Minima Cardiniana 346/1

Domenica 3 ottobre 2021, San Gerardo

EDITORIALE
FRANCO CARDINI
GERMANIA, PROVE D’INGEGNERIA POLITICA: LA MAGGIORANZA FATTA DI FORZE DI MINORANZA
In attesa che da Berlino arrivi infine una notizia chiara, credo non inutile ribadire con pochissimi “ritocchi” quanto scrivevo pochissimi giorni fa all’indomani di una competizione elettorale di segno ambiguo.
Il risultato incerto era nell’aria, annunciato da sondaggi che si sono rivelati più esatti del solito. Le elezioni tedesche della scorsa settimana hanno regalato diverse novità. La prima: nella Germania riunificata non è mai successo che a diventare cancelliere fosse il candidato di un partito che ha raccolto meno del 30% dei voti, ed anzi, per la prima volta dopo l’ultimo dopoguerra nessun partito raggiunge quella soglia. Segno di incertezza, certamente; anche un segno che il ritiro dalla politica di Angela Merkel ha lasciato il segno.
E ciò nonostante il naturale endorsement per il suo successore nella CDU, Armin Laschet, almeno intimamente l’ex cancelliera può dirsi soddisfatta perché la sua assenza ha avuto un grande peso ed ha mostrato, se ancora ve ne fosse stato bisogno, che la sua figura politica si staglia nell’Europa di questi anni ben al di sopra di tutte le altre: e non soltanto in Germania. Frau Angela è l’unica statista europea a poter discutere credibilmente con i due abili statisti eurasiatici coni quali l’Europa farebbe bene a fondare un rapporto più chiaro e solido. Putin ed Erdoğan.
In conseguenza di quanto si è detto, e contrariamente al passato, anche a spoglio terminato non sappiamo chi sarà il nuovo cancelliere. In molti pensano a una coalizione a tre: una prospettiva che mancava nel Paese dalla caduta del Muro a oggi.
Formare un nuovo governo non sarà facile: serviranno giorni, forse addirittura settimane o mesi, ma i leaders si sono impegnati a dare un governo al paese entro Natale. Ciò è importante per la stabilità della Germania e dell’Europa: e allo stesso tempo risponde a una chiara volontà dei cittadini tedeschi che, pur non votando compatti in una direzione o in un’altra, alcune indicazioni chiare le hanno date. Prima di tutto l’affluenza alta, ben più di quanto si registri da noi o in Francia, a dimostrazione di come i tedeschi abbiano compreso l’importanza del momento e abbiano desiderio di far valere la loro opinione. Inoltre, il voto espresso va nella direzione di una richiesta di stabilità, anche se – eterogenesi dei fini… – l’esito è l’incertezza della futura coalizione. A ben vedere, infatti, il voto non ha premiato nessuna posizione “estremistica”, il che indica una chiara volontà di “serrare al centro”.
Ora, SPD e CDU-CSU sono molto vicini: la distanza tra i due partiti è di un punto e mezzo percentuale, almeno questo contrariamente a quanto riferivano i sondaggi, che evidenziavano una distanza superiore. I socialdemocratici passano dal 20 del 2017 al 25,7%. Tocca dunque al candidato socialdemocratico Olaf Scholz tentare per primo di formare il governo. I conservatori centristi, guidati da Armin Laschet, cadono dal 33% al 24,5%. I Verdi hanno raccolto il 14,1% dei voti, rispetto al 9% delle scorse elezioni. È stata la prima volta che i Grüne hanno presentato un candidato cancelliere, Annalena Baerbock, e con questo risultato non ci saranno possibilità di escluderli dal prossimo governo. I liberali di FPD e l’ultradestra di AFD raccolgono 11,7% ciascuno. Dovrebbe entrare al Bundestag anche Die Linke, che si ferma al 5%, limite dello sbarramento. L’estrema sinistra di Die Linke e l’estrema destra di AFD escono maluccio dalle elezioni: o comunque fanno peggio che in passato. In particolare AFD, con le sue posizioni sovraniste ed euroscettiche, pur risultando ancora importante nel panorama politico, pare aver rallentato la propria corsa. È probabile che alcuni voti persi dalla destra siano transitati verso i liberal-liberisti di FDP (qualche antieuropeista potrebbe aver apprezzato le posizioni rigide del partito durante la crisi della Grecia) o verso gli stessi Verdi, che dagli esordi battaglieri degli anni Ottanta si sono ormai trasformati in un partito moderato. Ma va notato che esiste uno storico feeling, pur mantenuto implicito, tra i Verdi e quella parte dell’estrema destra che guarda con una certa serietà al passato nazionalsocialista nei suoi aspetti sociali ed ecologistici: dei Verdi molti dicono, in Germania, che sono “Verdi di fuori, Bruni di dentro”.
Ma proseguiamo. Certamente, sia i liberali sia i Grüne hanno dalla loro leaders giovani (rispettivamente Christian Lindner e Annalena Baerbock, grossomodo coetanei essendo nato il primo nel 1979, la seconda nel 1980), dotati di una buona immagine personale, e infatti verso di loro si sono diretti molti voti giovani: dunque, anche per non mettere un’ipoteca sul futuro, entrambi dovrebbero essere inclusi.
Nonostante ci siano diverse coalizioni possibili, inclusa ovviamente la Grosse Koalition generale “di salvezza nazionale”, la più probabile vede coprotagonisti SPD, Grüne e FDP. Come ha detto Olaf Scholz questi sono i tre partiti che hanno vinto, nel senso che sono risultati in crescita rispetto al passato: dunque a loro tocca governare. Una nuova versione alternativa alla cosiddetta “Jamaika-Koalition” (dall’unione dei colori dei tre partiti coinvolti, identici a quelli della bandiera giamaicana) sperimentata dai due partiti minori insieme con l’Unione Cristiano Democratica (CDU)/Unione Cristiano-Sociale in Baviera (CSU) in alcuni governi regionali, sarebbe un’unione tendenzialmente di centro-sinistra, ma con i correttivi liberali dei FDP; pare che Lindner e Baerbock si stiano già parlando per trovare un’intesa al di là del terzo partito “tradizionale” con il quale si alleeranno, e in fondo entrambi hanno alcuni punti comuni, a partire dalla richiesta di un’Europa più unita, diretta verso uno statuto federale. Una situazione da seguire, insomma, perché innegabilmente ciò che succede in Germania ha ripercussioni immense sull’Unione Europea e su tutti i paesi che ne fanno parte. Da notare che infine, sia pur timidamente, alcuni partiti politici tedeschi cominciamo a parlare di un assetto politico unitario dell’Europa, per quanto si resti sul vecchio, logoro e generico “federalismo” che ormai è poco più di una parola senza contenuto. Ma se anche in Italia, in Francia, in Spagna qualche partito cominciasse a seguire quest’esempio e a mettere sul serio sul tavolo del futuro la soluzione di un’Europa alfine politicamente unita, forse qualcosa cambierebbe.
(Pubblicato col titolo Le tre vere novità arrivate da Berlino su “il Mattino”, 28 settembre 2021)