Minima Cardiniana 359/5

Domenica 2 gennaio 2022, San Basilio

FINLANDIZZAZIONE: PROSEGUE LA POLEMICA
Nel numero scorso, si è parlato di finlandizzazione. Ne è nata un’altra polemica. Ecco il parere di de Anna.

A PROPOSITO DI “FINLANDIZZAZIONE”
In conseguenza della crisi ucraina, il tema dei rapporti che intercorrono tra la Finlandia e la Russia è tornato di attualità. In Finlandia da alcuni anni si tengono esercitazioni con reparti degli Stati Uniti e della NATO, che hanno come teatro il Baltico in collaborazione con la Svezia e altri Paesi membri della NATO. I rappresentanti della politica parlano apertamente dell’Alleanza Atlantica e della opportunità di entrare a farne parte. Al momento, i partiti di centro e di destra sono favorevoli e spingono in questo senso, mentre quelli di centro-sinistra e sinistra restano su una linea neutralista. Ambiguo è il ruolo dei Verdi che, come del resto in altri Paesi, a cominciare dalla Germania dove il nuovo ministro degli esteri appartiene a questo partito, hanno un deciso atteggiamento anti-russo e anti-cinese, che giustificano in nome della difesa dei “diritti umani”.
Naturalmente l’ingresso della Finlandia nella NATO provocherebbe una gravissima crisi con la Russia, che ha già avvertito gli Statti Uniti e la NATO che non possono portare i loro eserciti ai confini della Confederazione, e il confine che separa la Finlandia e la Russia è lungo più di mille chilometri.
I politici hanno notoriamente la memoria corta, e non ricordano (o non vogliono ricordare) che nel novembre del 1939 l’URSS attaccò la Finlandia che si stava allineando su posizioni filo-tedesche, il che avrebbe portato la minaccia militare a settanta chilometri da Leningrado. Stalin propose una soluzione in termini di sicurezza territoriale, i finlandesi rifiutarono e Stalin attaccò. Ugualmente l’espansione sovietica nei Paesi baltici e in Polonia era giustificata dal sospetto che la Germania avrebbe un giorno attaccato, come in effetti fece.
I politici finlandesi (ma l’opinione pubblica è in maggioranza contraria a una adesione alla NATO) ritengono che la NATO offra una garanzia di difesa nei confronti di un eventuale “attacco” della Russia, ma di questi intenti aggressivi o espansivi non c’è traccia, come non ce n’è nei confronti dei Paesi ex comunisti. L’Ucraina e la Georgia sono un caso del tutto differente, in quanto facevano parte della Russia zarista e poi dell’URSS. Nessuna minaccia o prospettiva di intervento ha mai riguardato i Paesi ex comunisti e a maggior ragione la Finlandia.
Ma quello che agisce nella strategia di isolamento della Russia non è soltanto la straordinaria influenza politica ed economica degli Stati Uniti, dominante nei Paesi dell’Europa orientale e centrale, mediata anche tramite la Germania, ma anche una eredità genetica. Nel DNA di queste popolazioni e nella memoria politica è vivissimo il ricordo della dominazione o dell’influenza della Russia zarista e soprattutto sovietica. Indubbiamente la loro politica fu a tratti oppressiva. Per quanto riguarda la Finlandia, essa, tra il 1808 e il 1917, fece parte dell’impero zarista. La storiografia nazionalista ha interpretato questo periodo come un lungo tempo di oppressione, il che non corrisponde al vero, a parte alcuni anni verso la fine del secolo XIX. Il periodo russo, come ha spiegato Matti Klinge, uno dei maggiori storici finlandesi, ebbe anche ampi risvolti positivi, nell’economia e nella cultura (chi visita oggi Helsinki nota che gli edifici di un certo valore artistico sono tutti di epoca russa). Era però necessario sviluppare il senso dell’identità nazionale, e questo passava attraverso l’anti-russismo prima e l’anti-bolscevismo poi, che si radicarono ovviamente a causa della guerra civile che portò alla proclamazione dell’indipendenza.
Dunque, la Finlandia non fu mai occupata dall’URSS tra il 1921 e il 1940. Quando la Finlandia perse la Guerra d’inverno, dovette cedere alcuni territori, principalmente per esigenza di difesa di Mosca, ma comunque non venne occupata, come non fu occupata nel 1944 quando perse la guerra di continuazione, né nel dopoguerra, quando gli altri Paesi orientali e centrali vennero comunistizzati. La Finlandia si salvò. I finlandesi spiegano questo ricordando il valore con cui si erano battuti, ma è ovvio che anche i valorosi finlandesi non sarebbero mai riusciti a fermare l’armata rossa, che era arrivata a Berlino e Vienna, quindi poteva benissimo arrivare anche a Helsinki. Ma Stalin non voleva spingersi troppo ad ovest in area baltica, perché un’assimilazione della Finlandia avrebbe voluti dire uno spostamento della Svezia verso Occidente con conseguente chiusura del Mar Baltico alla flotta sovietica.
Cosa dunque salvò la Finlandia? Fu la “finlandizzazione”. Il termine Finnlandisierung, Finlandisation, Finlandizzazione, tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta significava “far parte come la Finlandia della sfera di influenza sovietica”. Il termine nasce in Austria nel 1953, coniato dal ministro degli esteri Karl Gruber.
Ma è la Finlandizzazione una forma di controllo autoritario o una forma della politica che richiede una diplomatica acquiescenza? A mio parere fu la seconda, come messa in pratica nella cosiddetta linea Paasikivi-Kekkonen, dai nomi dei due presidenti finlandesi che guidarono la Finlandia dal dopoguerra fino alla metà degli anni Settanta.
Ho vissuto in quegli anni in Finlandia: era un Paese libero, con un sistema democratico e parlamentare; l’unico limite riguardava la politica estera. La Finlandia non poteva e non doveva entrare nella sfera di interessi anti-sovietici. E così si comportarono i vari governi. Le elezioni erano libere, ma il partito Kookomus, o partito borghese, non avrebbe potuto guidare un eventuale governo, in quanto i sovietici non si fidavano di questo partito. E questo potrebbe spiegare l’attuale ostilità della destra finlandese nei confronti di Putin, eredità del passato
Il concetto di Finlandizzazione veniva guardato con interesse perché apriva nuove prospettive nei rapporti con l’URSS, soprattutto in Germania, dove la Ostpolitik di Willy Brandt aveva iniziato il dialogo con Mosca. Il termine assunse presto una semantica negativa ad opera di Franz-Josef Strauss nella primavera del 1970 in occasione delle elezioni del nuovo Bundenstag. Secondo Strauss, la Finnlandisierung non significava soltanto una presunta politica di osservanza sovietica praticata dalla Finlandia, ma serviva ad indicare la possibilità che anche altri Paesi d’Europa si prestassero alla manovra neutralista sovietica, indebolendo di conseguenza la compattezza della NATO.
In italiano, la parola compare la prima volta in un articolo di Guido Piovene del 1973 nel senso di “sovranità limitata”; nello Zingarelli del 1983 si legge: “Finlandizzare, da Finlandia, nazione non dipendente dall’Unione Sovietica, ma sostanzialmente soggetta ad essa”. Il termine è stato impiegato anche in senso più generico, assumendo un significato metaforico per indicare l’assimilazione senza contrasti di un concorrente, culturalmente o economicamente parlando. La “finlandizzazione” è così spiegata: “Condizione di neutralità condizionata di un Paese, in cui, per motivi geo-politici, è sottintesa la possibilità di una soggezione nei confronti di una grande potenza, in particolare dell’Unione Sovietica”.
La Finlandia ha recentemente deciso di acquistare il caccia F-35 dagli Stati Uniti, anche se l’offerta della Svezia per il proprio velivolo era molto appetibile. La Finlandia ha fatto quindi un passo ulteriore verso la NATO. Oggi, primo giorno dell’anno, il presidente finlandese Sauli Niinistö del partito Kookomus, nel suo discorso di inizio dell’anno, ha ricordato che non esistono “aree di influenza” e che se la Finlandia così decide, potrà entrare a far parte della NATO.
Niinistö però dimentica quanto saggiamente disse l’allora presidente Mauno Koivisto, suo predecessore, parlando dei rapporti tra Finlandia e Unione Sovietica: “se uno si inchina da una parte, mostra il deretano all’altra”. E mostrare il deretano all’orso moscovita non è cosa saggia.
Luigi G. de Anna