Minima Cardiniana 361/1

Domenica 16 gennaio 2022
Seconda Domenica del Tempo Ordinario, San Marcello

EDITORIALE
CON DOLORE, CON RABBIA, CON VERGOGNA
Ne ho tantissimi, di difetti. Uno, soprattutto. Sono un collerico. Non me ne vanto, al contrario: ma non riesco a correggermi. Il punto è che oggi il mio accesso di rabbia, che come tutti gli attacchi di quel genere dura poco, supera perfino la vergogna che sto provando. E soprattutto viene dopo il dolore.

Sì, dolore. Dolore per il mio paese, per l’Italia. Confesso (ma molti fra quelli che mi leggono mi conoscono bene, e lo sanno) di amarla molto, per la sua bellezza e il suo glorioso passato artistico e culturale. Non l’amo invece granché per quel ch’è riuscita ad essere nella sua storia unitaria, e mi spiace di non riuscire a pensare diversamente. Anzi, a dirla con chiarezza, non è la mia patria. La mia grande patria è l’Europa; la mia piccola patria intima, il mio focolare domestico, è la Toscana, e soprattutto Firenze, e soprattuttissimo il quartiere d’Oltrarno. Fra i paesi europei, se dovessi sceglierne uno la mia preferenza andrebbe alla Spagna, o all’Austria, o forse magari alla Francia (se non altro per Parigi).
A dirla più chiara: disistimo gran parte degli italiani, disprezzo quelli che sono i loro difetti storici, non mi piace affatto la loro carenza di senso civico, la loro mancanza di senso del dovere morale, il loro cinismo egoistico, il loro vergognoso individualismo, il loro conformismo condito di cinismo e di un ipercriticismo gratuito e distruttivo. Detesto questo paese di gente che non riesce a tener le strade pulite, che evade le tasse, che “ama la patria” (si fa per dire) solo allo stadio.
Queste cose mi è capitato spesso di dirle con iattanza, con superbia, con spregio, magari per far del male a qualche brava persona che mi ascoltava e che sarebbe rimasta – lo sapevo bene – umiliata e dispiaciuta da parole come quelle. Oggi mi dispiace di aver compiuto azioni del genere e ne chiedo sinceramente scusa. Perché oggi hanno sul serio fatto del male al mio paese: e non dubito che molti di quelli che l’hanno fatto siano addirittura convinti di avergli fatto il contrario.
Non mi diverto affatto a esprimere concetti e sentimenti del genere. Sono pubblico funzionario dal 1966 e ho sempre servito il mio paese con lealtà e con scrupolosità. Ma se potessi mi “dimetterei”. E se avessi qualche anno in meno chiederei asilo non tanto politico quanto morale in un altro paese.
In questi termini, non mi era mai capitato di esprimermi. Oggi debbo farlo. Perché qualcuno ha passato la misura e ciò mi vieta di tacere. Con dolore: perché tra chi ha passato la misura c’è anche qualche amico che stimo, a cui voglio bene e continuerò a volergliene.
Sed amicus Plato, magis amica Veritas.
È evidente che sotto ci sono vari giochi politici. I
leaders del centrodestra sanno altrettanto bene di chiunque altro che l’uomo già condannato in Cassazione (22 novembre 2000, 16 novembre 2001, 25 febbraio 2010, 1°agosto 2013, 10 marzo 2015, 2 luglio 2018) con sentenze alcune delle quali cadute in prescrizione potrebbe anche salire sul Colle nonostante i suoi molteplici crimini pubblicamente e ufficialmente acclarati. È un corruttore di parlamentari, di avvocati e di testimoni, un frodatore fiscale, un compratore-venditore di sanatori (il caso Sergio De Gregorio), un colluso con Cosa Nostra: e davanti a cose di questo genere diventano ridicole le sue attività prossenetiche e pornofile, i casi D’Addario (vedasi alla voce “lettone di Putin”), Olgettine o Ruby (vero è che fior di parlamentari dichiararono prontamente ed energicamente che la signorina era davvero nipote di Mubarak… chissà se la signora Presidente del Senato rammenta quell’episodio…). È vero che tanti altri furono coinvolti, da David Mills a Cesare Previti al bibliofilo Marcello Dell’Utri, ma quelli più o meno ci hanno rimesso qualcosa, a parte la faccia. Lui ci avrà rimesso magari fior di capitali: anzi, è sperabile che i bidoni di materiale escrementizio che ha rovesciato addosso a questo nostro povero paese gli siano costati a peso di platino per ogni centimetro quadrato, ma è ancora poco perché non è finito in un loculo di sei metri quadrati la chiave del quale sia stata fusa e gli sia stata fatta bere in infuso. E il male che ha fatto a tutti noi è immenso, irrimediabile, indimenticabile, imperdonabile.
Berlusconi non è soltanto un criminale, dal momento che è così che in italiano si definisce colui al quale si è formalmente contestato un crimine dopo il terzo grado di giudizio: e lo è in un paese dove si può finire in galera per una multa non pagata e dove un poveraccio condannato una volta per un furtarello rischia di non poter trovare mai uno straccio di lavoro. È uno i crimini del quale hanno sporcato tutti noi. Ricordo perfettamente – e con vergogna – come nei primi Anni Novanta io mi sia rifiutato di seguire il mio Maestro e Amico Indro Montanelli nella sua ultima avventura giornalistica, quella de “La Voce”, e sia rimasto nell’ormai berlusconiano “Il Giornale Nuovo” perché convinto non che egli non avesse delle ragioni nelle sue accuse contro il Cavaliere, ma semplicemente perché ritenevo che in fondo esagerasse. Beh, non esagerava affatto. Ricordo la vergogna con la quale qualche anno più tardi, lavorando a Parigi, inghiottivo le feroci ironie dei colleghi francesi sul presidente del Consiglio che si faceva fotografare facendo le corna con le dita della mano destra dietro la teste degli altri
leaders europei durante le fotografie ufficiali: allora ero convinto che non si potesse scendere più in basso, quanto meno come stile. Mi sbagliavo eccome. E la sua sporcizia contagiosa ci ha contagiati tutti, in un modo o nell’altro: quanti valorosi e onesti colleghi, al pari del resto di me stesso, si sono trovati nonostante la loro volontà e magari senza nemmeno accorgersene autori di libri pubblicati dalle sue case editrici. Vabbè, si dirà, vicende aziendali, avventure e imprevisti del sistema capitalistico: ma con che faccia poi ci si rifiuta magari di sedere al suo stesso tavolo e di discutere con lui e poi si accettano i diritti d’autore, sia pur legittimamente computati come da contratto, dagli uffici gestiti dai suoi dipendenti? Qual è la porzione, sia pur modesta e trascurabile, dei soldini guadagnati con la nostra complicità nella massa di capitali ch’egli ha mobilitato a suo vantaggio e a suo e nostro disonore? Come sempre accade quando un errore o un crimine coinvolge direttamente o indirettamente una società civile nel suo complesso, chi può chiamarsi fuori, chi può dirsi davvero e del tutto innocente? Io farò di tutto, per quel quasi-nulla ch’è in me, per impedirgli di divenire capo di quello stato del quale sono cittadino; se ciò accadrà, farò di tutto per cambiare stato o comunque per non avere con lui alcun contatto, di nessun tipo. Ma basterà tutto ciò ad assolvermi, a farmi dimenticare che nella prima metà degli Anni Novanta ho in qualche modo lavorato per lui e scritto sui suoi giornali e che ancora oggi ricevo i diritti d’autore – onestamente e legittimamente guadagnati, per carità… – dalle sue case editrici? Nel giorno in cui pubblicamente venisse lapidato, non me la sentirei certo di scagliargli contro non dico la prima, ma nemmeno la trentesima pietra. D’altronde, so perfettamente che un conto è la sua attività imprenditoriale, di per sé del tutto legittima finché e quando non si sia dimostrato il contrario, un conto la sua immagine di publica persona, e che i miei rapporti con alcune delle sue imprese riguardano la prima, non la seconda delle sue facies. Mi sono posto il problema, l’ho esposto tanto ai miei legali quanto al mio confessore ricevendone analoga, assolutoria risposta. Il punto è che io sono un poveraccio, ma soggetto a un “giudice interno” di asburgico rigore: che non ha formulato analoga sentenza assolutoria.
Torniamo comunque al caso generale, e alla politica. Ora, che i capi del centrodestra si siano lasciati ricattare in quanto consapevoli di essere stati in vario modo, ovviamente non sempre legale, beneficiati da chi oggi vorrebbe risiedere per ben sette anni nel Quirinale, non mi tranquillizza affatto: sapere che così è stato per una parte notevole se non addirittura maggioritaria dei rappresentanti del paese legale mi riempie di raccapriccio, né mi consola affatto la consapevolezza che il paese reale sia diverso, anche perché ho piena coscienza del fatto che non lo è abbastanza. Né mi consola che anche i rappresentanti del centrodestra siano alla canna del gas e non riescano a trovare uno straccio di candidato più credibile e dignitoso, esattamente del resto come quelli del centrosinistra che almeno temporeggiano. Tutta questa buffonata molto probabilmente finirà al primo turno d’elezione, e finirà magari nel ridicolo come sarebbe giusto finisse: ma anche se avvenisse un qualche miracolo e non si arrivasse a un voto in aula comunque disonorante, l’infamia ormai è avvenuta e non c’è nulla da fare.
D’altronde, mai dire mai. Al peggio non c’è mai fine: il Bel Paese è pieno di cialtroni, di disonesti, d’ignoranti e d’imbecilli che potrebbero anche toccare la
Pole Position una volta caduta la sciagurata e scellerata ipotesi dell’Innominabile sul Colle. Da molti punti di vista, c’è ancora roba peggiore di lui. Non posso certo dimenticare che su Putin e sulla questione russa, o a suo tempo su Gheddafi, egli ha avuto a suo tempo modo di esprimere posizioni assennate, e perciò naturalmente inascoltate: a differenza di tanti altri, di destra e di sinistra, alcuni dei quali entreranno nel giro dei candidati quando i cancelli di Arcore si saranno chiusi sullo scorno del loro proprietario, e magari uno di loro varcherà davvero il fatidico portale di quell’edificio che a lungo ha avuto l’onore di ospitare il Vicario di Pietro, prima che arrivasse l’usurpatore piemontese. Anche i Palazzi, come i libri, habent sua fata: non sempre felici.