Minima Cardiniana 358/3

Domenica 26 dicembre 2021
Celebrazione della Sacra Famiglia, Santo Stefano Protomartire

UN ANNO DIFFICILE. LE TESTIMONIANZE DI PAPA FRANCESCO, DI PUTIN, DI STOLTENBERG
A conclusione di un anno difficile: la paterna e magistrale parola del Papa, l’equilibrata e concreta conferenza di Vladimir Putin, le repliche irresponsabili dell’Unione europea e della NATO.
È stato un anno difficile: l’ombra del Terribile Bisestile 2020 sembra non essersi affatto ancor dileguata, anzi per certi versi sembra proprio che le tenebre si addensino e s’infittiscano. La spirale delle varianti e delle ondate del virus epidemico è in fase crescente, riscaldamento e inquinamento planetari restano altissimi, la curva demografica della natalità in Europa e soprattutto in Italia mostra un inquietante trend in termini di decremento, sul mondo e soprattutto sul “Mediterraneo allargato” (che si estende ormai per convenzione fino a tutto il “Grande Medioriente” e alla nuova area critica indocinese) soffiano violenti venti di guerra.
Tale quadro è stato, tra il 23 dicembre e oggi 26, puntualmente e drammaticamente rilevato da due davvero paterni e magistrali messaggi pontifici: quello natalizio e quello dell’Angelus domenicale di oggi.
Il primo messaggio ha assunto il carattere di alta denunzia: etica e sociale incentrandosi sull’abbondanza e sulla gravità degli incidenti sul lavoro, accompagnati da una serie impressionante di licenziamenti e di sospensioni dei diritti degli operai e da un intensificarsi del generale processo di assottigliamento del ceto medio e d’impoverimento di quelli subalterni (negli USA 46 milioni di poveri, vale a dire un settimo della popolazione del paese, consuma i pasti utilizzando i “buoni” governativi; la stragrande maggioranza dell’ex-ceto medio sopravvive accettando lavori a part-time oppure occasionali e non ha mezzi per consentirsi né la copertura assicurativa per le malattie né la scelta di scuole e di università decenti per i propri figli).
Il secondo, un Angelus di austera e straziante bellezza, ha insistito inesorabile sulla caduta a picco dei dati demografici. Il decremento della popolazione è iniziato una quarantina di anni fa, ma ormai siamo alla caduta verticale. In Toscana, una delle regioni meno interessate dalla crisi, le morti sono state nell’anno che si chiude oltre il doppio delle nascite. La disaffezione etica per i valori familiari e la somma delle preoccupazioni economiche (la paura di rinunziare a un livello economico confortevole a causa delle spese di mantenimento dei figli) a sua volta aggravate dalla preoccupazione edonistica di perdita di libertà e di mezzi economici a causa di eventuale prole) sono alla base di questo tragico fenomeno. In conseguenza di esso, se il trend non viene sollecitamente corretto, i 59 milioni di cittadini italiani di fine 2021 si contrarranno sino ai circa 47-48 milioni del 2070, con una caduta di oltre il 20%. Da calcolare altresì che tra meno di mezzo secolo la crisi delle nascite sarà resa ancor più drammatica dal ridursi del numero delle donne tra i 15 e i 50 anni, vale a dire di quelle che rappresentano il motore delle nascite. L’attuale “inverno demografico” rende già insufficiente sul piano produttivo l’apporto dei migranti extraeuropei, non in grado di sostituire numericamente, ai posti di lavoro, i giovani mancanti. Ed è allucinante che, in questa situazione, si abbia l’impudicizia di continuar a consentire ai confini dell’Europa siano ammassate madri con i loro bambini esposte al freddo, alla fame e al contagio epidemico. Basterebbe una minima parte del danaro che noi sperperiamo soltanto per acquistar cibo che poi viene gettato (quella degli sprechi alimentari un’altra piaga economica e morale dell’Europa) e le vite di tanti madri e di tanti bambini sarebbero salve. Che vergogna!
Ma la gravità del male supera i suoi segni disonorevoli. Se le culle vuote divengono un fatto di massa, il destino di un popolo è segnato: e questa dovrebb’essere la principale preoccupazione di tutti i governi europei, mentre l’auspicata mèta di un’unità politica federale o confederale sembra ancora di fatto una chimera. Nelle parole del pontefice, splendido è stato il passo nel quale egli ha trattato del lavoro come dignità e della dignità del lavoro: da decenni nella politica italiana ed europea non si toccava più con tanta commovente e consapevole efficacia un tasto del genere.
I due messaggi pontifici sono stati preceduti, giovedì 23 scorso, da un’illuminante ed equilibrata conferenza-stampa di Vladimir Putin il quale ha puntualizzato senza scendere in inutili polemiche il fatto obiettivo che la difficoltà dei rapporti attuali tra il suo paese da una parte, la Polonia e l’Ucraina dall’altra, dipende non solo dall’atteggiamento antirusso di questi due paesi ma altresì dal fatto che un’adesione ucraina al patto NATO (cioè, in pratica, un inserimento del formidabile apparato offensivo della NATO in Ucraina, in funzione antirussa) sarebbe un fatto gravissimo e per il governo di Mosca intollerabile: un vero e proprio casus belli. Negli ultimi anni, la cintura ravvicinata al confine russo di armi e di ordigni nucleari che dal Baltico alle sorgenti del Tigri e dell’Eufrate minacciano la compagine difensiva russa si è trasformata in un vero e proprio accerchiamento. Da notare che il reciproco non esiste: gli USA e l’Occidente non sono minacciate da alcuna “catena strategica” di basi ostili.
Il colmo (anzi, il “bello”) di tutto è che NATO e Unione Europea – ora che tra Macron e Draghi si sta concretizzando dopo il G-20 un’evidente unità d’intenti, fondata tra l’altro sul presupposto (confermato il 13 dicembre scorso dall’ultimo Consiglio Affari Esteri dell’anno) che le forze della NATO e quelle dell’Unione Europea dovrebbero cooperare in una prospettiva si reciproca integrazione alla politica del presidente statunitense Biden, eufemisticamente definita “multilateralista” – si dicono concordemente minacciate dagli spostamenti interni (sic!) delle forze armate russe presso il confine ucraino. In altri termini: da una parte si sta strutturando un vero e proprio fronte militare ravvicinato in funzione antirussa, dall’altra ci si scandalizza e ci si preoccupa delle manovre russe all’interno del proprio territorio. Si direbbe, parafrasando una celebre favoletta di Fedro, che superior stabat lupus con quel che segue: per quanto, grazie a Dio, che Putin sia proprio un agnellino mica sembra granché…
In altra parte di questo numero dei nostri MC, Manlio Dinucci analizza da par suo il carattere della recente “mossa aggressiva” russa e la consegna, da parte di Mosca, di un progetto di accordo tra Mosca e Washington teso a scongiurar il pericolo che la situazione precipiti. Conditio sine qua non esplicitamente prevista da parte russa affinché l’intesa abbia luogo è che nessuna delle due parti istituisca basi militari site in altri territori per effettuare attacchi armati. Si allude evidentemente ad allargamenti del patto NATO, che Mosca considera non a torto un atto ostile nei suoi confronti. Ma ecco, in sollecita risposta a Putin, l’impagabile e ineffabile replica del segretario della NATO Stoltenberg, il quale ha ribadito il diritto di qualunque stato a divenir membro di quell’organizzazione. Perfettamente provocatorio: un caso classico di bullismo diplomatico.
Ed ecco lo scenario che a questo punto potrebbe delinearsi: Biden intende il suo “neomultilareranismo” come ridimensionamento della pressione statunitense sul fronte NATO del Mediterraneo vero e proprio, a fronte di una nuova forte presenza europea in tutto il “Mediterraneo allargato”, il che significa con un supplemento di presenza britannica (insieme con i suoi dominions Canada e Australia) e giapponese. La Francia di Macron sarebbe definitivamente a sua volta chiamata a un più deciso impegno militare europeo nella NATO; a restare al livello degli ascari sarebbero paesi come l’Italia, che resterebbero nell’alleanza non si sa bene con quale funzione (comunque ipersubordinata e a costi anche economicamente parlando altissimi). In che misura il popolo italiano è al corrente di tutto ciò e lo approva, compreso il fatto che sul nostro territorio si trovano – contro il dettato costituzionale – novanta missili nucleari? Che vantaggio ne trarrà, a fronte del rischio che per esso potrebbe comportare il trovarsi in piena area militare NATO in caso di conflitto?