questo senso, specie per quanto attiene al grande problema dello sviluppo sostenibile, del rapporto con l’ambiente, delle istanze atte a riscoprire un tipo di vita “a misura d’uomo”, il modello medievale – liberato da istanze retoriche e da malintesi – può riuscire ancora utile. Ma è importante praticare una medievistica senza ambiguità e senza cedimenti, una medievistica rigorosamente ispirata al disincanto senza il quale non si praticano discipline storiche di sorta; e un medievalismo flessibile, conscio della componente ludica insita nella sua stessa natura ma disposto a coniugare il libero gioco della fantasia con l’attenzione forte e concreta alla realtà d’un passato intelligibile e, in certe sue linee di fondo, ricostruibile senza utopismi regressivi, nella volontà di leggere le tracce non di una continuità improbabile, ma di una irrinunziabile eredità.
[1]A proposito del concetto e della parola stessa di “medioevo”, resta ancor oggi fondamentale il libro ormai classico di G. Falco, La polemica sul medioevo, n. ed., Napoli, Guida, 1988; esso fu pubblicato a Torino nel 1933, ma porta molto bene gli anni che ha. D’altronde, la sua “storia dell’idea e dell’uso del concetto di medioevo” (potremmo, inadeguatamente, definirla così) si arrestava allo “storicismo cattolico” di Friedrich Schlegel, cioè alle soglie di quel Romanticismo che fu – dopo i prodromi tardosettecenteschi – la culla del medievalismo, del neomedioevo e dello pseudomedioevo non meno che della severa medievistica (anch’essa del resto preceduta dal lavoro erudito dei Padri Maurini e del Muratori, tanto per citare i casi più illustri). Per quanto concerne gli “addetti ai lavori”, la fatica del Falco è stata continuata da L. Gatto, Viaggio intorno al concetto di medioevo. Profilo di storia della storiografia medievale, Roma, Bulzoni, 19923.Ai fini di queste pagine sono utili sia le notizie sia pur miscellanee contenute in Dire le Moyen Age hier et aujourd’hui, éd, p. M. Perrin, Paris, PUF, 1990, sia la lucida sintesi di G. Sergi, L’idea di medioevo. Tra senso comune e pratica storica, Roma, Donzelli, 1998 (nato come saggio introduttivo a AA.VV., Storia medievale, ibidem, pp. 3-41).
[2]Cfr. J. Le Goff, Un autre Moyen Age, Paris, Gallimard, 1999.
[3]Premesse le sempre necessarie distinzioni, ha ad esempio senso accedere alla comprensione del linguaggio usato quanto meno nel “pieno medioevo”, tra patristica e scolastica, quale è proposto da H. de Lubac, Esegesi medievale, trad. it., Roma, Paoline, 19662. A livello puramente personale, riteniamo che si possa parlare di un senso da dare al medioevo (che senza dubbio ha precisi limiti non solo cronologici, ma anche geoculturali: non ha alcun significato – almeno che non lo si usi in senso traslato e con un forte carattere comparativo – il parlar di “medioevo” per culture e situazioni fuori dell’Europa dei secoli V-XV: cfr. AA.VV., Concetto, storia, miti e immagini del Medio Evo, a cura di V. Branca, Firenze, Sansoni, 1973) secondo le indicazioni di C.S. Lewis, L’immagine scartata, trad. it., con una Postfazione di P. Boitani, Genova, Marietti, 1990, nonché dei due saggi di A.Ja. Gurevich, Le categorie della cultura medievale e Lezioni romane. Antropologia e cultura medievale, entrambi Torino, Einaudi, rispettivamente 1983 e 1991. Si tratta naturalmente d’indicazioni metodologiche e tematico-concettuali, non catechetiche.
[4]A ben delimitare il campo del “medioevo dei medievisti”, vale a dire dell’unico medioevo vero e proprio nella misura in cui esso corrisponde a un’età storica (e geostorica) concreta, indichiamo anzitutto due libri su cui meditare: AA.VV., Periodi e contenuti del medio Evo, a cura di P. Delogu, Roma, Il Ventaglio, 1988; H. Furmann, Guida al Medioevo, trad. it., Roma-Bari, Laterza, 1989. Quindi tre dizionari: Dizionario enciclopedico del medioevo, dir. A. Vauchez, ed. it. C. Leonardi, voll. 3, Roma, Città Nuova, 1998-99; Dictionnaire raisonné de l’Occiden médiéval, dir. p. J. Le Goff, J.-C. Schmitt, Paris, Fayard, 1999; Miti e personaggi del medioevo. Dizionario di storia, letteratura, arte, musica e cinema, dir. W.P. Gerritsen e A.G. van Melle, ed. it. a cura di G. Agrati e M.L. Magini, Milano, Bruno Mondadori, 1999. Infine quattro manuali di metodologia: F. Natale, E. Pispisa, Introduzione allo studio della storia medievale, Messina, Intilla, 1986; C. Dolcini, Guida allo studio della storia medievale, Torino, UTET, 1992; P. Delogu, Introduzione allo studio della storia medievale, Bologna, Il Mulino, 1994, R. Dondarini, Lo studio e l’insegnamento della storia medievale, Bologna, CLUEB, 1996. Per una visione d’insieme relativamente aggiornata dell’intera disciplina, cfr. AA.VV., Bilan et perspectives des études médiévales en Europe, éd. p. J. Hamesse, Louvain-la-Neuve, Fédération Internationale des Instituts d’Etudes Médiévales, 1995.
[5]Cfr. J. Le Goff, L’imaginaire médiéval, ora in Idem, Un autre Moyen Age, cit., pp. 421-52.
[6]J. Baltrusaitis, Il medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell’arte gotica, trad. it., Milano, Adelphi, 1973.
[7]Immensa la letteratura sul fantastico e sul meraviglioso – categorie contigue fra loro, ma da tenersi distinte – nel mondo medievale. A titolo di orientamento e per consentire agli interessati il recupero della vasta bibliografia pregressa, basti il citare: J. Le Goff, Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, trad. it., Roma-Bari, Laterza, 1983; AA.VV., El món imaginari i el món marvellós a l’edat mitjana, Barcelona, Fundació Caixa de Pensions, 1986; AA.VV., De l’etranger à l’etrange, ou la conjoincture de la merveille, Provence, CUER MA, 1988 (“Sénéfiance”, 25); F. Dubost, Aspects fantastiques de la littérature narrative médiévale (XII.e-XIIIe siècles). L’Auitre, l’Ailleurs, l’Autrefois, Paris, Champion, 1991; M.C. Storini, Lo spazio dell’avventura, Firenze, La Nuova Italia, 1997.
[8]Si potrebbe forse proporre – ma bisognerebbe avere l’autorevolezza e forse anche disporre dei mezzi massmediali atti ad imporla – l’ormai necessaria distinzione che noi adotteremo in queste pagine tra i “medievisti” (vale a dire i cultori della disciplina storico-filologica detta medievistica) e i “medievalisti”, vale a dire quelli che in qualche modo si rifanno alla dimensione del medievalismo senza necessariamente mostrare alcun rapporto con le ricerche della medievistica.
[9]Cfr. la fortunata rivista “Medioevo”, dell’editore De Agostini, rivolta sia ai cultori di medievistica, sia agli amanti della divulgazione storica, sia ai fans provvisti o no di scrupoli storico-filologici, e diretta da un medievista dell’Università di Firenze, Jean-Claude Maire-Vigueur. Di medioevo si occupa frequentemente una rivista di buona divulgazione storica d’impianto più generale, “Storia e Dossier”, dell’editore Giunti, diretta dallo storico dell’età romana della medesima Università Guido Clemente. In Francia viene pubblicata “Histoire Médiévale” (S.A.R.L.).
[10]Cfr. V. Attolini, Immagini del medioevo nel cinema, Bari, Dedalo, 1993; molte intelligenti osservazioni a proposito del rapporto tra cinema e medioevo in un libro che si occupa più in generale dei rapporti fra medioevo e storia e del “film storico”, S. Bertelli, Corsari del tempo, Firenze, Ponte alle Grazie, 1994. Più in genere sullo stesso argomento, con taglio più propriamente informativo, J.-L. Bourget, L’histoire au cinéma. Le passé retrouvé, Paris, Gallimard, 1992. Su alcuni films o alcune serie dedicati specificamente al medioevo o a qualcosa che nelle intenzioni dovrebbe somigliargli, cfr. p. es.: J. Siclier, Ingmar Bergman, Paris, Editions Universitaires, 1966 (su Il Settimo Sigillo e La Fontana della Vergine); M. Sanfilippo, Robin Hood. La vera storia, Firenze, Giunti, 1997; Il primo cavaliere, indecoroso pasticcio arturiano messo insieme da L. Cameron, D. Hoselton e W. Nicholson, sul quale si è basata una sceneggiatura dello stesso Nicholson cui si è ohimè ispirato un romanzo di E. Chadwick, Milano, Sperling and Kupfer, 1995. Da tutto ciò è nato purtroppo il film omonimo, per il quale si sono scomodati nientemeno che Sean Connery e Richard Gere. Si amerebbe sperare di aver toccato il fondo, se al peggio – com’è noto – non vi fosse mai fine. Sulla rivista “Quaderni Medievali” (per la quale cfr. infra), il medioevo nel cinema è puntualmente seguito da Vito Attolini, con memorabili saggi, ad esempio, su Giovanna d’Arco e sulle crociate.
[11]Sul “medioevo” come luogo d’un futuribile-fantascientifico attorno al quale si sono variamente mossi, nell’ultimo mezzo secolo, outsiders e utopisti della ricerca scientifica, della cultura e della politica, cfr.: L. Pauwels, J. Bergier, Il mattino dei maghi, trad. it., Milano, Mondadori, 1963; R. Vacca, Il medioevo prossimo venturo, ibidem 1971; G. De Vero, Ideologie celesti, Napoli, Tempi Moderni, 1980. Da parte sua, A. Minc, Le nouveau Moyen Age, Paris, Gallimard, 1993, scorge le linee di un “nuovo medioevo” nella fine dell’ottimismo storico che aveva caratterizzato la modernità e ch’era culminato nel “determinismo ottimista” del comunismo, cui sarebbe seguita l’“incapacité de découvrir le principe fondateur du monde” nella quale oggi viviamo. In realtà, pare piuttosto che proprio la fine dell’idea che il mondo avesse un principio fondatore, quindi un senso, abbia dato l’avvìo nel settecento al regno “del progresso e della ragione”, ma che ciò riposasse quanto meno sulla persuasione che la storia avesse un senso immanente. La tesi del Minc sembra quindi poggiata su una del resto diffusa idée donnée, che cioè il medioevo sia sinonimo di caos, di disordine: una delle molte generalizzazioni, attraverso le quali si traduce in linguaggio culturale medio l’incomprensione di quella pluralità di forme e d’esperienze (di sperimentazioni) politiche e istituzionali che caratterizzò viceversa sotto molti punti di vista un’età la determinazione della quale peraltro resta – e va sottolineato – convenzionale.
[12]Il surrettizio medioevo del “mito del Graal” e del templarismo ha avuto negli ultimi anni, in tutto l’Occidente, uno sviluppo straordinario. Se ne sono occupati, rispettivamente, i libri di sintesi di F. Cardini, M. Introvigne, M. Montesano, Il Santo Graal, Firenze, Giunti, 1998, e F. Cardini, I segreti del Tempio, ibidem 2000. Sul medievalismo in rapporto al genere heroic fantasy, molto ha influito il successo, tra Anni Cinquanta ed Anni Settanta, dei romanzi di John R.R. Tolkien, peraltro illustre filologo medievista, più noto tuttavia per la sua saga dedicata agli hobbit che come dotto editore del Beowulf e di Sir Gauwain and the Green Knight (cfr. F. Cardini, Il caso Tolkien e Aragorn superstar, due saggi che costituiscono la riscrizione di scritti vari comparsi fra 1973 e 1986, pubblicati entrambi in Idem, Testimone a Coblenza, Milano, Camunia, 1987, rispettivamente pp. 33-60 e 361-67).
[13]Cfr. AA.VV., Saggi su “Il nome della rosa”, a cura di R. Giovannoli, Milano, Bompiani, 1985. La polemica di Eco contro il tradizionalismo guénoniano ed evoliano e contro le sue radici esoterico-occultistiche sette-ottocentesche è tuttavia presente semmai nell’altro romanzo del semiologo alessandrino, Il pendolo di Foucault, ben rappresentativo del resto del suo interesse, addirittura della sua passione, per quel tipo di cultura e per la grande tradizione ermetico-cabbalistica, della quale essa rappresenta un po’ il succedaneo (cfr. L. Bauco, F. Millocca, Dizionario del pendolo di Foucault, a cura di L. Turrini, Milano, Corbo, 1989). Anche Umberto Eco ha reagito a suo tempo con qualche preoccupazione a quella che, fra Anni Sessanta e Anni Ottanta, è apparsa come l’“occupazione” d’una tematica mitico-apologetica del medioevo da parte di alcuni settori tradizionalisti dell’estrema destra, ritiratisi dalla politica in una sorta di solipsismo apolitico-impolitico (spesso coperto dall’alibi della “metapolitica”). In realtà, va detto che tale tematica partiva da una considerazione esegetica piuttosto debole della realtà storico-filologica del periodo appunto definibile – quanto meno secondo gli standards convenzionali, anche accademici – come medioevo: ma anche in tal senso non si deve generalizzare, dal momento che non sembra ad ogni modo inammissibile la proposta da un lato di modelli etici (o, se si vuole, metafisici: quanto meno nella misura in cui essi si riallaccino a temi teologico-religiosi), dall’altro l’indicazione di momenti storici concreti nei quali questa o quella componente di essi possono aver in qualche modo trovato concreta attuazione. Naturalmente, tale atteggiamento – se non vuol cadere in un’apologetica priva di riscontri con la realtà storica – non può non poggiare su una base concettuale di tipo storico-antropologico. Peraltro, anche le considerazioni di Umberto Eco e di altri riguardo alla pericolosità – oltre all’inammissibilità filologica – di quel “medioevo metastorico” apparivano condizionate da posizioni ideologiche, quando non da scelte tattiche di tipo politico. Sarebbe stato semmai molto opportuno segnalare p. es. la contraddittorietà latente nell’assunzione, da parte di ambienti “tradizionalisti” cattolici, di un patrimonio mitopoietico fondato su presupposti illuministico-massonici sovente risoti in termini neopagani: il che si vede bene oggi, in un momento nel quale ci si trova dinanzi a un rinascere diffuso del “tradizionalismo” messonico che mostra da una parte di tornare alle sue origini, dall’altra di tendere a collusioni con la cultura delle sètte religioso-spiritualistiche e con la composita galassia del new age, erede ad esempio d’un celtismo ch’era stato caratteristico, tra Anni Sessanta e Anni Ottanta, di alcune componenti dell’estrema destra mentre oggi sembra far parte – insieme con il neoinduismo-buddhismo – d’una ennesima, nuova forma di consumismo occidentale magari dissimulato dietro atteggiamenti naturistico-ecologistici.
[14]K. Follett, I pilastri della terra, trad. it., Milano, Mondadori, 1990 e sgg.
[15]Nel Comune di Legnano si lavora anche alla storia del costume: cfr. Mostra dei costumi, delle armi e degli ornamenti del Palio, Legnano, Comune, 1995.
[16]Sul medievalismo negli Stati Uniti, dal Romanticismo ad oggi, cfr.: L’altra sponda di Bisanzio ovvero l’immaginazione dell’America, di G. Franci, R. Mangaroni, E. Zago, fotografie di F. Zignani, Ravenna, Longo, 1992 (dal punto di vista architettonico); M. Sanfilippo, Il medioevo secondo Walt Disney, Roma, Castelvecchi, 1993.
[17]Da ricordare l’esperienza degli artigiani liberamente riuniti nell’Associazione “Abbatia Sancti Salvatoris de Septimo”, attorno alla venerabile abbazia vallombrosana a ovest di Firenze, che producono oggetti di alta qualità ispirati con attenzione filologica al mondo del pellegrinaggio fra XI e XIII secolo. Nota anche la ditta Del Tin di Maniago, specialista in armi medievali riprodotte talora con qualche libertà, ma sovente con buona attenzione filologica.
[18]Pensiamo a società come la friulana “Accademia Jaufré Rudel” o il lombardo “Progetto Galgano”, che propongono un amateurisme sostanziato di preoccupazioni filologico-erudite e cercano il contatto degli studiosi di professione senza rinunziare alla propria cifra “ludico-militante”.
[19]La bella rivista semestrale “Quaderni Medievali”, fondata a metà degli Anni Settanta da un gruppo di docenti: facenti capo soprattutto all’Università di Bari e pubblicata appunto da un editore barese, Dedalo, presenta regolarmente una rubrica – forse la più originale e certo al più divertente – appunto intitolata L’altro Medioevo, l’esemplare “nota giustificativa” della quale merita di esser citata in questa sede per intero: “C’è un medioevo ‘ufficiale’ degli specialisti, degli accademici, degli addetti ai lavori, e c’è un Medioevo della cultura comune, tradotto, decodificato, volgarizzato, spesso deformato; un Medioevo dei medievisti ed un Medioevo della letteratura, del cinema, del teatro, della letteratura e del giornalismo. Come, dagli ambienti chiusi e talvolta esoterici della ricerca, la visione o l’immagine del Medioevo si rispecchia in quelli non specialisti e della più generale informazione? Questa rubrica si occupa, con note critiche e testimonianze, di questa immagine speculare e dei meccanismi d’informazione che la producono, ed ospita testi che trattano aspetti ‘stravaganti’ del mestiere di storico e della vita accademica”.
[20]Ricordiamo quello di San Gimignano del novembre 1983, gli Atti del quale sono raccolti in AA.VV., Il sogno del Medioevo. Il revival del Medioevo nelle culture contemporanee, Bari, Dedalo, 1986 (“Quaderni Medievali”, 21 giugno 1986), e quello di Ascoli Piceno del maggio 1988, gli atti del quale sono raccolti in AA.VV., Il medioevo: specchio ed alibi, a cura di E. Menestò, Ascoli Piceno, Amministrazione Comunale, 1989.
[21]Citiamo casi come la F.I.S.A.S. (Federazione Italiana Scherma Antica e Storica, con sede a Legnano (www.scherma-antica.org.).
[22]Anche per questo è nato, con sede nella Repubblica di San Marino, il Centro Studi Nuovo Medioevo che si propone di organizzare una banca-dati europea (e, in prospettiva, mondiale) relativa a tutti i gruppi e i sodalizi che hanno il medioevo come centro della loro attività ludico-rievocativa o i mediaevalia come oggetto della loro attività produttiva, artistica, artigianale in direzione anche commerciale (armi, abiti, suppellettili, soldatini e battaglie in scala ecc.), e che intendano, senza rinunziare alla natura “amatoriale” del loro interesse, contribuire a una sua “filologizzazione”. Il Centro Studi sammarinese non intende sostituirsi al lavoro medievistico che si svolge nelle Università e nei centri di ricerca specializzati (come il Centro Italiano di studi sull’Alto Medioevo di Spoleto ecc.), ma si propone di costituire un tramite fra essi e i gruppi amateuristes nella prospettiva d’una crescita culturale di questi ultimi e nella creazione di nuove attività e di nuove forme di occupazione specie giovanile (il CSNM di San Marino ha e-mail: fantasia@per.net).
[23]Cfr. i due saggi di R. Bordone, Medioevo oggi, e di C. Bologna, La memoria del medioevo lati no nelle letterature moderne, in AA.VV., Lo spazio letterario del medioevo. 1. Il medioevo latino, dir. G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menestò, vol. IV: L’attualizzazione del testo, Roma, Salerno, 1997, rispettivamente pp. 261-97 e 301-76. I capisaldi della letteratura “neomedievale”, che per molti versi va collegata con quella “gotica” (cfr. R. Barbolini, La Chimera e il terrore. Saggi sul gotico, l’avventura e l’enigma, Milano, Jaca Book, 1984) stanno naturalmente in opere come Il castello di Otranto di Horace Walpole (1769), per molti versi i racconti riuniti col titolo di Notturni da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann tra 1816 e 1817, lo Ivanhoe (1819) e gli altri romanzi “medievali” di Walter Scott (nell’Ivanhoe compare la figura del resto già antica di Robin Hood, che diverrà specie col cinema un “classico” del medioevo reinventato: cfr. E. Hobsbawm, I banditi, trad. it., Torino, Einaudi, 1969, e M. Sanfilippo, Robin Hood, cit. ), Notre-Dame de Paris di Victor Hugo (1831), più volte portato anche sugli schermi (perfino dalla Walt Disney). Tre temi (che possono anche variamente mischiarsi fra loro) si profilano fondamentali in questa produzione: il filone cortese-cavalleresco-erotico-avventuroso; quello magico-misterioso, propriamente “gotico”, che di recente, specie nel cinema, ha dato luogo al genere horror; infine quello esotico-esoterico, un àmbito nel quale tematiche medievaleggianti e tematiche soprattutto orientalistiche s’incrociano e si mischiano (ne è un esempio il racconto di Hoffmann Il Sanctus, uno dei Notturni, ispirato alla presa di Granada da parte dei Re Cattolici. In questo senso Hoffmann sembra far quasi da controcanto a Washington Irving, il massimo responsabile del successo otto-novecentesco dell’Alhambra di Granada, dal canto suo autore di racconti dove, appunto, medievalismo e orientalismo s’incontrano. Il rapporto medioevo-magia, come quello medioevo-Oriente, entrambi abbastanza equivoci ed arbitrari sotto il profilo obiettivo, sono appunto stati imposti da questa letteratura e vengono di continuo riproposti e rielaborati da parte d’una produzione ormai anche cinematografica, fumettistica, informatica ecc. Tra i “casi” recenti, a parte i fin troppo famosi Il nome della rosa di Umberto Eco (che ha dato luogo a tutta una letteratura esegetica: cfr. K. Ickert, U. Schick, Il segreto della rosa decifrato, trad. it., Firenze, Salani, 1986, cui si rinvia anche per la precedente bibliografia) o I pilastri della terra di Ken Follett, si potrebbero citare, tra i molti citabili, quelli di S. Colloredo, La grande marcia, Milano, Longanesi, 1996, dedicato alla sagra del popolo longobardo e della sua grande migrazione, e di S. Undset, Kristin figlia di Lavrans, trad. it., Milano, Rizzoli, 1996. È interessante notare come il “luogo-medioevo” abbia affascinato spesso delle scrittrici o abbia richiamato soprattutto per figure femminili: quali Eleonora d’Aquitania o Giovanna d’Arco (entrambe sovente visitate, com’è noto, anche dal cinema), oppure quali Matilde di Toscana, meno fortunata nel cinema in cambio però quanto meno evocata indirettamente nell’Enrico IV di Luigi Pirandello (un altro “caso” di medievistica-medievalismo) e fortunata soto il profilo letterario: cfr. i due libri miscellanei, a cura entrambi di Paolo Golinelli, Matilde di Canossa nella letteratura italiana da Dante a Pederiali, Reggio Emilia, Diabasis, 1997, e Matilde di Canossa nelle culture europee del secondo millennio. Dalla storia al mito, Bologna, Atron, 1999.
[24]Cfr. V. Attolini, Immagini del medioevo nel cinema, Bari, Dedalo, 1993. Come casi-limite del medioevo nel cinema, abbiamo già citato il sensibile Ingmar Bergman di Jacques Siclier, dove oltre a Il settimo sigillo si dà grande importanza anche a La fontana della vergine, e il romanzo di Elisabeth Chadwick basato (si è già detto anche questo) sulla sceneggiatura del film First Knight in cui, con la deplorevole complicità della Columbia Pictures Industries, Sean Connery e Richard Gere si sono impietosamente dati a massacrare senza pietà la leggenda di Artù, Lancillotto e Ginevra, già torturata da altre incursioni cinematografiche condotte da Robert Taylor, Ava Gardner, Franco Nero, Vanessa Redgrave e altri malintenzionati.
[25]Cfr. M. Sanfilippo, Il medioevo secondo Walt Disney, cit.
[26]Un buon esempio del medievismo del mondo intellettuale “bramino” di Boston è nel lungo saggio di H. Adams, Mont-Saint-Michel and Chartres, New York, The New american Library, 1961.
[27]La pittura ispirata al medioevo si può distinguere nei due grandi filoni – sovente del resto intrecciati – del genere “fantastico” e del genere “storico”, con intenti magari civici (molti ne troviamo nella nostra pittura risorgimentale, dalle tante “battaglie di Legnano” alle scene di momenti-chiave o considerati tali nella storia patria, come la cacciata del duca d’Atene da Firenze e così via, che hanno poi influenzato anche il cinema “storico” specie degli Anni Trenta. Il nesso tra i due filoni si coglie in opere celebrative come il “salone delle crociate” a Versailles o nelle acqueforti di Gustave Dorè, che illustrando l’Histoire des croisades del Michaud si rifà a un medievismo tinto di esotismo mentre, nelle tavole a commento dell’Orlando Furioso dell’Ariosto, dà libero sfogo al medievalismo-esotismo-orientalismo fantastico. Fra i molti esempi di pittura romantica ci limitiamo qui a ricordare: Francesco Podesti, a cura di M. Polverari, Milano, Electa, 1996 (un esempio di “pittura civica” anconetana); Siena tra purismo e Liberty, Comune di Siena, Mondadori-De Luca, 1988; M. T. Benedetti, Dante Gabriel Rossetti, Firenze, Sansoni, 1984; Eadem, I preraffaelliti, Firenze, Giunti, 1986; E. Schulte, Dante Gabriel Rossetti. Vita, arte, poesia, Napoli, Liguori, 1986; L. Falqui, La gemma. Estetismo ed esoterismo nei preraffaelliti, Rimini, Il cerchio, 1994. Riguardo a Dante Gabriel Rossetti, è da notare che il suo “medievismo” estenuato ha uno stretto rapporto con l’attività di ricercatore e di pubblicista del padre, il vastese Gabriele Rossetti, singolare figura di letterato che per certi versi avrebbe continuato il lavoro di Ugo Foscolo in Inghilterra mentre, legato agli ambienti massonici, avrebbe sviluppato i temi d’un medioevo misteriosofico e “giovannita”, profondamente – ed esotericamente – cristiano e portatore dunque di una spiritualità diversa ed avversa rispetto alla “corruzione” del papato. Attraverso l’insegnamento esoterico legato ai sodalizi templari (qui il Rosetti riprendeva, rovesciandola però di segno, l’interpretazione templaristica di Joseph Hammer-Purgstall) questa sapienza spirituale-cavalleresca “gibellina” sarebbe giunta ai trovatori, quindi ai dolcestilnovisti toscani e allo stesso Dante, e si sarebbe incarnata nel sodalizio dei “Fedeli d’Amore”. In ciò il Rossetti schiudeva la strada alle successive fantasie parafilologiche-pseudofilologiche (spesso non prive di geniale erudizione) del Caetani, del Perez, del Pascoli, del Valli, dello stesso Evola. Cfr. G. Rossetti, Sullo spirito antipapale che produsse la Riforma, n. ed., Torino, Aragno, 1999; Idem, Misticismo della Divina Commedia, n. ed., ibidem; L. Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei “Fedeli d’Amore”, n. ed., Genova, I Dioscuri, 1988; C. Mutti, Il linguaggio segreto di Giovanni Boccaccio, in Idem, Avium voces, Parma, Il Veltro, 1998, pp. 27-42. Per una corretta indagine sul linguaggio allegorico medievale, C.S. Lewis, L’allegoria d’amore. Saggio sulla tradizione medievale, trad. it., Torino, Einaudi, 1969.
[28]Citiamo il caso di Elena Salvini Pierallini, Esprimere il tempo, Firenze, Morgana, 1996, che associa pittura e ricamo.
[29]Un esempio interessante l’ispanista Aurelia Rosa Iurilli, che in Las Aurelíadas (Buenos Aires, Vinciguerra, 1999) studia i riferimenti medievali di Manuel Mujica Lainez e di Leopoldo Marechal, mentre in Libro de la Horas (ivi s.d.) riprende direttamente movenze mistico-trobadoriche.
[30]In quest’àmbito, accanto a un medievalismo apologetico sospetto e in genere anche maldestro, sono comunque da registrare istanze vòlte – ed è cosa ben diversa dalla precedente – a correggere un’ormai cronicizzata tendenza denigratoria che s’incontra in molte allusioni anche svagate al cosiddetto medioevo; ed altre, scopo delle quali è semmai l’affermare il corretto modo d’intendere cose, fatti e persone di quel periodo (per convenzionalmente ch’esso possa essere stato proposto in termini di periodizzazione), al di là appunto di generalizzazioni e di schematizzazioni. Cfr. p. es.: G. Cohen, La grande clarté du moyen-âge, Paris, Gallimard, 1945; R. Pernoud, Luce del medioevo, trad. it., Roma, Volpe, 1978; Eadem, Medioevo. Un secolare pregiudizio, trad. it., Milano, Bompiani, 1983; J. Heers, Le Moyen Age, une imposture, Paris, Perrin, 1992.
[31]A. Minc, Le nouveau Moyen Age, cit.
[32]Cfr.: L. Gatto, Medioevo voltairiano, Roma, Bulzoni, 1972; R. Bordone, Lo specchio di Shalott. L’invenzione del medioevo nella cultura dell’Ottocento, Napoli, Liguori, 1993.
[33]Si vedano, a confronto, le due tragedie dedicate entrambe a Corradino di Svevia, rispettivamente dal filosofo e giurista Francesco Mario Pagano e un secolo più tardi, sul finir dell’Ottocento, dall’allora giovane Giuseppe Chiovenda (F.M. Pagano, Corradino, con il Corradino di Svevia di G. Chiovenda, Bari, Palomar, s.d.
[34]Anche il capitolo sull’architettura neomedievale – neoromanica o neogotica che possa essere – non si può esaminare senza riferirsi al gothic revival europeo, accompagnato dalla nascita del neogermanesimo e del neoceltismo (ma anche dallo studio filosofico degli idiomi germanico e celtico) fino dallo scorcio del Settecento. Per un saggio-quadro, K. Clark, Il Revival gotico. Un capitolo di storia del gusto, trad. it., Torino, Einaudi, 1970. Il passaggio dal classicismo al romanticismo, quindi dal neoclassico al neogotico con straordinarie aperture sull’orientalismo e l’esotismo è documentato dalla straordinaria arte di Karl Friedrich Schinkel (cfr. Karl Friedrich Schinkel, Berlin, Henschelverlag Kunst und Gesellschaft, 1982). Sull’inestricabile nodo tra estetica romantica, architettura, restauro e falsificazione, cfr.: J. Ruskin, La natura del gotico, trad. it., Milano, Jaca Book, 1981; Idem, Le sette lampade dell’architettura, trad. it., ibidem, D. Watkin, Architettura e moralità, trad. it., ibidem; E. Viollet-le-Duc, L’architettura ragionata, trad. it., ibidem; Idem, Scritti sull’architettura, Torino, Bollati Boringhieri, 1996; Gotico neogotico ipergotico. Architettura e arti decorative a Piacenza 1836-1915, a cura di M. Dezzi Bardeschi, Bologna, Grafis, 1985. Per alcuni casi a metà tra arte, restauro, collezionismo e falsificazione: G. Zucconi, L’invenzione del passato. Camillo Boito e l’architettura neomedievale, trad. it., Venezia, Marsilio, 1997; Giovanni Battista Cavalcaselle conoscitore e conservatore, a cura di A.C. Tommasi, ivi 1998; E. Dellapiana, C. Tosco, Regola senza regola. Letture dell’architettura medievale in Piemonte da Guarini al Liberty, Torino, Celid, 1996: Cervi, Borgo medioevale in Torino, Torino, Stamperia del Borgo medioevale, 1978; Il Casentino nel nome di Dante. Il restauro dei castelli danteschi, a cura di G. Contorni, Stia, Comitato Promotore per le celebrazioni del VII Centenario della Battaglia di Campaldino, s.d.; R. Ferrazza, Palazzo Davanzati e le collezioni di Elia Volpi, Firenze, Centro Di, 1994; F. Baldry, John Temple Leader e il castello di Vincigliata. Un episodio di restauro e di collezionismo nella Firenze dell’Ottocento, Firenze, Olschki, 1997; Medioevo restaurato. Genova 1860-1940, a cura di C. Dufour Bozzo, Genova, ACE, 1984. A titolo di riscontro, sul caso di Neuschwanstein: J. des Cars, Luigi II di Baviera. Il prigioniero di un sogno, trad. it., Milano, Mursia, 1987, part. pp. 146-230. In particolare, su collezionismo e falsificazione: F. Arnau, Arte della falsificazione dell’arte, trad. it., Milano, Feltrinelli, 1960; AA.VV., Aspetti del collezionismo in Italia da Federico II al primo Novecento, Trapani, Museo Regionale Pepoli, 1993. Sul nesso tra medievalismo ed eclettismo: G. Bilancioni, Architettura esoterica, Palermo, Sellerio, 1991; L. Patetta, L’architettura dell’eclettismo. Fonti, teorie, modelli 1750-1900, Milano, Città Studi, 1991; D. Dardi, Il Quartiere Coppedè, Roma, Newton Compton, 1999.
[35]Cfr.: AA.VV., Francesco Domenico Guerrazzi nella storia politica e culturale del Risorgimento, Firenze, Olschki, 1975; L. Lattarulo, Il romanzo storico, Roma, Editori Riuniti, 1978; AA.VV., Romanzo storico e romanticismo. Intermittenze del modello scottiano; Pisa, ETS, 1990; G. Rosa, Il romanzo melodrammatico. Francesco domenico Guerrazzi; Firenze, La Nuova Italia, 1990.
[36]Cfr. p. es. AA.VV., Il medioevo nell’Ottocento in Italia e in Germania, a cura di R. Elze e P. Schiera, Bologna-Berlin, Il Mulino-Duncker u. Humblot, 1988. Va peraltro ricordato che già il Pergolesi, nel 1731, aveva fatto rappresentare a Napoli un melodramma d’argomento medievale, il Guglielmo d’Aquitania.
[37]Cfr. D. Del Nero, Arrigo Boito. Un artista europeo, Firenze, Le Lettere, 1995.
[38]Cfr. C. Amalvi, Le got du moyen-Âge, Paris, Plon, 1996.
[39]Cfr. E. Sestan, Stato e nazione nell’Alto Medioevo. Ricerche sulle origini nazionali in Francia, Italia, Germania, Napoli, ESI, 1952; G. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1812-1931), trad. it., Bologna, Il Mulino, 1975; K. Pomian, L’Europa e le sue nazioni, trad. it., Milano, Il Saggiatore, 1990.
[40]Su ciò la letteratura, molto vasta, coincide con un una serie di scienze a carattere storico-filologico per le quali, e la relativa dinamica tematica e metodologica, mi sia consentito il rinvio alle preziose pagine di G. Sergi, L’Idea di medioevo, in AA.VV., Storia medievale, Roma, Donzelli, 1998, pp. 3-41.
[41]R. Bordone, Lo specchio di Shalott. L’invenzione del medioevo nella cultura dell’Ottocento, Napoli, Liguori, 1993.
[42]Per quest’ordine di problemi è oggi indispensabile il vol. di AA.VV., Lo spazio letterario del medioevo. 1. Il medioevo latino, dir. G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menestò, vol. IV. L’attualizzazione del testo, Roma, Salerno, 1997.
[43]Per lo studio del fenomeno neomedievistico, per così dire, “a tutto campo”, è importante un convegno tenutosi a San Gimignano nel 1983, i cui Atti sono usciti, col titolo Il sogno del medioevo. Il revival del medioevo nelle culture contemporanee in “Quaderni Medievali”, 21, giugno 1986 (Bari, Dedalo, 1986). La rivista “Quaderni Medievali” pubblica regolarmente una rubrica dal titolo “L’Altro Medioevo”, che viene così presentata: “C’è un Medioevo ‘ufficiale’ degli specialisti, degli accademici, degli addetti ai lavori, e c’è un Medioevo della cultura comune, tradotto, decodificato, volgarizzato, spesso deformato; un medioevo dei medievisti ed un Medioevo della letteratura, del cinema, del teatro, della televisione, della ricerca. Come, dagli ambienti chiusi e talvolta esoterici della ricerca, la visione o l’immagine del Medioevo si rispecchia in quelli dei non specialisti e della più generale informazione? Questa rubrica si occupa, con note critiche e testimonianze, di questa immagine speculare e dei meccanismi di informazione che la producono, ed ospita testi che trattano aspetti ‘stravaganti’ del mestiere di storico e della vita accademica”. Con analoghi intenti, ma con una prospettiva più pratica – facilitare gli incontri fra medievistica e medievalismo, migliorare la qualità filologica e storica del secondo – è stato fondato nel 1998 il Centro Studi Nuovo medioevo, con sede nella Repubblica di San Marino, che si occupa di studiare e catalogare i vari aspetti e le varie espressioni del medievalismo contemporaneo (cfr. Centro Studi Nuovo Medioevo. Repubblica di San Marino, Villa Verrucchio, Pazzini, 1998.
[44]Cfr. H. Illig, Das erfundene Mittelalter. Die grösste Zeitfälschung der Geschichte, München, Econ und List, 1998. Su falsi e falsificazione in linea generale, cfr. A. Grafton, Falsari e critici. Creatività e finzione nella tradizione letteraria occidentale, trad. it., Torino, Einaudi, 1996.