Minima Cardiniana 345/4

Domenica 26 settembre 2021, ss. Cosma e Damiano

ANCORA SUL COVID 19
Proseguiamo il nostro libero dibattito su epidemia, vaccini & Co. È la volta dell’amico Pietro De Marco: che lo ammetta o no, è un teologo, un filosofo e un antropologo. Già colonna portante di un discusso e glorioso periodico fiorentino dei tempi di La Pira e di Balducci, “Testimonianze”, De Marco non è mai stato autore prolifico: è, al contrario, sobrio e rigoroso; è un autore che impegna il lettore e che non va letto se non con molta attenzione. Negli ultimi tempi ha sviluppato una linea di pensiero che lo ha condotto fra l’altro a riflettere in modo originale e spregiudicato sul “tradizionalismo” cattolico e le sue molte correnti.

PIETRO DE MARCO
‘ESERCIZI DI TIRANNIA IN CORSO’, OVVERO SUL ‘GRIDARE AL LUPO’ E ALTRI ERRORI DIAGNOSTICI DEL PRESENTE
1. Quando vi è la previsione di un Male incombente (sia pure Transizione ad una Età Nuova) le epidemie ne sembrano un preavviso sicuro. E i sintomi ‘epidemici’, il moltiplicarsi di malati, le prime morti, gli ospedali e i cimiteri saturi, le cure stesse, appaiono come i primi delitti di una ‘forza’ o congiuntura guidata da attori onnipotenti. Morfologia della fiaba fantasy, senza nulla togliere alla visionaria sapienza di Tolkien interprete della storia del Novecento. Ma leggere i segni dei tempi non è da tutti, per lunghi periodi non è concesso a nessuno. E le apocalittiche in corso, talmente stereotipe e inflazionate da apparire una psicosi collettiva, assomiglierebbero al gioco (pericoloso, comunque) del pastorello di Esopo se non fossero proposte con una puntigliosità degna di altre cause. Perché?
In un magnifico volume dedicato ai troubles de religion del secondo Cinquecento francese (con fulcro nella notte di san Bartolomeo) scriveva Denis Crouzet: “al cammino elementare che conduce all’iconoclasmo [calvinistico] è forse soggiacente questo ragionamento: i riformati del 1560-62 sono uomini ossessionati dal desiderio di mostrarsi, poiché la clandestinità è una trappola in cui il profetismo cattolico li tiene chiusi”. Crouzet spiega che, per lo sguardo cattolico, l’eretico vivrebbe e si muoverebbe nel nascondimento coltivando un segreto disegno contro l’ordine di Dio. Mostrarsi è, allora, per l’eretico validare davanti a tutti una innocenza evangelica; “risponde ad un senso di urgenza di fronte alla spinta dell’immaginario escatologico [cattolico] che proietta immagini repellenti […] su chi si è separato dalla Chiesa”. Sennonché la purezza evangelica sarà indotta ad esteriorizzarsi operando contro le immagini sacre, ovvero contro l’impurità. Il suo venire alla luce del giorno implicherà “l’irruzione della violenza iconoclastica, un combattimento contro ciò che offende la maestà di Dio”. Così in effetti, tra 1561 e 1562.
Ricavo da Crouzet un suggerimento dinamico, che può riguardarci periodicamente tutti. Al diffondersi del virus si contrappongono provvedimenti di isolamento, ci si impone di tirar giù i catenacci (lock down). Ma prestissimo, a chi ha conoscenza del Male incombente sul mondo non è più possibile nascondersi o circolare con l’equivalente (la mascherina) di una stella gialla sul petto. Chi domina fuori, dà ordini, ti vuole repellente, vuole tu ti nasconda come un topo: bisogna uscire alla luce e distruggere Babilonia e le sue icone impure. Inizia su più fronti, dal teologico al giuridico, la denuncia delle falsificazioni e degli abusi del Potere, veri e propri attentati all’uomo e alla verità, ovvero (tra i cultori delle Costituzioni, l’ultimo surrogato dell’antica fede) alla libertà, l’unico bene.
Inferenze di una premessa erronea, poiché nella grande crisi mondiale non vi sono né profeti di verità né vittime del potere. Infatti, per iniziare dal fondo, la libertà (come diritto) proprio non c’entra (o c’entra, ma in una prospettiva retorico-suicidaria, davvero sintomatica della postmodernità occidentale. Un superuomo nevrastenico che fuori da ogni logica proclama: sono figlio della Costituzione, nessuno mi può imporre di, neppure di proteggere la mia vita e quella degli altri); siamo in un prius antropologico rispetto alla civitas. Nemmeno c’entra il conflitto salute-salvezza invocato da qualcuno nella Chiesa. La tradizione cristiana (non le sette apocalittiche), per dire meglio la Cristianità, ha sempre coniugato le due dimensioni, non ha sussunto la salute del corpo sotto la salvezza dell’anima e a disposizione dell’art d’assurer son salut. Gesù è salvatore e medico, non tutti i salvati sono dei guariti, non tutti i guariti saranno dei salvati.
Per aggirare queste evidenze di principio, la querelle si sposta sul fatto: le diverse opposizioni alla disciplina anti-Coronavirus hanno invocato la poca rilevanza della patologia, l’incertezza o incongruità delle terapie vaccinali e/o delle profilassi, il diritto a scegliersi la terapia poiché ne esisterebbero di non vaccinali (in realtà solo cure individuali). Continuamente dei non specialisti ci ‘rivelano’ l’esistenza di farmaci o percorsi di cura alternativi. Così, alle iniziali insofferenze di fronte alle limitazioni della circolazione e dell’accesso a luoghi (o spazi) pubblici, si è aggiunto il sospetto sistematico, anzi la deliberata quanto infondata squalifica (un vero e proprio falso ideologico, perseguibile) delle prime generazioni di vaccini, nocivi, generatori di varianti anzi inutili ma imposti dalle corporations del farmaco.
Questa individuazione del Nemico nell’Esecutivo (succube di congiure mondiali o dei soliti potentati) ha prodotto o aggravato un corto circuito politico tra opposizioni ‘mediche’ e resistenze ‘legali’, come se, con la crisi pandemica, qualcosa, una scarica di energia, avesse investito il sistema di sofferenze politiche e morali di élites e gruppi (vecchi e nuovi, da sinistra a destra) marginali alla decisione politica.

2. Ma perché un ricorso ribellista alla Costituzione quasi che essa non sia la Grundgesetz, la legge fondante dell’ordine, ma piuttosto la legittimazione di ogni volontà di trasgressione? Perché da tempo il vuoto postmoderno di cultura politica (e di dottrina dello stato: solo Costituzione, anzi un suo feticcio retorico) invita parlamenti e corti europee a deduzioni di beni sociali astratti dalle Carte e non dalla storia morale, religiosa e politica dei popoli. Per secoli anzi millenni i beni sociali non sono stati oggetto di legge (i sovrani esercitavano giurisdizione ma legiferavano pochissimo); erano evidenze non ignorabili, entro la retta sopravvivenza delle società e culture. La stessa Modernità post-rivoluzionaria fondava la legge nel bene sociale del gruppo, del Tutto.
Solo nel Novecento avanzato abbiamo conosciuto l’astuta nevrosi delle libertà individuali e l’abuso delle Costituzioni come indiretto pouvoir constituant in mano minoranze, nel connubio tra soggettivismi infrenabili e di politiche della gratificazione (o della terapia) e agitando princìpi ‘senza storia’, ma capaci, alla lunga, di cancellarla. Questo connubio di effervescenze e astrazioni è la negazione dello stato, anche dello stato liberal-democratico, in sé equilibrio tra il potere del popolo (che è unità e totalità) e la tutela delle legittime libertà individuali. Oggi l’istanza diffusa di ‘democrazia’ appare, nelle bocche della composita minoranza che fa opinione, una voglia di potere contro il bene degli altri.
I diritti fondamentali di eredità liberale girano, così, nelle mani o nelle teste di molti, anche giuristi, come armi sottratte a una caserma saccheggiata. Pochi sanno usarle e molti si fanno male. Infatti i diritti fondamentali non sono questo; sono un apparato di balance rispetto all’azione degli organi dello stato (meglio: del Sovrano) moderno, in sé onnipotente. Non sono costituiti (è storicamente evidente nella vicenda dello stato di diritto) per ostacolarne o persino delegittimarne l’ordinaria funzione ordinante, tantomeno l’azione imperativa in stato di necessità che al contrario ne deve sospendere alcuni. E lo stato di necessità è dettato sempre da un bonum sociale-politico gravemente compromesso; è segno di ottusa ideologia che si possa continuare, invece, a parlare nella nostra emergenza di ‘fascismo’. Che lo facciano alcuni storici sorprende meno: lo storico è spesso incapace di ragionamento ‘generale’, una volta tolti gli occhi dalle carte.
Insomma, fuori dal moderno meccanismo politico di balance i ‘diritti’ non sono (per assoluta inidoneità) principi di creazione sociale autonoma: niente di umano si crea a partire da una istanza assoluta di libertà (da e di). Umanizzazione è apprendere ‘istituti’, ossia condotte esperte e regolate. Per sussistere rettamente i diritti hanno bisogno del Sovrano.
Ed ecco che, nel 2020, su una (su più d’una) comunità nazionale cadono divieti e indirizzi obbliganti che palesano l’esistenza del Sovrano. Chi reagisce? Tutte le minoranze in sofferenza politica, variamente poste su polarità di “fede”, dalle cattolico-apocalittiche antimoderne o filosoficamente affini a queste, alle ‘democratiche’ il cui moralismo si oppone da tempo al razionale equilibrio degli stati. Palesemente queste reazioni coprono tutto l’arco costituzionale. Perché si reagisce? Perché in queste polarità mentali, se si escludono le opposizioni parlamentari d’ufficio, si alimenta un senso di ‘grande pericolo’ (per le tradizioni politiche stesse) incombente e l’attesa del suo venire a scadenza. Dalle ormai antiche previsioni-attese di crisi del capitalismo, poi di collasso delle società del benessere e di rivolta dei terzi e quarti mondi, alle più recenti attese di asservimenti (su ogni livello) a potenze occulte, fino alla recentissima connotazione di ogni eccesso meteorologico come prova della “ribellione” della Natura o della Terra, tutto ha la stessa struttura logica e lo stesso sostrato emozionale: l’attesa frustrata di una Età Nuova e la ricerca di ‘segni premonitori’.

3. L’intelligencija attiva, ovvero gli interpreti-istruttori dell’esercito mondiale di alfabetizzati, ne è protagonista, imponendo comportamenti e formule down top fino ai ceti al governo. I ceti di governo (i ‘politici’ nel linguaggio corrente) e i parlamenti sono imputati dall’intelligencija di non ascoltare la società civile: ma questa pretesa società civile è solo una minoranza combattiva quanto non rappresentativa, ed è in sé del tutto corretto che il legislatore, comunque più rappresentativo dell’intelligencija, non la ascolti, finché ha la forza di resistere al suo assedio.
La diffusione del Sars-Cov-2 e i provvedimenti per il suo contenimento hanno rappresentato l’occasione insperata per un esercizio di disvelamento di realtà e di conseguente assedio del potere pubblico. Dagli enunciati più ragionevoli (non per questo molto significativi) sul Covid come evento-promemoria della umana fragilità, alla esplosione di una letteratura di diagnosi-denunce del Male (che non è neppure la patologia virale, ma la cura) alle nostre porte anzi nelle nostre case, inoculato da un qualche Potere nei nostri organismi. Naturalmente la configurazione di questa intelligencija al tempo del Covid è peculiare: meno sinistre di governo e più apocalittismo tipico delle estreme, di destra e di sinistra; da sinistra antinazismo metaforico, fantasioso (lo stato nuovo Mengele), democraticismo e costituzionalismo come protezione irrazionale, puntiglioso soggettivismo senza Politica; molta congiura mondiale.
Vi sono dunque uomini e donne puri, non solo forti nel corpo e nell’anima da non aver bisogno di farmaci, ma specialmente dotati di una superiore visione, che dichiara l’urgenza del rivelare con ogni mezzo che l’immonda Babilonia è al potere. La frustrante latenza della verità si libera per le strade.
Per una apocalittica cattolica molti disegni mondiali di scristianizzazione e manipolazione dell’Uomo convergono: vale la pena di leggere, magari tenere da parte ‘perché non si sa mai’, molti dei testi vibranti che mons. Viganò ha pubblicato a suo nome. Per altri vi sarebbe più modestamente in pericolo (ieri nei divieti di accesso a luoghi pubblici, ora nell’obbligazione vaccinale) la democrazia nazionale. Il tono è tuttavia catastrofista, perché per molta intelligencija la ‘democrazia’ è tutto, mentre l’esercizio (disturbante, non gratificante) del comando è, non può non essere, l’ingiustizia, l’illegittimità, il Maligno. Se così è valgono tutte le fenomenologie della battaglia ideologica: tutto e il suo contrario la confermano, i dati ‘ufficiali’ sono il falso per definizione, ogni combattente in quanto tale conosce più verità. Persino la fallibilità (rectius: la costitutiva falsificabilità) del discorso scientifico vien portata come argomento. Ovvero: poiché non vi è certezza, non vi sono dogmi, nella ricerca biomedica, lasciamo che la pandemia faccia il suo corso. Se e quando avremo il vaccino perfettamente efficace e sicuro (testato come?) lo inoculeremo. Si può più ingenuamente (e irrealisticamente) confondere ragion pura e ragion pratica, epistemologia e etica? Ho già scritto, ragionando col p. Gagliardi (www.settimocielo 31.8.2021) che sospendere il giudizio sul vaccino e rinviare (infinitamente, poiché la ricerca è interminabile) le somministrazioni è di fatto negare il vaccino a chi può trarne beneficio oggi. Non vi è un tertium nel momento t tra curare (sotto i vincoli delle nostre conoscenze in t) e non curare. Non vi è mai un tertium in teoria dell’azione quando si è di fronte ad una alternativa pratica; decidere è più che l’espressione di una preferenza, è azione o non-azione; l’indifferenza stessa (in senso tecnico) non è prevista, poiché ci verrà chiesto dal decisore pubblico: “se per te vaccinare o non vaccinare è lo stesso, non lo è per gli altri; dunque? Delegherai la scelta e io [che ne ho autorità] sceglierò per te, su di te e sugli altri”.
Qualcuno pensa di scoprire che il consenso informato che ognuno dei vaccinati ha firmato non ha valore perché imposto. Ma il vaccino non è imposto; a) il pass, ogni pass, è un filtro che accerta e di conseguenza seleziona degli abilitati, degli idonei ad accedere a qualcosa; e b) col consenso informato il vaccinando non legittima un organo a vaccinare (quest’organo attinge ‘legittimità’ da un’autorizzazione superiore) ma dichiara che è a conoscenza delle caratteristiche di quel vaccino e dei limiti/rischi della vaccinazione.
Come un tempo, si usano dunque gli strumenti borghesi (non le Costituzioni, ma feticci costituzionali) contro lo stato ‘borghese’. Ma non è c’è un solo enunciato della produzione normativa sui diritti (Costituzioni, Carte e Dichiarazioni, o la CEDU, fino agli invocati Regolamenti UE 953/2021 e 954/2021, Considerando 36) che sia pertinente e possa essere usato contro le decretazioni dei governi. I malati da curare o i non sintomatici da proteggere (l’uno dall’altro) non sono una ‘categoria’, un gruppo sociale, una etnia, una entità con identità, di cui si possa predicare qualcosa come una discriminazione effetto di un pregiudizio. Sono aggregati variabili, assolutamente contingenti e casuali, che attraversano ogni categoria, etnia, ceto, classe d’età. Il discernimento sanitario non è discriminazione (politica), è individuazione clinica, è genuina nosologia e nessuna nevrosi foucaultiana renderà discriminato, e in arbitrario stato di detenzione, un ricoverato in TI.
Mentre, sul versante dei dati, né l’interminabile denuncia di eventi particolari (a lui, vaccinato, è successo x, all’altro y) o di incongruenze tra questo o quel protocollo, questo o quel ‘dato scientifico’, né i tanti numeri mai ponderati in termini percentuali, valgono a invalidare l’entità e la serietà dei risultati della lotta mondiale al Covid. Come non capire che l’enunciato “x y z, quasi tutti vaccinati con prima o seconda dose, sono stati colpiti dal virus” non è una informazione, e ha valore probante nullo? Quanti infetti e quanti sintomatici, quanti in TI, e di questi quanti vaccinati, quanti con la sola prima dose, di che fascia d’età, con quali quadri patologici precedenti l’infezione? Si scoprirà che quel tutti è ben poca cosa.
In realtà non vi è un rilievo dato in pasto alla discussione nel quale il dato o il fatto non sia fuori scala, maggiorato e deformato come in una nevrosi persecutoria, infine affabulato. Di tutte le difficoltà ed errori si tiene e si terrà conto per migliorare le procedure, ma perfezionare è altro dal deprecare e dall’ostacolare quanto si sta facendo, ai diversi livelli.
La vera ferita è, come mi venne da dire un anno fa, la comparsa dello Stato a limitare secondo regole alcune libertà di grandi numeri di cittadini. Al cuore della incredibile congiuntura odierna sembrano esservi fantasmi dell’anti-Potere e della resistenza al Tiranno coltivati da menti risentite; usati per un gratificante “gridare al lupo”. Ma è saggezza antica che gridare al lupo a vuoto (tanto peggio se non lo si fa per scherzo) impedirà domani a se stessi e agli altri di farvi fronte sul serio.
Trovo impressionante, e certamente degno di riflessione, il coinvolgimento delle culture ‘tradizionaliste’ cattoliche in questa irruzione di ‘violenza iconoclastica’ (antipolitica e anti-medica) in analogia col fenomeno ugonotto e con la congiuntura europea studiati da Crouzet. E potremmo usare come modello, e sempre analogicamente, la effervescenza panica che accompagnò le prime Crociate, còlta decenni fa dal Dupront. La rivolta contro il tempo e l’uscita dalla sua presa con le splendide (e pericolose) risorse della violenza simbolica e fantasmatica, incanta lo storico-antropologo. Ne riparleremo tra qualche anno. Ma abbiamo già troppi morti, reali e metaforici, per non imporci ora una saggia razionalità limitata e calcolante.