Minima Cardiniana 351/2

Domenica 7 novembre 2021, San Vincenzo Grossi

ANNIVERSARI EPOCALI
1521-2021. A MEZZO MILLENNIO DALL’AVVIO DELLA GLOBALIZZAZIONE
Cinquecento anni or sono. Nell’agosto del 1521 Hernan Cortès, nel nome del re di Spagna Carlo I ch’era anche Carlo V sacro romano imperatore, conquistava ed occupava Tenochtitlán capitale dell’impero azteco. Era la conclusione della prima grande impresa di un’Europa cristiana che si accingeva a sottomettere tutte le potenze della terra. Era anche il presupposto alla colossale invasione di metalli pregiati, oro e argento, nel nostro continente, che avrebbe provocato ben presto una colossale inflazione, la “rivoluzione dei prezzi” e la prima crisi internazionale della Modernità.
Nasceva così, mentre si stava consumando lo scisma all’interno della Chiesa cattolica, l’Europa moderna. Un’Europa ancora cristiana, che non coincideva tuttavia più con la pars Occidentis, l’area liturgicamente e culturalmente parlando latina della Cristianità dominata dal dialogo – talora brutale – tra vescovo di Roma e sovrano romanogermanico, ma che si attestava sulla tuitio identitaria contro un pericolo vissuto o creduto o presentato come religioso, l’Islam, bensì in realtà geopolitico, l’Islam sunnita degli ottomani. Ed ecco i quattro pilastri evenemenziali di quell’Europa cristiana che si precisava attraverso gli eventi ossidionali di Costantinopoli (1453), di Malta (1563), di Vienna (1683), di Corfù (1716): di quell’Europa che a torto o a ragione si sentiva accerchiata ma che aveva frattanto elaborato le basi per un giro di boa che le avrebbe consentito ben presto di conseguire il primato all’interno di un sistema mondiale in cui le paratìe delle “culture a compartimenti stagni” erano cadute e ci si stava avviando verso un’economia-mondo, vale a dire verso quella che sarebbe stata la globalizzazione. Il mito di fondazione della nuova età consisteva nell’ “esportazione” della cultura greco-romana antica rinnovata dall’umanesimo e della fede nel Cristo; gli strumenti della “scoperta-conquista”, provocata magari o quantomeno accelerata dal dilagare dell’impero ottomano nel mondo asiafromediterraneo fino ai Balcani, erano le vele e i cannoni evocati dal saggio epocale di Carlo Maria Cipolla.
Nei tempi nostri, questa parabola sembra conclusa e preludere a un tempo nuovo: decadenza e caduta dell’Occidente, o sua morte e resurrezione, o passaggio del testimone in un mondo divenuto multilaterale che possa preludere a nuove sintesi culturali? Il prossimo futuro ce lo dirà. È comunque certo inquietante, tanto per restare in tema, che l’età nuova si annunzi con nuove forme di assedio. Un ventennio fa, l’attacco all’Occidente – o quanto meno alla sua egemonia socioeconomica e socioculturale – simboleggiato dalla distruzione delle newyorkesi Twin Towers del World Trade Center; oggi l’avvìo della Cop 26 che, sotto la forma (o l’alibi?) della lotta contro l’innalzamento del clima e l’inquinamento del mondo, sembra risolversi in un assedio etico-mediatico-economico dei paesi che ancora non dispongono di alternative all’uso del carbone quale fonte di risorsa energetica primaria. Assedio anzitutto alla Cina, quindi. Per ora, a quel che pare, solo etico-mediatico-economico. Se non evolverà verso altre forme ossidionali, in un mondo che ha praticamente abbandonato la sponda del disarmo nucleare (che sarebbe stato, di per sé, un decisivo strumento nella lotta al riscaldamento e all’inquinamento globali) e che si presenta irto di basi che ospitano ordigni di morte. Anche in Italia, secondo accordi “democratici” internazionali che sotto gli occhi di tutti calpestano la nostra Costituzione.

1921-2021. A UN SECOLO DALLA FONDAZIONE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA
Senza voler sminuire in nulla i meriti di altri valenti studiosi, sentiamo tutti – per quanto non tutti vogliano ammetterlo – che Emilio Gentile è oggi lo storico più autorevole del fascismo italiano e uno degli interpreti più attenti del fenomeno fascista in generale. Per quanto riguarda chi, come me, non sia per nulla uno specialista in materia ma abbia seguito comunque a lungo e con interesse questo tema, il mio avviso è che Emilio Gentile si situi insieme con George Mosse e Zeev Sternhell tra i maggiori e migliori studiosi del fascismo come fenomeno internazionale attraverso molteplici variabili; e che, all’interno di questo quadro generale, abbia lucidamente seguito la lezione di Renzo De Felice a proposito della dicotomia tra “fascismo-movimento” e “fascismo-regime”, approfondendo con speciale attenzione il tema del fascismo come “religione laica”, con tutte le sue talora contradittorie conseguenze per quel che concerne la convivenza e al contrapposizione con le religioni vere e proprie, in particolar modo quella cristiana (e, al suo interno, la confessione cattolica).
Dopo averci fornito al riguardo di solide chiavi di lettura, come col suo magistrale Il culto del littorio, Gentile torna oggi a proporci un’opera di vasta sintesi organica per più versi, se non in tutto esauriente (può mai un libro solo esser tale?), quanto meno fondamentale, inaggirabile e destinato a durare a lungo. Si tratta del suo Storia del Partito Fascista. Movimento e milizia. 1919-1922 (Roma-Bari, Laterza, 2021, pp. 728).
È vero che, a meglio comprendere la parabola del fascismo, il rapporto fra movimento e regime è fondamentale: e all’interno della dialettica stabilita fra questi due poli, non sempre concordi (anzi: fu di solito), importante è precisare il tertium: la “milizia”, non tanto come esercizio pratico del partecipare attivamente, quindi del “militare” in quanto atteggiamento e attività di tipo gerarchico-soldatesco, quanto come vero e proprio corpo paramilitare e militarizzato, la MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) che, creata fino dal 1923 per disciplinare le squadre d’azione e sottoporle a un’attività in qualche modo uniforme, venne inglobata nelle forze armate del regno l’anno successivo e finì col costituire, a partire dall’anno successivo, una delle componenti fondamentali di quello che, tra 1925 e 1928, sarebbe divenuto sul serio e propriamente un “regime”. I pilastri di esso possono essere formalmente considerati la legge del 24 dicembre 1925, secondo la quale il capo del governo non era più responsabile di fronte al parlamento ma solo di fronte al sovrano, e la legge elettorale del 1928 con la quale, in vista delle nuove elezioni, i sindacati e le altre organizzazioni partitiche ricevettero mandato di costituzione di una lista unica sulla quale l’elettorato era chiamato a pronunziarsi.
Con il riassetto di questo triennio giunse a compimento la “rivoluzione fascista” la quale, se non “rivoluzione sociale” (il regime non scalfì de facto, se non superficialmente ed episodicamente, la struttura socioeconomica del paese), costituì senza dubbio una “rivoluzione istituzionale” la quale avviò una vita civile e sociale di tipo nuovo, del quale il Partito costituì, nel suo sistema gerarchico rigorosamente controllato dall’alto, la struttura portante: senza peraltro che, nello “stato-partito” che ne scaturì – e che sarebbe stato per molti versi modello per nuovi regimi, soprattutto la Germania dal ’33 e la Spagna dal ’39 – si risolvesse la dicotomia tra la corona e l’organizzazione politica: il che avrebbe impedito a quel sistema, pur autopresentato come “totalitario”, di esser tale davvero e sino in fondo (anche perché all’effettivo funzionamento di tale “macchina imperfetta” ostò fino dal principio al presenza nel paese del centro del cattolicesimo).
Di questa intensa, drammatica e alla fine tragica dinamica Gentile scrive con estrema acribia analitica la preistoria analizzando istituzioni, struttura, eventi e contraddizioni di un movimento, quello dei “Fasci di Combattimento” fondati nel marzo del ’19 con un programma paralibertario, socialisteggiante e repubblicano ed evolutosi poi rapidamente, spinto dall’onda del “biennio rosso”, in organizzazione squadristica volta alla difesa attiva dell’ordine costituito per approdare – a quel punto fatalmente – alla fusione con i nazionalisti di Corradini e di Federzoni nel segno di un conservatorismo peraltro non liberale dalla quale nacque appunto (con una formula ch’era un compromesso) il PNF, partito “nazionale” e “fascista”: aggettivi che, uniti, attribuivano abbastanza frettolosamente ai Fasci di Combattimento un’intima sostanza politico-ideologica ch’essi non possedevano. Il 9 novembre 1921 nacque, com’è stato notato, una sorta di “ircocervo” al tempo stesso caoticamente libertario e paradossalmente gerarchico, metapartito e antipartito al tempo stesso.
Un militante antifascista studioso del fascismo, il “trotzkista” Angelo Tasca, ha scritto che il modo migliore per definire il fascismo è scriverne la storia. È verissimo. Ed eccellente quindi la scelta di Emilio Gentile che, con attenzione e passione tutte defeliciane, ricostruisce con puntuale e analitico uso delle fonti anche inedite la paradossale storia d’una ciurmaglia di avventurieri, di utopisti, di scriteriati di varia origine (socialista e repubblicana i più, dannunziana e sindacalista-rivoluzionaria spesso, massonica in qualche caso, raramente cattolica) emersa disorientata dalle trincee, restia a vestire di nuovo l’abito civile – molti di loro difatti restarono per l’intera vita in uniforme – e guidata da un capo certo energico e sotto molti aspetti geniale, che pure dovette affrontare molte vicissitudini e superare molte crisi prima di arrivare a Roma con la sua “Marcia” (alla quale personalmente non prese parte). Affascinanti, in questo vasto e dottissimo affresco, i profili di alcuni capi locali, i ras, tra i quali alcuni personaggi sul serio notevoli come “Michelino” Bianchi, il primo grande segretario storico del Partito.
Nacque così un ircocervo politico caoticamente libertario e paradossalmente gerarchico, metapartito e antipartito al tempo stesso. “Ordine di combattenti e di credenti”, come lo avrebbe definito il Duce. Una contraddizione istituzionalizzata e un’istituzione contraddittoria che, ventun anni dopo la sua fondazione, si sarebbe rivelata un gigante dai piedi – anzi, dagli stivali – d’argilla.