Domenica 9 gennaio 2022
Battesimo del Signore, Conclusione del Tempo Natalizio
E INFINE, RINFRESCHIAMOCI LA MEMORIA CON QUALCOSA DI CUI NON SI PARLA PIÙ
Dulcis in fundo. O magari in cauda venenum, se preferite. Questa faccenda secondo la quale per decenni ci hanno fatto mangiare ogni giorno pane ed Afghanistan, quindi hanno fatto di tutto per farci credere che ormai erano arrivati i Nostri e che tutto andava ben, madama la marchesa, quindi abbiano scoperto che non andava bene affatto e allora per alcune settimane hanno fatto di tutto per commuoverci sulla sorte della povere donne afghane vittime dei talibani che oltre un ventennio fa furono i sauditi, alleati degli USA, a importare in un paese che non li aveva mai conosciuti e che stava benissimo senza di loro, e adesso pare che tutto il problema sia svanito d’incanto (e magari da domani si ricomincerà a parlarne a comando, quando e come parrà a Lorsignori) proprio non riesce ad andarmi giù. E allora, artigianalmente, provo a rinfrescarvi un po’ la memoria.
L’AFGHANISTAN, IL PAESE DEI GUERRIERI INVINCIBILI
Per chi come il mio amico De Anna l’ha visto molti anni fa, quando ancora il magic bus collegava agevolmente Istanbul a Kathmandu passando per Kabul, l’Afghanistan è – e lo rimarrà per sempre – un paese aspro e bellissimo, segnato da rossi deserti di pietra ed alte montagne, laghi di purissima acqua azzurra e, al nord, prati fioriti e verdi foreste. Un paese dalla luce abbagliante, abitato da uomini e donne bellissimi, di straordinarie fierezza e dignità, di costumi austeri ma liberi, dove l’Islam era anzitutto interiorità spirituale e ospitalità. Poco meno di seicentocinquantamila chilometri quadri distribuiti attorno a una colonna vertebrale costituita dalla catena dello Hindo Kush, saldato a nord con il Pamir e il sistema himalayano. Posto tra Asia centrale (l’Amu Darja ha segnato a lungo il confine con l’Unione Sovietica), che viene appunto sfiorata nella regione settentrionale della Bactriana, e l’India, che si raggiunge nella sua parte nordoccidentale (ora divenuta il Pakistan) attraverso il leggendario Khyber Pass, l’Afghanistan è la chiave dell’Asia: ed è qui che nell’Ottocento si è consumato l’aspro duello tra gli inglesi che risalivano da nord e i russi che scendevano dal sud: il Great Game, posta del quale era l’egemonia sul continente asiatico. Quello che oggi è ripreso in un duello feroce che vede da una parte gli Stati Uniti e le multinazionali e dall’altra la Cina, ma con una tutt’altro che trascurabile compresenza della Russia (cui sono legate ancora – nella forma della CSI, Confederazione degli Stati Indipendenti – le repubbliche turcomongole e musulmane a nord), dell’India e dell’Iran.
Le genti afghane, fin dall’antichità di stirpe iranica, hanno veduto a partire da circa il XII secolo modificata la propria struttura etnoculturale dall’apporto di numerose, successive ondate di genti turcomongole. Oggi la popolazione ha un carattere composito, nel quale prevale comunque il carattere nomadico o seminomadico (anche per gli agricoltori), e in cui una decina di milioni sono afghani e circa cinque tagiki (iranici entrambi), mentre un paio di milioni sono distinti tra uzbeki, turkmeni, hazara (uraloaltaici), e non mancano gli indoari, quali dardi e kafiri (così chiamati da una parola araba, kefir, che designa i “pagani”). La religione è quella musulmano-sunnita, tuttavia con molti influssi sciamanici che i mongoli hanno conservato. La lingua ufficiale è un idioma iraniano, il pashtum.
Le tribù afghane hanno dovuto sempre far i conti con gli imperi circostanti o con quelli lontani: ma hanno sempre saputo tener alta la bandiera della loro libertà. Nel VI secolo, l’impero romano inquadrò tutta l’area, ch’era nevralgica perché solo da lì potevano pagare le carovane tra Asia centrale e India, nelle satrapie di nord-est. Ma fra 330 e 323 l’intera regione fu conquistata e riorganizzata da Alessandro Magno, quindi entrò a far parte nell’impero indiano maurya durante il III secolo a.C, sotto il saggio, civilissimo governo di Asoka. Ma da allora, fino al VI secolo d.C., gli afghani furono prima contesi dal regno greco-indiano e buddhista di Bactriana, uno dei potentati nati da Alessandro Magno e sede dell’esperienza artistica nota come “greco-indiana”, quindi dai kushana, che da là partirono per la conquista dell’india e la diffusione del buddhismo “mahayana”: Il loro regno non fu facile, poiché la regione era contesa anche dagli unni e dalla Persia sasanide che sognava di ricostituire l’antico impero achemenide. Infine, sempre attraverso la Persia, nel corso del VII secolo prese a diffondersi l’Islam, prima accolto soprattutto dagli occidentali tagiki: ma solo nella seconda metà del X secolo, con la dinastia ghaznavide, l’islamizzazione sunnita divenne quasi completa. Verso la fine del XII secolo una dinastia afghana, i ghoridi, se ne fece centro per la conquista della stessa Delhi. Tra XVI e XVII secolo andò maturando la divisione del paese tra due zone d’influenza, l’una dominata dall’impero safawide e sciita di Persia, l’altra dal Gran Moghul d’India, sunnita.
Praticamente invitti, gli afghani restavano isolati e minacciati dalle genti circostanti. Per questo le varie tribù presero parte con entusiasmo, nel Settecento, all’esperimento politico unitario fondato da Ahmed Shah (1747-73) che dette luogo a un “grande Afghanistan” comprendente Khorassan, Kashmir, parte del Turkestan e quasi tutto il Punjab.
Ma l’impero tribale della dinastia Durrani non resse all’urto dell’impero indiano e all’erosione delle sue stesse tradizioni tribali. per gran parte dell’Ottocento,. il paese fu retto da un avventuriero abile e privo di scrupoli, Dost Mohammed., appoggiato dalla Gran Bretagna che fece un patto con lui nel 1855 e che era ormai intenzionata a controbilanciare la minaccia colonialista russa, che aveva intanto invaso il Turkestan. Tutti sappiamo del Khyber Pass, tutti abbiamo letto Kipling.
Col trattato di Gandamak del 1879, Sua Maestà Britannica estese sotto forma di protettorato il suo potere sullo stesso Afghanistan: ma la conquista era in realtà molto dubbia e insicura, finché nel 1919 l’emiro Aman Allah, con l’appoggio sovietico, non dichiarò guerra all’ Inghilterra. Autoproclamatosi re, Aman Allah cercò disperatamente di avviare nel paese una forte serie di riforme sulla base del modello turco kemalista: magari guardando un po’ troppo alla Germania hitleriana… L’influenza inglese prevalse tuttavia con il ritorno al potere della dinastia Durrani, che fu rovesciata nel 1973 da un colpo di stato repubblicano.
La vita della repubblica afghana, dal 1973 ad oggi, è stata triste e difficile. Nel 1978 il presidente Daud fu ucciso nel corso di un colpo di stato organizzato da ufficiali filosovietici, che inaugurarono un regime socialista cui tenne dietro, nel dicembre del 1979, una vera e propria occupazione militare sovietica. Seguì una lunghissima guerra civile, che vide le varie fazioni afghane alleate tutte contro il regime comunista di Nejibullah, ma avversarie tra loro. L’eroismo di questi montanari che si forgiavano da soli le armi, con i loro piccoli forni da fabbro artigianale, scosse allora l’Occidente: ma pochi compresero che gli Stati Uniti, appoggiando i patrioti, tendevano in realtà a impedire che la liberazione del paese avvenisse anche grazie al vicino Iran khomeinista, loro avversario. Fu per questo che gli americani appoggiarono l’arrivo, dall’Arabia Saudita e dallo Yemen, di guerrieri-missionari musulmani sunniti wahhabiti, molto duramente radicali, i quali modificarono profondamente la struttura religiosa del paese. Battuti i sovietici nel 1992, eliminato il regime comunista, la lotta riprese tra le fazioni complicate dalle azioni personali dei capi tribali, i “signori della guerra”. Si giunse così all’eliminazione del moderato Massud e al governo a partire dal 1995 degli “studenti islamici”, i radicali talibani, appoggiati dagli Stati Uniti. Frattanto in Turkmenistan erano stati scoperti enormi giacimenti di petrolio e di metano, e la compagnia californiana Unocal contava, con l’appoggio talibano e la mediazione saudito-yemenita, di gestire il passaggio di oleodotti e di metanodotti in territorio afghano verso l’alleato Pakistan. Ma le conseguenze della guerra del Golfo del 1991, con l’occupazione occidentale della penisola arabica, alienarono dagli statunitensi le simpatìe sia dei guerrieri-missionari wahabiti (tra cui c’era Bin Laden), sia dei talibani i quali cominciarono a pensare di rivolgersi ad altri gruppi multinazionali per la gestione delle risorse petrolifere. Le conseguenze dell’11 settembre 2001 dettero agli Stati Uniti il pretesto per intervenire in Afghanistan, mantenendo così il loro progetto di egemonizzazione e di controllo del territorio, e di stabilirvi il governo di Karzai, loro collaborazionista. La patria si serve, come diceva Mussolini, anche facendo la guardia a un bidone di benzina.
Per oltre vent’anni gli statunitensi si sono ostinati a non volersene andare dall’Afghanistan perché ciò avrebbe fatto loro perdere il controllo acquisito su un territorio nodale nella gestione delle ricchezze in petrolio e in metano dell’area. Hanno sperperato un patrimonio in spese destinate a sostenere questa follìa, a cominciare da dollari a palate per “esportare democrazia” e per convincere gli afghani della superiorità del western way of life sulle tradizioni del paese. Sarebbe bastato che avessero ad esempio seguito le indicazioni del nostro Pietro Laureano, che di condotti sotterranei per distribuire l’acqua necessaria all’agricoltura in aree desertiche se ne intende, per risolvere almeno uno die molti problemi del paese: e molti afghani collaborazionisti glielo hanno per anni ripetuto. Macché: tecnologia occidentale e modelli sociologici imposti. Il risultato è stato quello che abbiamo visto. Gli americani se ne sono andati e sono tornati i talibani.
E gli europei, fedeli esecutori del “potente alleato” americano, che a loro volta hanno prestato per tanto tempo il loro contributo civile e militare all’occupazione (nel nome della Pace, della Libertà e della Democrazia, beninteso…) facendo il gioco e l’interesse altrui anziché servire i loro rispettivi paesi? Pensiamo al nostro contingente, che ha a lungo mussolinianamente fatto la guardia a un enorme bidone di benzina e a tutto quel che c’era intorno. Contrordine, ripieghiamo le tende. In fondo, in tutti questi anni i nostri soldati si erano pur beccato ricchi compensi. Ascari di lusso. Con tutto il rispetto per gli ascari, naturalmente: quelli veri.