Domenica 3 ottobre 2021, San Gerardo
MUCH ADO ABOUT NOTHING, O QUASI
Parliamoci chiaro. Le prove elettorali odierne non sarebbero di per sé troppo significative, se non avessero registrato un preoccupante livello di sintomi concomitanti che, messi insieme, danno poco a sperare sul futuro politico del paese. Sono “scoppiati” due “scandali” paralleli: uno che ha riguardato la Lega, con la questione dello spin doctor Morisi accusato di spaccio di droga e con il duello (che già da tempo molti si aspettavano) tra Salvini e Giorgetti; un altro a proposito di un “rigurgito neofascista” che avrebbe colpito le alte sfere dei Fratelli d’Italia mettendo in difficoltà Giorgia Meloni in un momento nel quale più insistenti, anche se più critiche, si facevano le voci di un suo eventuale futuro ruolo di punta nella politica italiana. A ben guardare, dal momento che in politica gli avversari effettivi più duri non sono gli avversari veri e propri, bensì gli alleati-concorrenti, nasce il sospetto – a pensar male, sentenziava il Divo Giulio Andreotti, si fa peccato ma spesso si coglie nel segno – che i due episodi rappresentino una “botta-e-risposta” (se non proprio una guerra per bande) fra leghisti e fratelliditalisti (si dice così?).
Ma in tutto questo, io – come avrebbe detto il vecchio Di Pietro – “che ci azzecco”? Forse nulla: non sono un politico e il derby all’interno della destra non m’interessa granché: mi è però capitato talora, di recente, di esprimere simpatia e stima per Giorgia Meloni. Tenerezza di un vecchio professore per una ragazza che potrebb’essere sua figlia se non addirittura sua nipote e “tiene il punto” con grinta, un po’ contro tutti? O implicita complicità tinta di nostalgia di uno studioso che non si è mai vergognato della sua adolescenza e prima giovinezza “neofasciste” e che quindi ha tutto un suo irrisolto amarcord in materia di Fiamma Tricolore?
Una cosa è certa. Io sono una persona onesta, una persona per bene; non sono un vigliacco; non ho la memoria corta. Potrei fare un lungo elenco di personaggi politici e di esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo degli ultimi sette decenni che hanno avuto un passato remoto neofascista: non l’ho fatto e non lo farò. Non ho la coda di paglia. Se qualcuno mi chiede conto del mio passato neofascista, non ho problemi a parlarne. Ci ho scritto anche sopra (rimando gli interessati ai libri L’intellettuale disorganico, Scheletri nell’armadio, Testimone a Coblenza, Ritorno a Coblenza, Il dovere della memoria: vi bastano?). Non sono palinodie, non sono “diari di un pentito”: sono testimonianze critiche. Parlo di me, senza alludere a nessun altro che abbia avuto il mio stesso iter salvo qualcuno che ha esplicitamente accettato di collegare la sua esperienza alla mia.
Due giornalisti – Antonello Caporale su “Il Fatto Quotidiano” di lunedì 27 settembre (p. 5-politica) e Concetto Vecchio su “la Repubblica” di domenica 3 ottobre (p. 7-primo piano) – mi hanno successivamente interpellato a proposito di quel che penso di Giorgia Meloni e dei Fratelli d’Italia. Si tratta di buoni professionisti, ma naturalmente lo spazio disponibile era poco e gli argomenti trattati troppi: ho parlato almeno mezz’ora con ciascuno dei due, ma è stato giocoforza riassumere e contrarre molte questioni, qualcuna ristretta in modo forse troppo drastico. Tra le due interviste si è situata la lettera inviatami dal consigliere regionale toscano FdI Francesco Torselli.
Questo ampio dossier, il titolo del quale riprende quello di una celebre commedia di William Shakespeare, è articolato in sezioni segnate da numeri romani:
I. Intervista di Antonello Caporale a Franco Cardini per “Il Fatto Quotidiano”;
II. Commento di FC a corredo del testo dell’intervista di Caporale;
III. Lettera del consigliere regionale toscano FdI Francesco Torselli a FC
IV. Risposta di FC al consigliere Torselli.
V. Intervista di Concetto Vecchio a FC per “la Repubblica”.
VI. Commento di FC a corredo del testo dell’intervista di Vecchio.
I. L’INTERVISTA DI ANTONELLO CAPORALE A FRANCO CARDINI PER “IL FATTO QUOTIDIANO”
“GIORGIA, UNA PERDENTE DI SUCCESSO, DESTINATA ALL’OPPOSIZIONE ETERNA”
“Sono un melonista convinto, la voterei”. Il voto del professor Cardini va a Giorgia Meloni.
Per simpatia, per una certa amichevole frequentazione, perché mi sembra che si applichi, abbia voglia di documentarsi, rifiuta di parlare a vanvera.
Beh, sembra già tanto.
Non so chi glielo abbia scritto o l’abbia aiutata a scrivere, ma il suo libro ha un ordine logico. È convincente.
E dunque?
Naturalmente il mio giudizio non si può disconnettere dal partito che guida. Mai voterei Fratelli d’Italia.
Ah, c’era la sorpresa?
Un crogiolo umano disperante, sociologicamente e politicamente penoso. Un ceto piccolissimo borghese che vive nella paura della retrocessione sociale. Fratelli d’Italia mi sembra un agglomerato temporaneo, è proprio invotabile. Ma Giorgia lo sa.
Giorgia vorrebbe fare la premier.
Ma cosa dice? È pazzo? A palazzo Chigi resterebbe dodici ore. No, la Meloni può legittimamente aspirare a essere la prima forza di opposizione.
Il massimo che può fare è la miglior perdente?
E le sembra poco essere una perdente di successo? Con quella carrozzeria politica che si ritrova, quel garbuglio di voti che ha messo insieme e chissà se le resteranno a lungo dove può andare?
Aveva in tasca il Campidoglio. L’ha rifiutato per puntare più in alto.
Sì, per i giornali è stata già sindaca di Roma e pure premier. Mancate del principio di realtà: il suo destino è l’opposizione, altrimenti si perde.
Tenace, conserva la memoria, non ha vergogna di essere anche un po’ fascista.
Ha nel simbolo il richiamo alla destra storica. E di questi tempi è una virtù. Può contare su un certo romanticismo filofascista, più sentimento che ragione, e su un gruppo di militanti certo non coeso ma nutrito. Naturalmente non ha classe dirigente.
Salvini invece ce l’ha?
Salvini ce l’ha. Lei no. Con quel carrozzone Giorgia non può andare da nessuna parte (e a dire il vero non credo che voglia andare da nessuna parte). Sta meravigliosamente nel luogo in cui è assisa. Muove critiche, che è pur sempre un’attività più agevole che governare.
Non sembra che voglia molto bene alla Meloni. La vota ma la sta stendendo.
È una perdente di successo. Quando imparerà a non far cagnara da bar dello sport sull’islamismo, a non utilizzare il solito trucchetto dei migranti sporchi e cattivi, a rinunciare a un filoatlantismo supino, a immaginare una proposta per l’Europa.
La lista dei compiti è lunghissima.
Per esempio, potrebbe sostenere l’idea di uno sbocco confederale dell’Unione. Confederazione, sul modello elvetico.
Forse ci sta già pensando.
Speriamo che i suoi capiscano e non facciano confusione. Leggono confederazione e immaginano federazione. Culturalmente sono davvero sprovveduti, poverina, lei fa il possibile.
Sarà una grande perdente.
Glielo auguro con tutto il cuore. Altro non può fare, lei non è ancora uscita dal lebbrosario.
Ciao ciao palazzo Chigi.
Sono le favolette che raccontate voi giornalisti. Ma pensa che lei abbia creduto, si sia suggestionata? Per come la immagino io, penso più spaventata. Spaventata a morte. Non saprebbe che fare a palazzo Chigi. E poi la prima svastica che comparisse al ghetto di Roma sarebbe l’avviso di sfratto ad horas.
Giorgia adesso è un po’ imballata nei sondaggi.
A quanto sta?
Ancora avanti di qualche decimale rispetto a Salvini, ma indietro di qualche decimale rispetto al Pd. Tra il 17 e il 20 per cento sono in quattro.
Salvini è il più inguaiato, mi sembra.
Vede la sua leadership traballare?
No. È come quei malati cronici con un sacco di acciacchi ma longevi. Gli basta un barcone, un africano che impazzisce per strada, un fatto di nera e zac, si ripiglia. Ma certo non ha la stoffa di Giorgia. Lui non studia.
Giorgia si applica.
È consapevole di non aver fatto buone scuole e gestisce con misura la propria ambizione.
È prudente.
È scappata via da Roma come una volpe. Bravissima. Avrebbe fatto solo danni. Fuggire dal governo. Insomma fuggire dalle grane, da tutte le grane. E poi si vede.
II. COMMENTO DI FC A CORREDO DELL’INTERVISTA DI ANTONELLO CAPORALE
Quanto scritto in questa sezione vale sia per l’intervista di Caporale, sia per quella di Vecchio: entrambi ottimi giornalisti e professionisti corretti. Posso testimoniarlo con certezza in quanto a mia volta non sono incompetente in cose giornalistiche: scrivo su quotidiani e settimanali dal 1955, ho collaborato con quotidiani nazionali dal 1976, sono stato elzevirista de “il Giornale” di Montanelli dal 1982 al 1994, sono iscritto regolarmente e continuativamente dal 1985 alla Federazione della Stampa, elenco Pubblicisti. Chi non ha sufficiente pratica di cose giornalistiche deve tener presente che un’intervista non è un resoconto notarile: possono esserci senza dubbio al loro interno parole o frasi letteralmente precise, ma le migliori interviste sono il frutto di una collaborazione tra intervistatore e intervistato che mira non tanto a dar puntuale conto di domande e risposte quanto a veicolare la sostanza di una problematica. Nei casi migliori – queste due interviste sono tra esse – il testo viene riletto e concordato fra intervistatore e intervistato: per questo occorre al tempo stesso un attento rispetto di quel che ci si è davvero detti e un sensibile gioco di comprensione reciproca. L’intervistatore starà attento alle esigenze di fondo dell’intervistato, questo sarà sensibile alle istanze e alle necessità di quello.
Nella pagina del “Fatto” gestita da Caporale, le virgolette – che per convinzione indicano il discorso diretto – non racchiudono solitamente in realtà (specie nei titoli e sottotitoli) parole o frasi che io abbia effettivamente detto. Non mi sono mai dichiarato “melonista convinto”, non ho insinuato che il suo libro sia stato scritto da altri (ma ho detto che è stata aiutata: tutti gli autori di libri lo sono), non la considero affatto una “perdente”, sia pure “di successo”: ma sono convinto che, intimamente e magari contro la sua stessa volontà, essa si auguri di non dover mai vedersi spinta a giocare il ruolo della leader: non solo perché a torto o a ragione ciò le sarebbe proibito, ma perché il suo vero punto di forza è la prospettiva di un ruolo di spicco nell’opposizione in Italia e di uno ancora più rilevane nelle istituzioni europee.
III. LETTERA DEL CONSIGLIERE REGIONALE TOSCANO FDI FRANCESCO TORSELLI
Questa lettera, in realtà, mi è pervenuta in modo indiretto ed obliquo. Sembra che Torselli l’abbia inviata all’amico e collega Marco Tarchi, che a sua volta l’ha diffusa tra alcuni suoi interlocutori e collaboratori; è stato uno di essi a passarmela. Non ho tuttavia dubbio che Torselli si attenda una risposta, che qui gli fornisco.
Carissimo Professor Cardini,
per chiunque abbia varcato in vita propria la soglia di una sezione di un partito erede del Movimento Sociale Italiano, Lei non può non aver rappresentato un punto di riferimento ideale, culturale e – perché no – anche politico.
Se la suddetta soglia, poi, si trova nella nostra Firenze, il legame con la Sua esperienza di militante della “Giovane Italia” diventa quasi un tatuaggio da portare a vita sulla pelle.
Ma non è questa la sede per ribadire la stima e l’ammirazione per la Sua opera e per gli incredibili risultati che ha ottenuto nel corso della carriera, “pur” provenendo da quell’esperienza. E quel “pur” che scrivo tra virgolette, sappiamo bene, noi, cosa significhi.
Leggendo l’intervista di oggi che ha rilasciato al quotidiano ormai organo semi-ufficiale del partito di Conte e Di Maio, però, non Le nascondo un certo stupore. Non per le critiche alla classe dirigente di Fratelli d’Italia – che bolla frettolosamente come impresentabile, al pari di un Gad Lerner qualunque – della quale mi onoro invece di far parte. Si figuri! Una critica da Lei, la si accetta sempre in modo costruttivo e stimolante.
Il passaggio che mi lascia basito e attonito è invece quello in cui sostiene che – tra le altre opinabili ragioni – Giorgia Meloni non potrebbe mai fare il Presidente del Consiglio poiché basterebbe che un cretino dipingesse una svastica su un muro del ghetto di Roma per far sì che la stessa fosse costretta a dimettersi nel giro di pochi minuti.
Tralasciando un particolare non proprio irrilevante – ma che in tanti ultimamente pare abbiano scordato – ossia che se Giorgia Meloni dovesse diventare premier, lo farebbe passando dal voto e quindi dalla legittimazione popolare, mi dica Professore: pensa davvero una cosa del genere? Pensa veramente che la democrazia nel nostro Paese sia caduta così in disuso da poter sfiduciare un Presidente del Consiglio semplicemente imbrattando un muro?
Se, come spero, non è questo il Suo reale pensiero, alla Sua veneranda età, con la Sua storia personale e professionale alle spalle, lasci queste miserrime valutazioni a chi non può spingersi oltre: ad un capetto di un collettivo studentesco, al primo Mattia Santori che passa o a qualche “leaderino” del centro sociale di turno.
Lei è Franco Cardini. Il Prof. Franco Cardini. Mantenga la carriera all’altezza di ciò che è stata e di ciò che ha rappresentato – e rappresenta – in Italia e nel mondo. Per riempire i giornali di interviste come questa, in Italia, abbiamo già Fedez e Chef Rubio. Credo possano bastare.
IV. RISPOSTA DI FC AL CONSIGLIERE TORSELLI
Carissimo Consigliere,
come Lei sa, non ho mai dimenticato, e tantomeno rinnegato, il ruolo che nella mia esperienza e nella mia vita è stato tenuto dalla mia precocissima – però seria e meditata – adesione alla formazione giovanile del MSI nel 1953, allorché avevo tredici anni, e il mio impegnativo, sofferto lavoro all’interno di quel partito fino al 1965, coprendo anche incarichi di una qualche importanza.
L’appartenere a un partito ostracizzato se non addirittura perseguitato, le ragioni del quale venivano sistematicamente calunniate o ignorate, ha costituito per me un’insostituibile scuola: mi ha insegnato il coraggio delle mie idee e al tempo steso l’umiltà, mi ha obbligato a lavorare costantemente sempre più di altri anche soltanto per venire riconosciuto nella sua onestà e nel suo valore intrinseci, a comprendere le ragioni degli altri proprio perché vedevo di continuo fraintese e disprezzate le mie. Se insieme con altri ne sono uscito, ciò è avvenuto non solo a causa della dinamica nazionale e internazionale delle cose, ma anche per una faticosa e dolorosa formazione. Ero entrato nella “Giovane Italia” nel 1953, l’anno di Trieste e dei primi moti operai di Berlino est; il momento decisivo della mia militanza (e dell’alba delle mie convinzioni europeistiche) fu la sollevazione ungherese del ’56; ma al tempo stesso cominciava a crescere la nostra delusione di giovanissimi nei confronti dei quadri del partito, culturalmente deboli e non sempre eticamente corretti, e di una dirigenza che a noi parlava il linguaggio rivoluzionario della socializzazione e del riscatto dei ceti più deboli in un mondo nel quale la vittoria alleata del ’45 non aveva affatto (al contrario!) migliorato lo stato delle cose del genere umano. Da qui le nostre simpatie rapidamente indirizzati verso modelli politici che ci sembravano realizzare le nostre istanze al tempo stesso sociali e nazionali, come il socialismo arabo o, soprattutto, il socialismo patriottico proposto dal castrismo. L’anticomunismo viscerale dei nostri dirigenti, accompagnato dalla loro sistematica subordinazione nei confronti dei programmi espresso dallo strumento dell’egemonia statunitense nel mondo euromediterraneo, la NATO, non poteva non tradursi in una spinta innovativa che per molti versi finì con il convergere con alcuni aspetti del complesso movimento che si è convenuti con il definire “Sessantotto”. Questo cammino ha proceduto irreversibilmente, per quanto la mia professione d’insegnante e di studioso mi abbia nel contempo indotto ad abbandonare il terreno della politica, che pure mi entusiasmava, per dedicarmi del tutto all’insegnamento e alla ricerca. Ma, come dice Lei, è possibile – e risulta anche a me – che la memoria del mio “passaggio” nel MSI e della sua successiva dinamica abbia interessato e interessi molti, soprattutto giovani, anche nelle file dei Fratelli d’Italia. Ma è proprio per questo che io – che ormai da molti anni ho abbandonato l’interesse per la sterile e sotto molti versi ingannevole dialettica “destra versus sinistra” – mi professo semplicemente cattolico, socialista ed europeista; e non posso certo prendere sul serio le istanze “sovraniste” di chi se la prende con l’euro e i migranti senza dar segno di essersi accorto come la sudditanza all’egemonia della NATO abbia fatto del nostro paese una nazione di ascari.
D’altro canto, non posso condividere le sue illusioni riguardanti la “democrazia italiana”. Il livello di corruzione morale e culturale della società consumistica ha ormai toccato nel nostro paese livelli irreversibili; per quanto ceti dirigenti di partiti che ormai sono soltanto delle amebiche strutture prive o carenti di dialettica interna in balìa di ristrette élites di gestori delle liste elettorali e del consenso mediatico stiano in un modo o nell’altro a questo gioco distruttivo. E, com’è stato di recente dimostrato anche dalla questione del Covid, la società civile italiana non è affatto migliore della sua classe politica. Lei sa benissimo, peraltro, come certi fantasmi etico-politici dominino l’inconsistente vita politica italiana: e che in caso di una Meloni al governo la mobilitazione di piazza di ANPI e centri sociali, accompagnata dalla pressione di una parte aggressiva della stampa e dei media di vario genere, porrebbe le basi per una “sacra unione antifascista” rispetto alla quale la nuova leader, pur elettoralmente vittoriosa, non potrebbe né vorrebbe resistere anche perché la lascerebbero isolata.
Quanto al Suo partito, del quale conosco molti esponenti e militanti, mi colpiscono la scarsità e la superficialità delle idee, l’incapacità di costruzione di un serio discorso culturale, l’assenza di consistenti infrastrutture mediatiche: al confronto, il vecchio MSI era una macchina intellettuale imponente. Non Le dirò che le mie posizioni sono lontanissime da quelle del Suo partito per quanto concerne il mondo europeo, il rapporto fra Occidente ed Oriente, l’Islam, i migranti e così via: e non vedo proprio come Lei possa pensare che le interviste di Fedez o di Chef Rubio abbiano al riguardo una qualche lontanissima attinenza con le mie.
Ho finora lasciato da parte, forse con Sua sorpresa, il tema della qualità non solo intellettuale, ma anche e soprattutto propriamente morale di molti del Suo partito. Non dico queste cose volentieri: e non citerò casi come l’affaire Fidanza, ch’è bastato da solo a rinverdire una serie di “reazioni antifasciste mediatiche di massa” che ci ha fatto capire che cosa succederebbe nel caso di una Meloni a Palazzo Chigi. La Sua lettera è stata scritta proprio pochi giorni prima dello scoppio dei quell’affaire: avrei potuto molto semplicemente risponderLe che i fatti mi stavano dando ragione. La considerazione che Le debbo mi ha indotto a preferire un’articolata risposta a una replica sprezzante, che pur sarebbe sembrata inoppugnabile.
Lasci comunque che, a proposito del livello etico all’interno del Suo partito, Le ricordi alcune cose molto note.
Negli ultimi due anni Fratelli d’Italia ha raggiunto il record negativo di arrestati per ’ndrangheta. I rapporti con la criminalità organizzata non riguardano però solo i “nuovi arrivati”.
L’ex tesoriere di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati Pasquale Maietta è accusato da vari pentiti di essere in rapporti stretti con i Di Silvio, il clan di origine sinti imparentata con i Casamonica. Il tribunale di Latina lo ha rinviato a giudizio con l’accusa di aver creato un sistema di evasione e di riciclaggio da 240 milioni di euro. La trasmissione “Report” ha scoperto che alcune delle società citate nelle carte dell’inchiesta per riciclaggio di Maietta risultano legate alla campagna elettorale di Fratelli d’Italia a Latina del 2013.
Un caso eclatante è quello di Enzo Misiano, consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Ferno (Varese) che nel luglio 2019 fu stato arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito dell’inchiesta Krimisa sulle infiltrazioni della ’ndrangheta in Lombardia. Ma Misiano non è stato certo l’unico esponente di FdI arrestato per presunti legami con la ’ndrangheta. Prima di lui c’era stato il presidente del Consiglio comunale di Piacenza Giuseppe Caruso, che secondo gli inquirenti faceva parte dell’organizzazione criminale che operava tra le province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e che aveva ai vertici soggetti considerati di primo piano come Salvatore Grande Aracri, Francesco Grande Aracri e Paolo Grande Aracri. Dopo l’arresto Caruso fu espulso dal partito senza troppi complimenti. Nell’agosto del 2019 fu il turno di Alessandro Nicolò, capogruppo di Fratelli d’Italia alla regione Calabria fortemente voluto dalla Meloni e accusato di collusione con la cosca “Libri”.
Nel 2018 Luciano Passariello – considerato il “braccio destro” della Meloni in Campania, cosa che lei smentì – fu al centro di un’inchiesta giornalistica (di “Fanpage”) sul traffico di rifiuti in Campania. FdI ne chiese l’espulsione prima ancora che iniziasse il processo.
Ci sono poi peccatucci veniali, come ad esempio la proposta di schedatura delle coppie omosessuali chiesta da Federico Soffritti, capogruppo di Fratelli d’Italia a Ferrara. Secondo Soffritti quell’interpellanza faceva parte di una strategia di Fratelli d’Italia in vista delle regionali in Emilia-Romagna (2020), regione dove la Meloni sperava di replicare il successo umbro. Ma Soffritti non è certo l’unico che combatte “la deriva omosessuale”. Il vicepresidente del consiglio comunale di Vercelli Giuseppe Cannata (eletto con FdI) è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di istigazione a delinquere dopo che su Facebook aveva pubblicato un post con scritto: “e questi schifosi continuano imperterriti. Ammazzateli tutti ste lesbiche, gay e pedofili”. A proposito di vicinanza alla gente abbiamo poi l’ex candidata alle regionali in Umbria Raffaella Pagliochini che chiedeva il voto via SMS ai malati di cancro. Oppure Francesca Lorenzi, candidata (non eletta) di Fratelli d’Italia al Comune di Firenze che qualche tempo fa si chiedeva chi pagasse per le bare dei migranti morti in mare.
Il 19 dicembre 2019 fu arrestato Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia poi passato a Fratelli d’Italia, nell’operazione Rinascita-Scott che vide nove famiglie di ’ndrangheta azzerate, intere cosche decapitate, beni per 15 milioni sequestrati. Giorgia Meloni lo aveva definito un “valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Itala”.
Un recente episodio imbarazza Fratelli d’Italia, che si presenta come la lista che, secondo sondaggi e pronostici, è candidata ad essere la più forte a Latina in termini di consensi nelle urne elettorali. E non che non sia un partito che, a Latina, abbia dovuto scontare la presenza di personaggi ingombranti sotto il profilo di indagini e inchieste: su tutti, l’ex sindaco Giovanni Di Giorgi e l’ex deputato e assessore Pasquale Maietta.
Sempre di recente, peraltro, anche la vicenda di un altro esponente di punta del partito locale di Giorgia Meloni: l’avvocato Luigi Pescuma coinvolto in episodio di un certificato medico falso a favore di un suo cliente.
Tra i candidati al prossimo Consiglio Comunale c’è anche colui che ha ricoperto e ricopre tuttora il ruolo di Capogruppo per Fratelli d’Italia a Piazza del Popolo tra i banchi dell’opposizione: Andrea Marchiella. Per il consigliere comunale di Borgo Montello, la condanna in primo grado risale al 2018, quando il Tribunale di Latina lo condannò a un anno e sei mesi per un reato di natura tributaria. Come commissario liquidatore di una società basata a Fondi, Marchiella, secondo la sentenza di condanna, ha nascosto e distrutto le scritture contabili.
Due anni dopo, a novembre 2020, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la condanna riducendola di sei mesi, ridotta dalla prescrizione: un anno. Al che Marchiella ha presentato ricorso in Cassazione i cui giudici hanno ritenuto inammissibile confermando a loro volta la condanna a un anno.
Marchiella, molto noto a Borgo Montello e impegnato nel mondo del calcio e dell’associazionismo, è ed è stato amministratore di diverse società. Considerato un fedelissimo del Senatore Nicola Calandrini, il consigliere comunale, in corsa con Fratelli d’Italia per il bis a Piazza del Popolo, con qualche velleità per la futuribile Giunta Zaccheo, ha dichiarato dalle colonne de Il Messaggero edizione Latina di aver commesso, in merito a tale condanna, “un errore di gioventù e affinché sussistano i requisiti della incandidabilità occorre una condanna di 3 anni”. Fatto sta che l’unica lista a Latina che ha inviato alla Commissione Antimafia del Parlamento i propri nominativi è quella del 5Stelle. La Commissione, in questi casi, attua uno screening sui nomi e nel caso ravvisa profili di incandidabilità.
Dal canto loro i giudici di Cassazione hanno scritto in sentenza che “la Corte di Roma (Corte d’Appello) ha evidenziato che l’occultamento e la distruzione di scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione non è condotta che si è esaurita durante la fase di ordinaria attività della compagine societaria della quale è stato commissario liquidatore, ma è proseguita anche in relazione alla fase di liquidazione, per la quale deve, evidentemente, rispondere il Marchiella data la qualifica dal medesimo rivestita”. Inoltre, la Cassazione ha negato la sospensione condizionale della pena per cui, con probabilità, il consigliere comunale dovrà scontarla ai servizi sociali.
Come vede, vi sono ragioni per chiederci a che punto si trovi la rispettabilità e la credibilità del Suo partito, nel quale so bene che militano molte persone oneste, colte e rispettabili. Le faccio comunque i miei più sinceri auguri.
V. INTERVISTA DI CONCETTO VECCHIO A FC PER “REPUBBLICA”
“GIORGIA MELONI È BRAVA MA NON SARÀ PREMIER, ATTORNO A LEI DIRIGENTI INAFFIDABILI”
Parla lo storico: “Sono stato iscritto al Msi dal 1953 fino al 1965. Me ne andai per amore di Fidel Castro. Qualche saluto romano l’ho fatto pure io e non me ne pento”
Professor Franco Cardini, lei ha molta stima di Giorgia Meloni.
Confermo.
Voterebbe per Fratelli d’Italia?
Allo stato attuale delle cose assolutamente no.
Perché?
Giorgia è bravissima, ma la sua classe dirigente e il suo staff sono, salvo eccezioni, poco affidabili. Diciamolo pure: è sprecata in quel partito!
Un leader di valore non dovrebbe scegliere gli uomini migliori?
È equilibrata, il suo linguaggio è all’altezza delle situazioni, studia i dossier, non come certi cialtroni che vanno in giro con il rosario di Lourdes. Purtroppo pesa sul suo partito un ben noto peccato originale.
Si riferisce all’eredità neofascista?
Sì, e ritengo che non sia stata né sufficientemente elaborata, né criticamente affrontata.
L’inchiesta di Milano sembra avvalorarlo.
Temo che non possa diventare premier. All’indomani della sua vittoria alle politiche comparirebbe subito una svastica sulla sinagoga di Roma, l’Anpi e i centri sociali insorgerebbero, e a quel punto sarebbe costretta a fare un passo indietro. Giorgia mi ha scritto una mail per dirmi che però sottovaluto il suo partito.
Cosa ha risposto?
Per il momento non vedo motivi che lo rendano particolarmente affidabile.
Cosa pensa di quel che sta venendo fuori dall’inchiesta di Fanpage?
Non ho visto il video, ma mi dicono che l’eurodeputato Fidanza è tutt’altro che uno sprovveduto. Il retroterra che rivela è piuttosto melmoso, del resto quel tipo di cultura è abbastanza diffusa in Fratelli d’Italia.
Non è preoccupante per un partito che vuole andare al governo esaltare il saluto romano?
Sì, ma sono episodi avvenuti in un ambiente chiuso: sono un segno di aggregazione.
Non è troppo morbido con chi ha nostalgia del Ventennio?
Non sono affatto morbido. Ma trovo quei gesti suscettibili di storicizzazione e in quel contesto rappresentano un riconoscimento di fratellanza. Vorrei capire cosa significhino criticamente.
Può un partito annoverare esponenti come Roberto Jonghi Lavarini, il Barone nero?
Penso che se davvero Fratelli d’Italia dovesse andare al potere dovrebbe operare una scelta molto rigorosa: non so in che misura le sarà possibile.
Il Barone nero è stato condannato per apologia del fascismo. Non è grave?
Temo che codesto signore non supererebbe un esame di primo corso sulla storia del fascismo.
Lei è stato missino?
Sono stato iscritto al Msi dal 1953, avevo tredici anni, fino al 1965. Me ne andai per amore di Fidel Castro. E qualche saluto romano l’ho fatto pure io e viste le circostanze non me ne pento.
Poi è cambiato?
Sono sempre stato uno sfasciacarrozze. Un reazionario rivoluzionario. Ma il Msi rispetto a Fratelli d’Italia era l’accademia.
Che destra rivela la vicenda di Milano?
Oggi i neofascisti sono netta minoranza in Fratelli d’Italia. Mi riferisco soprattutto agli elettori. I più sono ceto medio, operai e sottoproletari, gente che chiede a Meloni protezione: dall’invadenza della Ue, dalle tasse del governo e dalla globalizzazione.
Perché allora Fratelli d’Italia fatica a dirsi antifascista?
Sul fascismo storico i pareri in Italia sono molto vari. Resta il fatto che è un problema politico: i problemi politici non si affrontano mai con un giudizio assoluto, negativo o positivo che sia. Servono memoria, informazione, senso critico.
VI. COMMENTO DI FC A CORREDO DEL TESTO DELL’INTERVISTA DI VECCHIO
Mi limito ad alcune osservazioni telegrafiche, ricollegandomi a quanto già detto a proposito di Caporale e rinnovando la mia gratitudine nei confronti di entrambi. È ovvio che farmi dire che nel 1965 “dal MSI me ne andai per amore di Fidel Castro” sia molto riduttivo: con Vecchio abbiamo fatto una lunga conversazione al riguardo. D’altronde ho scritto – ed è stato scritto – molto su ciò, come sul “castrismo di destra” e sul “guevarismo di destra”. Così, la definizione di “reazionario rivoluzionario” andrebbe accuratamente spiegata (è centrale in essa il tema della critica alla Modernità e alla cultura del danaro e del profitto). Infine, a proposito del saluto romano, del quale confermo che se ne ho fatti qualcuno non ho alcuna ragione di pentirmi, intendo dire che la tensione anti-sistema che nei giovani degli Anni Cinquanta-Sessanta si manifestava contro il malcostume e l’immoralità del partitismo del tempo, con le varie forme di lottizzazione ecc., giustificava una condanna che giungeva a rivalutare il regime passato. Ovviamente, che dietro tali atteggiamenti vi fossero ingenuità, semplicismo, disinformazione (adolescenziali, appunto) va da sé: ma il gesto esprimeva un’indignazione morale e una sincerità di fondo che mantengono il diritto di essere oggetto di considerazione. È la consapevolezza di ciò che m’induce, ancora oggi, a rispettare le ragioni intime di quel gesto controcorrente che non merita di essere rinnegato a posteriori. Se poi confronto la tensione politica e morale delle scelte dei ragazzi di sei decenni or sono, disposti a rischiare di persona l’inimicizia di potenti cosche politiche e magari la galera, con il vuoto riempito di consumismo e magari di droga di troppi giovani d’oggi, mi trovo ancor più radicato nelle mie convinzioni.