Minima Cardiniana 362/3

Domenica 23 gennaio 2022, Santa Emerenziana

SI VIS BELLUM, PARA PACEM
L’articolo di Manlio Dinucci sembrerebbe dimostrare alla perfezione il rovesciamento dell’antica massima latina, che molti pacifisti hanno modificato con un generoso ma purtroppo non granché realistico Si vis pacem, para pacem. In realtà tuttavia la superpotenza della quale la nostra Europa si ostina a restare vassalla non sta facendo nemmeno quello: semmai, da buona pseudopacifista, la sua tragica contromassima è il Si vis bellum, loquere de pace. Non è la prima volta, nella storia, che i peggiori bellicisti blaterano di pace. Ormai, però, il gioco dovrebb’essere chiaro. Qui non siamo per nulla davanti a lupi travestiti da agnelli. L’Europa e il Mediterraneo stanno fiorendo di fiori avvelenati: tali i missili a testata nucleare che Dinucci lucidamente indica ed enumera. Biden e la sua cricca preparano cinicamente la loro politica aggressivo-ricattatoria accusando sistematicamente i loro avversari rei soltanto di adottare misure difensive; USA e alleati-servi si muovono liberamente in tutto il mondo, ma accusano il governo russo di dislocare le sue truppe sul territorio di cui esso è sovrano. Saremmo alla comica finale, se soltanto fosse comica. Ma non lo è; e questa gente non è nemmeno degna dell’epiteto di lupo, nobilissimo animale. Siamo alla pagina delle iene travestite da agnelli. Con molte scuse alle iene, brave bestie anche loro, per il paragone aberrante.

MANLIO DINUCCI
IL PIANO USA DI UN AFGHANISTAN DENTRO L’EUROPA
Soldati in assetto di guerra e veicoli corazzati da combattimento sono stati schierati dalla Svezia su Gotland, l’isola nel Mar Baltico a 90 km dalle sue coste orientali. Il ministero della Difesa dichiara che lo ha fatto per difendere l’isola da minacciose navi da sbarco russe che incrociano nel Mar Baltico. Così anche la Svezia contribuisce, in veste di partner, alla frenetica campagna Usa-Nato che, rovesciando la realtà, presenta la Russia quale potenza aggressiva che si prepara a invadere l’Europa. A 130 km a est di Gotland, la Lettonia è in stato di allerta, insieme a Lituania ed Estonia, contro il nemico inventato che starebbe per invaderla. Quale “difesa contro la minaccia russa”, la Nato ha schierato nelle tre repubbliche baltiche e in Polonia quattro battaglioni multinazionali.
A quello in Lettonia partecipa l’Italia, con centinaia di soldati e mezzi corazzati. L’Italia è inoltre l’unico paese che ha partecipato a tutte le missioni di “polizia aerea” della Nato, da basi in Lituania ed Estonia, e il primo che ha usato caccia F-35 per intercettare aerei russi in volo nel corridoio aereo internazionale sul Baltico. Gli F-35 e altri caccia, schierati in questa regione a ridosso del territorio russo, sono aerei a duplice capacità convenzionale e nucleare. Le tre repubbliche baltiche non si sentono però abbastanza “protette dalla presenza avanzata rafforzata della Nato”.
Il ministro lettone della Difesa, Artis Pabriks, ha richiesto una presenza militare Usa permanente nel suo paese: le forze Usa – spiegano gli esperti in base a uno scenario da film hollywoodiano – non farebbero in tempo ad arrivare dalla Germania per fermare le forze corazzate russe che, dopo aver travolto le tre repubbliche baltiche, le taglierebbero fuori dall’Unione europea e dalla Nato, occupando il corridoio di Suwalki tra Polonia e Lituania. L’Ucraina, partner ma di fatto già membro della Nato, ha il ruolo di primo attore quale paese aggredito. Il governo denuncia, in base alla sua parola d’onore, di essere stato colpito da un cyberattacco, attribuito ovviamente alla Russia, e la Nato si precipita, insieme alla Ue, ad aiutare l’Ucraina a combattere la guerra cibernetica.
Washington denuncia che l’Ucraina è ormai circondata da tre lati dalle forze russe e, in previsione del blocco delle forniture di gas russo all’Europa, si prepara generosamente a sostituirle con massicce forniture di gas naturale liquefatto statunitense. L’attacco russo – informa la Casa Bianca sulla base di notizie la cui veridicità è garantita dalla Cia – sarebbe preparato da una operazione false flag: agenti russi, infiltrati in Ucraina orientale, compirebbero sanguinosi attentati contro gli abitanti russi del Donbass, attribuendone la responsabilità a Kiev quale pretesto dell’invasione. Non ricorda la Casa Bianca che in dicembre il ministro russo della Difesa, Sergei Shoigu, aveva denunciato la presenza in Ucraina orientale di mercenari Usa con armi chimiche.
Gli Stati uniti – riporta il New York Times – hanno comunicato agli Alleati che “qualsiasi rapida vittoria russa in Ucraina sarebbe seguita da una sanguinosa insurrezione simile a quella che costrinse l’Unione Sovietica a ritirarsi dall’Afghanistan” e che “la Cia (segretamente) e il Pentagono (apertamente) la sosterrebbero”. Gli Stati uniti – ricorda James Stavridis, già Comandante Supremo Alleato in Europa – sanno come farlo: alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta armarono e addestrarono i mujahidin contro le truppe sovietiche in Afghanistan, ma “il livello di sostegno militare Usa a una insurrezione ucraina farebbe apparire come un’inezia quello che demmo in Afghanistan contro l’Unione Sovietica”.
Quale sia il disegno strategico di Washington è evidente: far precipitare la crisi ucraina, volutamente provocata nel 2014, per costringere la Russia a intervenire militarmente in difesa dei russi del Donbass, finendo in una situazione analoga a quella afghana in cui si impantanò l’Urss. Un Afghanistan dentro l’Europa, che provocherebbe uno stato di crisi permanente, a tutto vantaggio degli Usa che rafforzerebbero la loro influenza e presenza nella regione.
(il manifesto, 18 gennaio 2022)

Meditate, gente, meditate. La chiusa di questo articolo è da manuale. Ma non basta ancora. Prestate orecchio a quanto ci dice uno dei più lucidi commentatori di cose orientali-occidentali di cui l’Italia disponga. Colleghi insegnanti, gli articoli di Alberto Negri andrebbero letti e commentati nelle scuole. Pensate soltanto a quello che ci ha insegnato sulla Siria e sul Vicino e Medio Oriente, specie dal 2011 a oggi.

ALBERTO NEGRI
NATO-RUSSIA, CHI ASSEDIA CHI?
Reduce insieme agli Stati uniti dal fallimento dell’Afghanistan, la Nato rischia un flop anche ai confini dell’Ucraina. A consigliare alla Nato di chiudere la porta verso Est è un articolo appena pubblicato su Foreign Affairs del professore di storia Michael Kimmage: “Non perché lo chiede Putin ma perché immergersi nel calderone nazionalistico ed etnico dell’Est Europa diventerà un problema per la stessa Alleanza Atlantica”. Un’Alleanza che – ricorda Foreign Affairs – è prima di tutto difensiva, non offensiva.
Oggi la Nato a oriente si sovrappone pericolosamente su una linea ribollente della storia europea: il nodo è dove finisce il confine occidentale della Russia e dove comincia quello orientale dell’Europa. Da qualche secolo qui si combattono l’imperialismo russo e l’espansionismo delle potenze europee con i loro alleati.
Contrariamente a quanto affermano qui sui giornali, l’Ucraina è un po’ che ci prova entrare nella Nato e ha presentato domanda per l’adesione nel 2008. I piani furono accantonati in seguito alle elezioni del 2010 in cui il presidente Viktor Janukovich preferì mantenere il paese non allineato.
Con gli oscuri disordini dell’Euromaidan, caratterizzata oltre che da un ruolo dell’estrema destra da una forte connotazione contraria sia alla popolazione russa e russofona ucraina sia anti-russa, Janukovich fuggì dall’Ucraina e il governo ad interim di Kiev inizialmente dichiarò, con riferimento allo status non allineato del paese, che non aveva intenzione di aderire alla Nato. Ma in seguito alle operazioni militari russe e all’annessione della Crimea l’adesione è tornata prioritaria.
Forse qui non si è neppure capito che l’Ucraina si considera già dentro la Nato e l’Unione. Dal 2019, con un voto del Parlamento, l’obiettivo dell’adesione all’Unione europea e alla Nato è entrato nella stessa costituzione di Kiev, in poche parole quello che poteva sembrare soprattutto un traguardo geopolitico è diventato parte della stessa ragione d’esistere della nazione ucraina. È crollata da un pezzo l’idea che nel 2014 aveva Henry Kissinger di un’Ucraina che fosse un “ponte” e “non un avamposto di una parte contro l’altra”.
Chi era cosciente della situazione era proprio la ex cancelliera Angela Merkel che infatti trattò gli accordi di Minsk dai quali è uscito evidente il consenso russo sul “non interesse e non ingerenza” nel Donbass la cui soluzione dovrebbe essere quella di una autonomia interna all’Ucraina.
Nessun leader occidentale ha parlato con Putin più di Merkel. I due non si amavano ma si capivano, ognuno parlava la lingua dell’altro, e comprendere il russo o il tedesco serve a intuire come pensa l’interlocutore. Merkel capiva perfettamente che per la Nato entrare in Ucraina significava per il suo interlocutore essere alle porte di Mosca.
In sostanza cosa chiede Mosca? Putin ha chiesto una garanzia agli Usa, ricordando la promessa di James Baker e di Bush padre fatta a Gorbaciov che accettava la riunificazione delle due Germanie in cambio del fatto che l’Alleanza Atlantica non si sarebbe allargata a Est.
Invece alla fine della guerra fredda, sotto la spinta americana e lo scioglimento dell’Urss nel dicembre 1991, l’Alleanza si è allargata a una dozzina di Paesi (prima del Patto di Varsavia) e oggi è una coalizione di 30 stati, dal Nord America all’Europa occidentale, dai Paesi baltici alla Turchia. A questo bisogna poi aggiungere un corollario non indifferente: Israele, ovvero il maggiore alleato degli Usa, che sta facendo la “sua” Nato con i Patti d’Abramo stretti con i Paesi arabi.
Ora sarebbe interessante rispondere alla domanda: chi assedia chi? Merkel queste cose agli americani le aveva fatte notare. Quando Obama, nel 2014, chiese, o volle imporre, che l’Ucraina entrasse nell’Unione europea (una alleanza militare non solo politica), Putin reagì prendendosi la Crimea, mise sotto scacco il presidente americano, e iniziò la guerra civile in Ucraina.
Obama espulse Putin dal G8, nonostante Merkel cercasse di fargli capire che per risolvere una crisi, che fosse la Siria o l’Ucraina, era necessario parlare con l’avversario. Che cosa ha fatto invece la Nato? Nel 2011 ha bombardato la Libia non tanto per salvare i ribelli di Bengasi ma per attuare un cambio di regime.
E dopo l’Iraq nel 2003 questo a Mosca appariva un po’ troppo. Così la Russia ha reagito in Crimea nel 2014 e soprattutto in Siria nel 2015, scendendo in campo a fianco del regime di Bashar Assad: era la prima volta dai tempi dell’Urss che Mosca si trasformava in un attore chiave di un conflitto non regionale o post-sovietico ma globale, al quale prendevano parte tutte le principali potenze mondiale schierate, in un modo o in un altro, contro Damasco. E chi ha vinto, almeno per ora, quella guerra? Mosca e Teheran.
Ora naturalmente della Siria non si parla più, della Libia il meno possibile, perché anche un orbo ha capito che con la presenza di truppe straniere si è avviata una spartizione di fatto in zone di influenza. Mentre l’Afghanistan è stato abbandonato al suo destino con la fuga da Kabul di agosto. Con alle spalle tutti questi “successi” l’Occidente e la Nato devono stare molto attenti.
L’Ucraina si difende meglio con la diplomazia che con le armi. Berlino per lo meno continua a crederci: a Mosca la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, incontrando Lavrov, ha detto ieri che “non c’è alternativa ai buoni rapporti tra la Russia e la Germania”, respingendo intanto la richiesta di Kiev di forniture di armi. Merkel approverebbe. E intanto arriva la notizia che le marine militari russa, cinese e iraniana terranno esercitazioni congiunte, secondo quanto ha annunciato la flotta russa del Pacifico, senza precisare le date previste.
(il manifesto, 19 gennaio 2022)