Domenica 21 novembre 2021, Cristo Re
IL RITORNO DI YANEZ DE GOMERA
LUIGI G. DE ANNA
IL NOBILE PORTOGHESE DI NUOVO TRA NOI
Un amico, lettore dei Minima, mi chiede che cosa sia uno jatagan, da me citato nei Minima del 14 novembre. Un altro conviene sulla grandezza di Sandokan e di Yanez, i due eroi del ciclo della Malesia. Mi permetto quindi di tornare sul tema Salgari, riproponendo un mio scritto di un paio di anni fa.
Li vediamo tutti I giorni: gruppi di ragazzi che se ne stanno allo stesso tavolo in pizzeria aspettando quanto hanno ordinato. Il volto sorridente, oppure corrucciato, sono l’immagine della comunicazione. Ma ahimè di quella di oggi, che passa attraverso il telefono cellulare. Digitano, non parlano tra loro ma con un qualche coetaneo che pure digita chissà dove. Probabilmente non hanno mai letto un libro, anche a scuola oramai usano il tablet.
Penso: ma “noi” come passavamo il tempo? Eh, “noi” leggevamo. Leggevamo molto, albi dell’Intrepido o di Tex Willer, ma soprattutto leggevamo “lui”, Emilio Salgari. Anzi, non lo leggevamo, lo divoravamo. In casa mia, sullo scaffale nello studio di mio padre, avevamo tutte le edizioni Viglongo. Poi, col passare degli anni e i vari traslochi, andarono a finire in cantina. E, una mattina del novembre 1966, l’Arno se li portò via. In qualche modo, allora, sentii che la mia giovinezza era finita, diventavo adulto, le Tigri, i Pirati, i Cacciatori di pellicce non erano più lì, a portata di mano. Ma erano comunque ancora con me, ovunque fossi andato.
Scrivo queste righe a Chiang rai, il capoluogo del Triangolo d’oro, dove Thailandia, Myanmar e Laos si congiungono. Dalla finestra della mia stanza vedo le verdi colline che racchiudono la piana di Chiang rai, coperte di foreste. L’altro giorno Tong, il mio amico thai che mi porta in giro con la sua jeep, stava per investire un elefante che se ne andava maestosamente tranquillo contromano. Sulle colline vivono i Kharen, gli Akha, gli Hmong, le “Hill tribes” dai costumi ancora ancestrali.
Quando vengo qui porto sempre con me una buona scorta di libri. Il primo che ho aperto è di Felice Pozzo, Tra Sandokan e Salgari, una “biografia” di Yanez de Gomera, il “fratellino” di Sandokan[1]. È un gioco di rimandi. Salgari, scrive Pozzo, si identificava con Yanez, il portoghese vestito perennemente di un abito di flanella bianca, ed io, che indosso rigorosamente il mio abito di lino bianco in spregio ai turisti in shorts e canotta, mi identifico con ambedue. Là dove non posso arrivare con i miei piedi, ci arrivo con la fantasia. Come faceva Salgari, che a me piace pronunciare e scrivere senza la à della seconda sillaba.
Il libro me lo ha mandato lo stesso Felice Pozzo. Non ci siamo mai incontrati di persona, ma da tantissimi anni ci scriviamo. Lui, a mio giudizio il maggiore studioso salgariano di oggi, ed io, modesto saggista ai margini di alcuni temi linguistici trattati da Salgari[2].
Il libro di Pozzo si legge, è quasi banale dirlo, tutto d’un fiato come fosse un capitolo del ciclo della Malesia. Racconta di Yanez che, essendo appunto l’alter ego di Emilio, a sua volta racconta della vita del grande scrittore veronese. Pozzo non solo porta alla luce i dettagli di questa doppia biografia, ma rivaluta il ruolo del portoghese, evidenziando come in molti dei romanzi del ciclo malese sia in realtà proprio lui il protagonista. Mentre Sandokan ci appare a volte un po’ sopra le righe, pronto a cacciarsi in ogni folle avventura, dalla quale, a volte a stento, lo stesso Yanez lo salva, il portoghese è flemmatico calcolatore. Una specie di Odisseo del mar delle Molucche.
Yanez de Gomera è un nobile portoghese, “Yanez de Gomera era un nobile portoghese delle Celebes, uno di quegli uomini che emigrando avevano centuplicato il patrimonio e con che, divoratolo in pazzie e ridotto sul lastrico, aveva avuto il coraggio di farsi marinaio, trafficando con un piccolo prahos di poco valore fra le isole della Malesia”. Questa è la prima apparizione del Nostro in un romanzo di Salgari (1883-1884).
Nobile non titolato Yanez, ma principe del Borneo è Sandokan, tanto per ristabilire le gerarchie. L’altro eroe eponimo creato da Salgari è il Corsaro nero, altro nobiluomo mandato a navigare dai casi della vita in mari lontani e perigliosi. Salgari era invece un piccolo borghese, provò a darsi il titolo di Capitano di mare, ma il tentativo fu smontato e gli costò addirittura un duello. Non so quale arma abbia scelto, ma visto che di sangue ne scorse pochissimo doveva essere un kriss o uno jatagan, con cui non doveva avere grande dimestichezza. Ma i nobili che compaiono nei romanzi di Salgari sono piuttosto di nuova nomina, rajah Bianchi arrivati al potere con l’inganno, usurpatori di troni assamitici, lords di dubbia ascendenza da parte di madre. Ma la vera nobiltà di cui parla lo scrittore è quella dell’animo, creata dal confronto tra la vita e il sogno. “La vita è sogno”, aveva scritto Calderòn de la Barca, ma è dalle Os lusíadas di Luís Vaz de Camões che Yanez è culturalmente uscito. Quel Camões che aveva raggiunto Macao, combattuto al largo della costa del Malabar e, di ritorno da Goa, era affondato con la sua nave alla foce del Mekong. Dovette scegliere chi salvare, se Dinamene, l’amante cinese, o il manoscritto del suo poema. Scelse quest’ultimo e nuotando con una sola mano, mentre con l’altra reggeva il prezioso scritto raggiunse la riva.
Del nobile portoghese, questa categoria tutta sua che distingue la calma, quasi algida aristocrazia lusitana da quella ribollente degli hidalgos di Spagna, Yanez ha tutte le caratteristiche. Nobiltà nata sul mare, dal mare e per il mare, come appunto quella esaltata da Camões. Generoso, ma non troppo con i nemici vinti, astuto propagatore del potere di Mompracem nei territori del Sud-est asiatico. Dai nervi d’acciao, fuma l’ennesima sigaretta non per nervosismo, ma per gustarne l’aroma. Tabagista voluto da un Salgari che di sigarette ne fumava cento al giorno, e, mi confessò in una sua lettera di tanti anni fa, tabagista anche Felice Pozzo (ma spero che abbia smesso). L’unico cattivo insegnamento dato dal Veronese alle giovani generazioni.
Questo lavoro si basa su un impianto di ricerca accademica, esamina la critica salgariana di oggi e di ieri, e porta alla luce gli aspetti più reconditi del personaggio Yanez che nel nostro immaginario resta legato all’attore Philippe Leroy, il quale lo interpretò nella celeberrima serie televisiva. Tra tutti gli Yanez dello schermo, grande e piccolo, questo fu il più felice, non sole per la calibrate recitazione, ma perché Leroy aveva combattuto in Indocina nei ranghi della Legione straniera ed era poi stato ufficiale paracadutista in Algeria; di guerre quindi se ne intendeva.
Pozzo esamina, forse con eccessiva indulgenza, il problema delle “invenzioni” biografiche di Salgari. Smentisce le apocrife Memorie del 1928 e di conseguenza la leggenda, alimentata da chi voleva vendere ancora più copie dei romanzi, che Salgari avesse vissuto in Malesia. Lo raccontava però lui stesso ai nipotini veneziani, ma lo faceva con onestà. Perché onestamente si può credere alle proprie bugie. Del problema della bugia autobiografica me ne occupai anni fa a proposito di Cristoforo Colombo, che aveva asserito di aver visitato l’Islanda, dove non aveva mai messo piede[3]. Ma “avrebbe potuto” farlo, e questo rende la sua divagazione fantastica credibile e giustificabile. Così Salgari avrebbe potuto vivere in Malesia, avrebbe potuto risalire il Gange, avrebbe potuto incontrare Kipling a Mandalay, o avrebbe potuto commerciare col suo praho nel mar della Sonda. Ma i casi della vita lo legarono come uno schiavo non al remo ma ad una scrivania e lì doveva, per mantenere la famiglia e per soddisfare avidi editori, scrivere sudatissime carte a un ritmo vertiginoso. D’altra parte, se in quei mari ci era addirittura andato a finire Nino Bixio[4], non ci sarebbe potuto finire anche lui?
Pozzo ha in altri suoi saggi dimostrato l’accuratissima preparazione di Salgari, che si documentava su quanto andava scrivendo passando ore e ore in biblioteca a sfogliare le riviste di viaggi ed esplorazioni. E così, termini come praho, Thugs, kriss diventarono familiari a noi che leggevamo quei romanzi, e quelle terre e quei mari imparammo a conoscerli come fossero le periferie delle nostre città.
Yanez ama l’avventura, ne fa uno stile di vita, e di essa sono parte integrante le donne. Salgari, fedelissimo alla povera moglie Ida, malata di mente che finirà in un manicomio causando indirettamente il suicidio dello scrittore, caduto in una irrecuperabile depressione, attribuisce come amante al nobile portoghese una leggiadra fanciulla che lo attende a Mompracem, Ladgia, una splendida dayaca “dal portamento ardito, dal volto leggiadro, con occhi che brillavano d’un fuoco selvaggio”. Yanez più tardi si innamorerà di Surama, una bajadera indiana, che però si rivela essere l’erede presunta al trono dell’Assam, che il portoghese, sempre con l’aiuto di Tigrotti e Tremal-Naik, le riconquisterà, ma del quale non tarderà ad annoiarsi. Non si annoierà invece di Surama, “una bellissima giovane, dalla pelle leggermente abbronzata, i lineamenti dolci e fini, cogli occhi nerissimi ed i capelli lunghi, intrecciati con fiori di mussenda e nastrini di seta azzurra”.
Non so dove Salgari avesse visto una asiatica con quete fattezze, ma io, in Thailandia e in Laos le ho viste, anche se, a causa della dieta oramai a base di hamburger e patatine, non sono più “sottili come un giunco” come sono immancabilmente le bellezze citate da Salgari, ma il fascino di quegli occhi nerissimi è difficile da dimenticare.
Ma ora le vedo, anche qui a Chiang rai, sedute sulla lunga panca del talaad, il mercato, tutte insieme, ed anche loro digitano, digitano. Chi mai più al mondo leggerà le avventure del nobile de Gomera? Se tornasse tra noi brandirebbe un pesantissimo parang ilang e farebbe a pezzi quegli strumenti di infernale ignoranza. E, soddisfatto, si accenderebbe l’ennesima sigaretta. Questa, gliela concediamo volentieri.
[1] Felice Pozzo, Tra Sandokan e Salgari. Yanez de Gomera il bohémien dei mari malesi, Bibliografia e Informazione, Pontedera 2016, pp. 157.
[2] Gli articismi nelle opere di ambiente polare scritte da Emilio Salgari, Studi di lessicografia italiana, Accademia della Crusca, vol. XII, Firenze 1994, pp. 217-272.
[3] Le isole perdute e le isole ritrovate. Cristoforo Colombo, Tile e Frislanda. Un problema nella storia dell’esplorazione nord-atlantica, Turku 1993.
[4] Nino Bixio passò alcuni anni nel Sud-est asiatico, vedi di Pietro Del Vecchio, Nino Bixio e l’Indocina del 1911. Per questo motivo il genovese Bixio fu considerato essere figura ispiratrice di Yanez. Morì nel 1873 di colera a Sumatra.