Domenica 16 gennaio 2022
Seconda Domenica del Tempo Ordinario, San Marcello
MOLTE NUOVE SUL COVID
Con tutto questo cancan a proposito dell’epidemia, ci siamo dimenticati del resto. È peraltro la regola inflessibile della società mediatica: la “memoria eterodiretta” funziona così. Bisogna stare in campana, altrimenti ci fregano. D’altronde, covid e vaccini eccetera non ci assolvono dalla necessità di tener presente che potremmo essere a un passo da una guerra guerreggiata, non sappiamo di che estensione. Le dimensioni della realtà sono molteplici e sincroniche: non possiamo consentirci il lusso di trascurarne alcuna.
METANO ED ELETTRICITÀ VERSUS CARBONELLA E CANDELE. TORNIAMO ALLA TRADIZIONE!
Forse dovremmo prestare maggior attenzione alla qualità, alla quantità, all’intensità e all’ordine gerarchico d’importanza secondo i quali la nostra società civile riceve le notizie: e quindi a come funzionano i media, se e quando lo fanno.
È strano che una considerazione del genere possa venir formulata in una sede mediatica senza che ciò paia (e magari in effetti sia) autocritico. D’altronde, che il fumo sia nocivo è stampigliato in tutti i modi e con la massima varietà d’espressione sui pacchetti di sigarette. Se si fa parte dei media di cui il nostro paese dispone, non sarebbe giusto che proprio da lì provenisse un mònito per gli utenti, che sono magari al tempo stesso editori e autori, destinatari sì ma anche mittenti?
Si obietterà che se in quanto utenti non siamo attrezzati a utilizzare quegli stessi mezzi che per altri versi fanno parte del nostro outillage quotidiano, c’è poco da fare. In un certo senso, medice, cura te ipsum; o, se preferite ascoltare la stessa massima nel glorioso ma sovente cinico linguaggio Masaniello, di Pulicenella e di Eduardo, “Si ’o mellone è ’scito janco, e tu co’ ’cchi t’a’ vuo’ pijà?”. In genere ci si ferma qui. Ma proprio qui sta invece il centro di tutto, o meglio il punto da dove cominciano i problemi seri. Non protestiamo più perché siamo paghi di quanto ci viene detto o perché siamo mitraditizzati e papaverizzati, sedati e anestetizzati, insomma perché siamo divenuti incapaci di cogliere la realtà vera al di là degli schermi e degli schemi mediatici e preoccuparcene?
Ed ecco qua un esempio eclatante. Almeno dalla prima guerra del golfo ma forse anche da prima, dalla “rivoluzione islamica” in Iran del 1979, eravamo abituati alle notizie sul fondamentalismo islamico che occupavano gran parte dei nostri organi d’informazione; dopo l’11 settembre del 2001 tale argomento era addirittura esploso in maniera esponenziale. Un argomento così importante e pericoloso sembra essersi dissolto come neve al sole negli ultimi mesi, sostituito dalla presenza ossessiva e pervasiva dell’epidemia covid e dello scontro “vax versus no vax”. Al tempo stesso, solo adesso sembra riemergere il problema di tutte le altre malattie che ci minacciano, degli ospedali pieni e dei posti-letto mancanti, delle cure negate o insufficienti e degli ammalati gravi perché non si muore di solo covid. Non è che saremo minacciati anzitutto da un pessimo sistema di disinformazione-controinformazione al quale non sappiamo reagire in quanto proprio negli ultimi anni sono venuti meno, all’interno della nostra società, gli anticorpi morali e culturali che ci consentivano di reagire agli squilibri e di smascherare gli interessi che talora stavano dietro ad essi?
Ecco perché qualche giorno fa, 13 gennaio 2022 ci siamo tanto stupiti dinanzi alla notizia della riunione informale dei ministri dell’Unione Europea a Bruxelles per reagire alla situazione determinata dalla crisi russo-ucraino-polacco-bielorusso-euro-occidentale ch’è al tempo stesso di ridefinizione dei confini, di ridefinizione delle alleanze e di fornitura di forza energetica all’Europa attraverso i gasdotti interessati all’area. Su ciò era già fallito il precedente incontro del segretario NATO Stoltenberg con i viceministri russi agli esteri e alla difesa, mentre dai colloqui bilaterali russoamericani sullo stesso argomento l’Unione Europea era stata esclusa (il che significa che gli USA da soli si erano fatti garanti di eventuali decisioni degli alti comandi della NATO senza bisogno di consultare gli europei che di quell’alleanza fanno parte). Due gli argomenti fondamentali: la scelta del governo ucraino di aderire all’alleanza NATO che modificherebbe nella sostanza profonda l’equilibrio militare nella regione, la minaccia russa d’interpretare tale scelta come un atto di definitiva ostilità (un tempo si chiamava casus belli), la risposta delle forse NATO – quindi di USA e di paesi europei aderenti all’alleanza, e pare tutti concordi, allineati e coperti – di sanzioni alla Russia in caso di sua risposta militare e addirittura la pretesa che il presidente Putin non si permetta neppure di manovrare le sue forze in casa propria. Una pretesa francamente al limite del paradossale, alla quale con eleganza la Russia ha risposto di aver già concluso le manovre militari ch’erano oggetto della mobilitazione interna guardata con tanto sospetto.
Il tutto sembra confermare, avvalorandola, l’osservazione (una constatazione o una minaccia?) del ministro polacco agli esteri Zbigniew Rau, il quale ha pochi giorni fa dichiarato durante il suo discorso d’inaugurazione della presidenza polacca del Consiglio Permanente dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) che “sembra che il rischio di guerra nell’area Osce sia oggi maggiore che mai negli ultimi 30 anni” in quanto “da diverse settimane affrontiamo il rischio di una forte escalation nell’Europa orientale”.
Stiamo tornando alla logica della “guerra fredda” e delle “zone d’influenza”? È quanto parrebbe a sentire le dichiarazioni rese pochissimi giorni dopo alla conferenza di Brest dal capo della diplomazia dell’Unione Europea, Josep Borrell, secondo il quale “non ci saranno negoziati sull’Ucraina” (cioè sulla sua adesione alla NATO, “libera e spontanea” finché si voglia, ma che accrescerebbe in modo determinante la minaccia dei paesi occidentali sul paese di Putin) “sotto la pressione militare della Russia”. Un elegante invito affinché il Cremlino inghiotta il rospo d’un’estensione delle coperture di missili a testata nucleare anche ai paesi baltici, ex appartenenti all’URSS adesso passati all’indipendenza e, con essa, alla NATO. Un bel rospo da inghiottire, d’accordo. E poi noi mica siamo francesi: mica ci piace mangiar batraci.
La minaccia di sanzioni contro la Russia e il suo capo di stato, già formulata con chiarezza dal presidente statunitense Biden (e tali provvedimenti andrebbero ad appesantire quelle già esistenti – strano modo di cercare la distensione… –), sarebbe “una misura oltre ogni limite, paragonabile alla rottura delle relazioni”: è il minimo che avrebbe potuto replicare il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, il quale ha difatti dichiarato: “Introdurre sanzioni contro un capo di Stato e contro il leader della Russia è una misura oltre ogni limite, paragonabile alla rottura delle relazioni” (fonte: Agenzia Tass).
Per ora la reazione di Vladimir Vladimirovich è stata, come al solito, fredda e misurata. Ma egli non ha potuto tacere come il prezzo (economico) di quanto la Russia produce e mette in vendita dipenda anche dagli atteggiamenti sanzionari nei suoi confronti; e come le erogazioni di metano attraverso gli impianti gestiti dalla Gazprom, prendano la strada dell’Ucraina o della Polonia, non potranno restare indipendenti dall’andamento generale delle minacce sanzionarie. Ma è il caso di rivelarvi un segreto: lo sapevate che esistono anche le guerre economiche e finanziarie, oltre a quelle guerreggiate? Vi giunge nuova che merci e prezzi possano essere usati come arma? E, se siete nelle condizioni di scegliervi alleati e quindi avversari, è giusto che riteniate di aver contratto un patto matrimoniale tanto vantaggioso quanto indissolubile o ritenete che sarebbe piuttosto il caso, se non altro, di rivedere le condizioni contrattuali della vostra unione?
Per Fatih Birol, leader dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, la colpa dell’aumento dei prezzi è solo russa. Potrebbe inviare più gas: perché non lo fa? Resta un mistero come si possa minacciare un interlocutore di sanzioni e al tempo stesso rimproverarlo in quanto partner commerciale reticente. D’altronde, Putin ribatte che la Germania ha rivenduto il gas a Polonia e Ucraina anziché usarlo per il proprio mercato interno. Intanto, la russa Gazprom e la turca Botas fanno affari per conto loro, attraverso il Turkish Stream. Intanto, Russia e Cina stanno procedendo con il loro nuovo progettato gasdotto, il Power of Siberia – 2, che in qualche misura le metterebbe al sicuro da immediate minacce energetiche occidentali.
L’argomento è interessante, anzi affascinante, ma anche pericoloso. Non stiamo assistendo a una partita di Risiko. Che i paesi euro-orientali di fresco aderenti alla NATO non abbiano ancora metabolizzato il loro rancore antirusso e che gli USA se ne servano per le loro scelte diplomatiche e militari, non sarà cosa pulitissima però è comprensibile. Che altri paesi, anch’essi aderenti storici della NATO, abbiano interesse ad assecondare i malumori ucraini o i meteorismi polacchi che gli americani alimentano in funzione antirussa, è già meno accettabile.
Nessun partito politico dell’arco parlamentare italiano solleva mai una sia pur debole eccezione a proposito della nostra permanenza nella NATO, che pur ci costa carissima in termini di spese militari (e sì che di quei soldi ne avremmo bisogno per il covid, per la scuola, per il mercato sofferente del lavoro eccetera). La società civile è d’accordo con la classe politica su tale scelta? Possibile che nulla di tutto ciò trapeli attraverso la cortina del silenzio dei media, che dell’adesione all’alleanza e della sua opportunità non parlano mai?
Le bollette che stiamo pagando e ancor più quelle che pagheremo dipendono anche dalla crisi in corso. Siamo certi che sia bene andar avanti così? Questo silenzio assordante accompagnerà anche la prossima elezione del presidente della repubblica e la formazione del prossimo governo? Torna quasi alla mente il vecchio Nanni Moretti: “Andiamo avanti così: continuiamo a farci del male”.
Quanto a me, io notoriamente sono un fazioso e un facinoroso. Avete presente la sobria e preziosa massima conventuale “Ci è cresciuto un altro frate: brodo lungo e seguitate”? Qui si continua a fare il gioco delle tre carte: si provoca e ci si aspetta che il provocato inghiotta e taccia, oppure lo si accusa di aver reagito. È dal 2008, dalla faccenda del golpe organizzato pe staccare la Georgia dalla compagine russa, che si mette l’interlocutore davanti al fatto compiuto e poi ci si meraviglia se a lui non piace affatto la prospettiva di vedersi spianare lucenti missili nucleari sotto il naso, a poche leghe dal Cremlino. Quale mancanza di spirito, caro signor Putin! E quale carenza di tatto se ora, dinanzi alla crisi russo-ucraina o a quella bielorusso-polacca (o a quella russo-baltica che si sta profilando: e la causa è sempre quella, paesi che si distaccano dalla Russia, aderiscono alla NATO e le consentono di avanzare il suo fronte armato in direzione di Mosca), il signor Putin reagisce se non altro facendo schizzare alle stelle il prezzo del suo metano!
Bene. Ci è cresciuto un altro frate: brodo lungo e seguitate. I missili della NATO hanno provocato un aumento delle nostre bollette. Come reagire? Di rimuovere tali ordigni, non si parla nemmeno: ci mancherebbe, sono lì per difendere la pace e la democrazia. Io, la ricetta alternativa ce l’avrei: carbonella e candele. Non si faceva così, quando non c’erano né la luce elettrica né il gas?