Domenica 16 gennaio 2022
Seconda Domenica del Tempo Ordinario, San Marcello
A PROPOSITO DI EPIDEMIE: E SE MAGARI ANDAVA MEGLIO QUANDO ANDAVA PEGGIO?
Questo articolo va dedicato al giovane pubblicista di successo che ha scritto di recente un best seller destinato a sputtanare i tanti poveri ingenui che qua e là continuano a sentenziare al Bar dello Sport che tutto sommato il Duce qualcosa di buono l’ha anche fatta; e magari potrebbe servire anche a far riflettere quel bòtolo ringhioso aretino (la definizione è dantesca: Purgatorio, XIV, 46-47) del quale ora ci sfugge il nome ma che continua a imperversare nelle edicole (e perfino in qualche libreria) nonché in TV ripetendo il Leitmotiv finissimamente critico secondo il quale il fascismo – è inutile che vi affanniate a leggere De Felice, Ernst Nolte, Emilio Gentile – “era solo merda”. Ammesso che i bòtoli ringhiosi siano capaci di riflettere… (FC)
Tra le tantissime notizie che, durante la settimana scorsa, si sono occupate della pandemia da Covid-19 (pandemia non solo sanitaria, ma anche “mediatica”, politica e socio-economica), ce ne sono alcune che, più di altre, meritano una riflessione. La prima riguarda la Spagna, che si starebbe preparando a gestire il Covid come un’influenza stagionale, considerato che la variante Omicron è decisamente più contagiosa rispetto alla precedente Delta ma, per fortuna, molto meno letale. Merito, soprattutto, della protezione vaccinale, in grado di evitare l’aggravarsi delle conseguenze del virus e, dunque, un gran numero di “potenziali” decessi. D’altra parte, sempre negli stessi giorni, Anthony Fauci, l’immunologo consigliere di due presidenti statunitensi, gli ultimi, ci ha avvisati: prepariamoci, perché Omicron prima o poi contagerà tutti. “Sradicare il Covid”, queste le parole dello scienziato della Casa Bianca, “è impossibile. L’obiettivo è controllarlo a un livello in cui è così basso da essere considerato qualcosa che non sconvolge la nostra società”. Ci riusciremo grazie a un vaccino “universale”, ha concluso la sua lectio magistralis in streaming all’Università La Sapienza di Roma. Come, appunto, un’influenza.
A tal proposito, cosa ci dicono i numeri secondo un articolo pubblicato sul Quotidiano Nazionale nei giorni scorsi? Che i decessi per Covid, oggi, sono più o meno equiparabili ai decessi per influenza stagionale, nonostante i vaccini raccomandati annualmente, soprattutto per i soggetti più a rischio.
La notizia, però, che solleva molti interrogativi e dovrebbe indurre chi di competenza a una profonda analisi del “nostro” servizio sanitario nazionale è passata sulla rubrica di un tg nazionale. Poco più di un minuto, che per fortuna è stato sufficiente. Un generale medico militare, Antonio Battistini, intervistato dal conduttore, ha parlato di un libretto che ha scritto e pubblicato, 20 giorni in casa con il Coronavirus. Obiettivo del libro, secondo l’autore che il Covid lo ha avuto e lo ha curato, appunto, in casa, è quello di dimostrare che, nella maggior parte dei casi, l’ospedalizzazione dei contagiati dal virus potrebbe essere evitata. Battistini ha potuto permetterselo grazie al ricorso a una sorta di “telemedicina” che lo ha mantenuto in stretto contatto quotidiano con il suo medico di fiducia. Il medico di fiducia, appunto. Quello che una volta si chiamava “medico di famiglia”, categoria nobilissima che oggi, quasi, non esiste più. La medicina territoriale, tra i settori della sanità pubblica che più hanno risentito dei “tagli” – 37 miliardi in dieci anni grazie ai governi “tecnici” e non legittimati dalla volontà popolare –, è ormai dedicata alla prescrizione di ricette e all’intermediazione nei confronti dello “specialista”. Sappiamo bene quanto tempo può essere necessario per una risonanza magnetica, per una tac, per un esame istologico passando dai vari CUP (Centro Unico Prenotazioni) locali: anche un anno, che talvolta addirittura – soprattutto di questi tempi – può non bastare. Ovviamente, chi può permetterselo prenota l’esame (a pagamento) il giorno dopo presso un istituto o una clinica privata. Chi non può permettersi di spendere centinaia di euro, invece, attende. Con conseguenze che potrebbero rivelarsi gravissime. Si chiama così, il welfare state all’americana?
“Dovremmo ripensare la sanità a partire dalla presenza sul territorio”, ha chiosato il militare. Ovviamente, per ripartire sul territorio, bisognerebbe prima di tutto investire.
Il nostro servizio sanitario nazionale (che è stato, e forse lo è tuttora, uno dei migliori al mondo) nacque nel 1978 per iniziativa di Tina Anselmi, ministro democristiano della salute durante l’allora governo Andreotti. La figura del medico di medicina generale venne introdotta in Italia con la legge 23 dicembre 1978 n. 833 nell’ambito dell’istituzione del servizio sanitario nazionale. E prima cosa c’era? C’era il medico di base, o medico della mutua, gestito dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie (INAM), un ente pubblico al quale era affidata la gestione dell’assicurazione obbligatoria per provvedere, in caso di malattia dei lavoratori dipendenti privati e dei loro familiari, alle cure mediche e ospedaliere. Fu istituito durante il governo Mussolini con regio decreto l’11 gennaio 1943, con il nome di Ente mutualità fascista – Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori, per assumere in seguito la denominazione di Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie con il decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato del 13 maggio 1947. Dal 1978 è l’INPS che gestisce i contributi obbligatori versati dai lavoratori e dai datori di lavoro.
Sorgono, spontanee, molte domande. Si parla di medicina territoriale, ma quanti medici, quanti infermieri sono stati assunti in questi ultimi due anni, ovvero dall’inizio della pandemia? Di quante unità sono stati aumentati i posti di terapia intensiva negli ospedali per gestire l’emergenza?
Durante il fascismo, una delle malattie più letali era la tubercolosi. Il batterio killer, il mycobacterium tubercolosis, rinominato “bacillo di Koch” (dal nome di colui che lo scoprì, nel 1882), causava in Italia, all’inizio del Novecento, circa sessantamila vittime in un anno, per la maggior parte bambini. A tal proposito, cito un passaggio di un articolo di Martina Ferlisi (La tubercolosi: una lunga storia – Festivaletteratura): “Il fascismo definisce ‘la bonifica del popolo’ l’estirpazione della malattia […] Nel 1927 viene promulgata la legge per l’assicurazione obbligatoria contro la tbc e avviata un’imponente campagna di costruzioni sanatoriali. Dal 1928 al 1940 vengono costruiti 63 nuovi sanatori sparsi su tutto il territorio nazionale, tra questi anche il Villaggio Morelli di Sondalo. Costruirlo è un’opera senza precedenti. I lavori sono affidati all’impresa Daniele Castiglioni di Milano e, nel corso del 1932, arrivano a Sondalo 1.400 operai e tecnici da tutta Italia per unirsi alla manovalanza del posto. Il cantiere risulterà essere uno dei più imponenti del tempo. Bisognava ridurre la montagna a gradoni, deviare il corso di un fiume e costruire una strada che collegasse gli edifici, il tutto con i pochi macchinari a disposizione”. Altre strutture costruite durante il fascismo sono gli ospedali Spallanzani (1936) e il San Camillo-Forlanini (1929) a Roma, il Cardarelli a Napoli (1927), il Gaslini a Genova (1931). Il numero di decessi per tbc calò sensibilmente: a renderlo noto fu l’Istituto centrale statistica del Regno d’Italia (l’attuale Istat) in una relazione del 1934 relativa ai risultati della lotta, appunto, contro la tubercolosi.
Nota a margine: io, che sono nato nel 1970, non ho mai avuto un pediatra. Faceva tutto lui, Amerigo Bottai, il nostro “dottore”. Era tutto. Risolveva tutto. Aveva straordinarie doti umane e competenze d’altri tempi.
David Nieri