Minima Cardiniana 347/1

Domenica 10 ottobre 2021, San Daniele

EDITORIALE
FRANCO CARDINI
NEOFASCISMO, NEOANTIFASCISMO. IDIOZIE, CONTRADDIZIONI, SPECULAZIONI, INTIMIDAZIONI. E SE PROVASSIMO A FAR QUALCHE DISCORSO SERIO?
Ebbene, sì: perdonatemi, ma non ne posso più. Ne ho le tasche piene. E proprio non posso tollerare oltre che si continui a offendere l’intelligenza e l’onestà dei cittadini (intendo dire dei non so quanti cittadini che sono ancora intelligenti e onesti) con questa ignobile demagogica kermesse del fascismo-antifascismo. I recentissimi fatti, inoltre – prima gli “scandali” emersi all’interno della Lega e a ruota le “performances neofasciste” di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, quindi la giornata romana di sabato 9 ottobre, che è sembrata riportarci addietro di un secolo, al tempo degli attacchi squadristici ai giornali socialisti e alle cooperative operaie –, si sono portati dietro una scia graveolente: sarà davvero tutto occasionale o spontaneo? Quelli di “Forza Nuova”, ad esempio, a me più che le squadre fasciste di cent’anni fa hanno ricordato i misteriosi violenti provocatori nerovestiti della Genova del G8, apparsi dal nulla e quindi misteriosamente nel nulla volatilizzati e sui quali mai è stata fatta chiarezza. Diciamo la verità: qui siamo ben oltre rispetto a qualche ripercussione isterica delle recenti elezioni (quelle che, con quasi la metà di astenuti dagli aventi diritto al voto, hanno segnato il per ora definitivo né sappiamo quanto reversibile divorzio tra classe politica e media ad essa collegati da una parte, società civile italiana o quel che ne rimane dall’altra). Ora, aspettiamo con impazienza che il Messia sceso fra noi per grazia suprema del Cielo dove siedono maestosi il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea c’illumini con la Sua parola, non necessariamente pronunziata nel Suo quasi impeccabile inglese.
In attesa che tutto ciò avvenga, fingiamo pure che ANPI e CGIL abbiano ragione e che l’Italia sia esposta al grave pericolo costituito dal neofascismo. E parliamone.
In un libro uscito nel 2002, poi più volte ristampato, Emilio Gentile – che, dopo la scomparsa di Renzo De Felice, è direi il più autorevole storico del fascismo in Italia e uno dei più stimati studiosi al mondo di quel fenomeno –, diceva testualmente: “Dopo quasi novanta anni dalla sua comparsa nella storia e dopo oltre mezzo secolo dalla sua scomparsa come protagonista dell’attualità politica, il fascismo sembra essere ancora un oggetto alquanto misterioso, che sfugge alla cattura di una chiara e razionale definizione storica, nonostante le decine di migliaia di libri e di articoli e di dibattiti, che sono stati, e tuttora continuano a essere dedicati a questo movimento politico del XX secolo”…
Non sembra che, vent’anni dopo, le cose siano mutate. Ma non ne siete convinti? Allora ecco qua: “Alla fine del XX secolo – scriveva nel 1995 Stanley G. Payne, uno dei maggiori studiosi del fenomeno fascista – fascismo rimane probabilmente il più vago tra i termini politici più importanti” (cito per mia comodità dall’ed. 2018 di E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Roma-Bari, Laterza, p. V). Si è fatta chiarezza, da allora?
Le cose, da quando Gentile scriveva queste righe, non sono in effetti granché cambiate: anzi, semmai si sono ulteriormente complicate sia sotto il profilo degli studi, in quanto la problematica relativa al “fascismo” e/o ai “fascismi” è andata facendosi ancor più intricata, sia sotto quello dei malintesi, delle strumentalizzazioni e delle speculazioni che politici, opinion makers e chiacchieroni di vario genere hanno messo in campo per inquinare ancor più il dibattito e confondere ancor più le idee.
Ebbene: con tali premesse, che sono o che dovrebbero essere di pubblico dominio, ritengo inaccettabile e intollerabile che esistano gruppi “di estrema destra” – e anche sulla natura e il significato di questa espressione molto vi sarebbe da dire – i quali, con un’operazione di caricaturale riduttivismo, riassumono il loro implicito o esplicito “neofascismo” (tale per propria o altrui certificazione) in una xenofobia degna di un Ku-Klux-Klan di borgata. Il fascismo può anche essere stato razzista – in tutto, o in parte, o a partire da un certo momento –, ma era comunque ben altra cosa: del tutto irriducibile a certe indecorose piazzate. Mi rifiuto altresì di prendere sul serio come in qualche modo collegabili al fascismo, che nella sua sostanza vista ex parte subiecti era, o pretendeva, o voleva mostrarsi, una sintesi di nazionalismo e di socialità – comunque si voglia giudicare quell’esperimento –, i balbettii relativi al “sovranismo” o a slogan tipo “Italians first!” (a parte l’inglese pedestre e maccheronico nel quale vengono espressi). Non voglio nemmeno perder tempo e parole per giudicare un “sovranismo” che si accanisce contro i migranti dimenticando che l’Italia è un paese privo di sovranità per l’ottima ragione che da molti decenni è occupata da decine e decine di basi militari USA e NATO, dotate di extraterritorialità, le quali l’hanno ridotta a una piattaforma coloniale mentre i suoi soldati vengono spediti per il mondo a combattere guerre altrui come ascari (nella migliore e più dignitosa ipotesi) o come contractors (vale a dire come assassini mercenari).
Allo stesso modo, non ho tempo da perdere con l’“antifascismo” dei ragazzini che s’iscrivono all’ANPI o all’ANPPIA – ma esistono ancora molti “perseguitati politici antifascisti” in Italia, visto che dovrebbero essere almeno novantenni? – e con la gente – politici inclusi – che manifesta pro o contro qualcosa alla vigilia delle elezioni con chiaro intento provocatorio e strumentale.
Quanto poi alla qualità dell’antifascismo che vediamo nelle nostre strade e nelle nostre piazze, considerando che in tanti ripetono il mantra che “il fascismo è tutto violenza e niente idee” vien voglia di ricordare il vecchio Ennio Flaiano: “Esistono due tipi di fascismo: il fascismo e l’antifascismo”.
Vero è d’altronde che si è anche provato a porre sul serio di nuovo il problema critico del fascismo-antifascismo. Ma anche qui, mi duole dirlo, con risultati deludenti. A livello storico-semantico, ad esempio, sappiamo bene come la parola “antifascismo” sia stata intesa e utilizzata in area strettamente gramsciano-togliattiana: ma quell’“antifascismo” tracciava confini molto ampi all’area del “fascismo” (e magari del “socialfascismo”), tali da includervi – a parte la categoria del “fascismo di stato” applicata a regimi autodichiarantisi fascisti: che oggi non esistono – anche molte forze che da parte loro si consideravano fieramente antifasciste. Di “antifascismi” ne esistono molti: e taluni fra essi, per un aspetto o per l’altro, finiscono con essere obiettivamente più prossimi al fascismo che non a una forma qualunque di antifascismo. Sotto il profilo della politica socioeconomica, ad esempio, i socialisti e i comunisti sono più vicini al fascismo storico o al liberismo? E i cattolici stimano che il liberismo sia più vicino alla dottrina sociale della Chiesa di quanto non lo fosse il fascismo? Si parla di una costituzione italiana “antifascista”: e si fa riferimento alla XII disposizione transitoria nonché alla Legge Scelba introdotta nel 1952 in attuazione di quella norma, rafforzata da quella Mancino-Modigliani del 1993. Ma quelle leggi, tentando di definire il fascismo – e si trattava non già di colpirlo in generale, ma di vietare semplicemente la ricostituzione del PNF –, ne davano poi un’immagine schematica ed estrema fino all’irrealismo, riducendolo a un partito negatore delle libertà politiche e sindacali, razzista e fautore di una politica estera di conquista. Era davvero questo, proprio questo e solo questo, il fascismo? Sono stati, e sono davvero, proprio e solo questo i movimenti politici “neofascisti” che dopo il ’45 vi si sono ispirati? E, a sua volta, la Costituzione – scritta da “Padri Costituenti” alcuni dei quali di rapporti con il fascismo storico ne avevano avuti eccome… – è davvero lontana e opposta rispetto ad alcuni aspetti del fascismo? Paragonando, ad esempio, la concezione costituzionale della “repubblica fondata sul lavoro” e la Carta del Lavoro del ’27 (altro che il renziano Jobs Act!), proprio non si direbbe. Al contrario, si potrebbe addirittura parlare di una certa continuità.
Appunto per questo mi meravigliai nel leggere su “Repubblica”, qualche anno fa, un articolo del politologo Piero Ignazi, uno studioso degno di stima, dove s’insisteva sul fatto che la “resilienza del neo-fascismo, così come tutte le pulsioni anti-sistemiche, si alimenta delle debolezze del sistema democratico”. Ignazi sembrava indignato e preoccupato per il fatto che vi fossero persone, specie giovani, che respingono i “princìpi liberali, democratici e solidali” che costituirebbero la base del vivere democratico della nostra repubblica. Ora, proprio questo è il problema. Si debbono denunziare, e magari perseguire, coloro che in tali “princìpi” mostrano di non credere: anzi, che apertamente li disprezzano? O non ci si deve purtroppo chiedere, piuttosto, come sono stati presentati e posti in pratica appunto quei “princìpi” da un’intera classe politica, da un intero ceto dirigente? Come si sono comportati i conclamati custodi di essi quando si è trattato di partecipare, che so, alla gestione dei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche o private, delle banche, delle organizzazioni della sanità, delle comunicazioni, dei lavori pubblici, della scuola? Al disagio crescente, alla carenza del lavoro, alla mancanza di risorse e di prospettive civiche e sociali da parte del “ceto politico” (a sua volta funzionale a quello dirigente, ma non appartenente ad esso in senso proprio), al disordine, all’insicurezza, molti – specie giovani – hanno dato risposte disparate: alcuni (i più forti, i più colti, i più responsabili: o, semplicemente, i più fortunati) affrontando la realtà, magari dando prova di saperla gestire; altri, forse la maggior parte, subendola senza reagire o reagendo in modo inadeguato; altri ancora dandosi alla criminalità, alla droga, a comportamenti asociali di vario tipo tra i quali possiamo includere le scelte politiche estremistiche e violente, di qualunque segno siano; tra questi ultimi, alcuni hanno creduto di vedere in quello che è loro sembrato il “fascismo” un antidoto alla destrutturazione, al degrado, alla disonestà e al disordine dei giorni nostri. Una scelta infelice e antipolitica, senza dubbio. Ma è sleale, ingeneroso, al limite idiota e delinquenziale il cercar di criminalizzare soltanto loro; l’addossare a loro soli, i “neofascisti”, il peso di colpe che gravano anzitutto e soprattutto su chi con la sua insipienza, con la sua ignoranza, con la sua disonestà, ha trascinato nel fango proprio quei “princìpi liberali, democratici e solidali” che dovrebbero, invece, rifulgere al centro della nostra società civile? Se c’è chi pensa che il fascismo fosse meglio del disordine, della corruzione e dell’infamia dalla quale oggi ci vediamo attorniati, di chi è la colpa: di chi pensa così o di chi quel disordine, quella corruzione e quell’infamia ha finora gestito, magari guadagnandoci?
Riassumiamo e concludiamo.
Primo: siamo oggi davanti alla recrudescenza di un neofascismo superficiale e incolto ma aggressivo che va collegata a un fenomeno che nei decenni di cerniera tra XX e XXI secolo – vale a dire tra prima guerra del Golfo a svolta non si sa quanto decisiva dell’affaire afghano – abbiamo visto crescere, e che è caratterizzato dall’ampliarsi e dal rafforzarsi di un generale fenomeno che ormai potremmo definire fondamentalista; ed esistono un fondamentalismo musulmano, in apparenza ben noto (per quanto quasi per nulla compreso), ma anche uno cristiano di segno cattolico (i “neotradizionalisti” e i “cristianisti”), uno di segno cristiano-evangelico, uno di segno ebraico sia in Israele sia nella diaspora, uno di segno laicista-progressista, accomunati tutti nell’indisponibilità al confronto pacato e alla discussione ragionevole. Il “neofascismo” è parte, sia pure marginale e singolarmente sprovveduta (una lunatic fringe, direbbero negli USA), di questa ondata fondamentalista e ne condivide tutti i caratteri irragionevoli e regressivi.
Secondo: dopo tre quarti di secolo di egemonia statunitense-euroccidentale sul mondo, visto com’è ridotto il pianeta, i terribili guasti sociopolitici, economici, finanziari, ambientali, religiosi, culturali ai quali abbiamo assistito non sono addebitabili al fascismo, sulle rovine del quale l’antifascismo di vario genere, o meglio gli antifascismi, hanno prosperato. È così incomprensibile dunque che esistano giovani e giovanissimi i quali, considerata la coralità con la quale un esercito d’incapaci, d’ignoranti, di disonesti, di social climbers, di nani e di ballerine esalta l’antifascismo – fornendone poi versioni magari opposte e contraddittorie – finiscono col sia pur confusamente riflettere che, se tutti costoro alimentano le loro polemiche alla luce e alla fiamma di un antifascismo tanto intransigente nelle sue pretese quanto incerto nei suoi contorni, allora ciò significa che in fondo il fascismo qualcosa di buono doveva pur averlo. Da qui una nostalgia mitico-estetica che si alimenta di simboli e di slogan dietro ai quali c’è il vuoto. A un ragazzino che esibisce il saluto fascista, invece di replicargli con insulti e minacce, provate a chiedere ch’egli esprima con un’esposizione coerente e documentata di almeno tre minuti quali concreti valori sociopolitici e/o socioculturali egli intende esprimere. Forse gli dimostrerete la sua vuotezza; o forse imparerete a comprendere e a rispettare anche le sue “idee senza parole” costringendo le prime, se e nella misura in cui ci sono, a rivestirsi delle seconde.
Scrivo tutto ciò a chiarimento ulteriore delle polemiche insorte nei giorni precedenti, delle mie interviste a “Il Fatto” e a “Repubblica”, di quanto già detto nel MC 346 e dell’infelicissima “Piazza Pulita” di TV 7 andata in onda in prima serata il 7 ottobre scorso.