Minima Cardiniana 365/1

Domenica 13 febbraio 2013, Santa Fosca

EDITORIALE
DEUS QUOS VULT PERDERE DEMENTAT
Dopo le ultime notizie e visto l’atteggiamento dei vari capi di stato e delle varie diplomazie coinvolti, c’è solo da sospendere il giudizio e da affidarsi alla clemenza divina.
Il presidente ucraino Zelensky ha “chiuso” d’autorità le rotte aeree internazionali sul Mar Nero perché a suo non verificato ma indiscusso indiscutibile giudizio esse sarebbero messe in pericolo dalle esercitazioni dell’aeronautica russa (per contro, le esercitazioni aeronautiche della NATO sono sempre sicurissime: Cermis insegni). Noialtri occidentali abbiamo immediatamente preso per oro colato il parere dello statista di Kiev.
Né ciò è cosa nuova: da parecchie settimane USA, NATO, UE e relativi media fanno rumorosamente il coro alle scelte del governo ucraino. Il parere del popolo ucraino ci è ignoto, dal momento che l’attuale governo esce da un colpo di stato plebiscitariamente legittimato, e noi il valore dei plebisciti lo conosciamo bene… Peraltro, Mosca ha un bel ricordare che storicamente Ucraina e Bielorussia sono parti integranti sotto il profilo sociostoricoantropologico della realtà russa: quelle sue forme d’indipendenza sono state a quel che pare indiscutibilmente legittime (per contro, i russi del Donbass sono “separatisti” se non addirittura “ribelli”, esattamente come gli osseto-meridionali per i georgiani il separatismo dei quali da Mosca è stato il modello degli ucraini). Ma al gioco dei due pesi e delle due misure ci siamo abituati…
Comunque, stiamo passando di meraviglia in meraviglia. I nostri media, insinuando non sempre implicitamente che “la Russia vuole la guerra” (il che è del tutto naturale: le guerre le vogliono sempre e solo i dittatori, è noto, e Putin è un dittatore…), ci hanno anche benevolmente informati che è parere del presidente USA che l’omologo russo non abbia diritto di spostare le sue forze armate all’interno del paese ch’egli governa, e che quindi un’esercitazione militare, se la fanno i russi, è sempre e comunque una provocazione e una minaccia. Che viceversa, su territorio ucraino, si muovano tranquillamente forze statunitensi è del tutto ovvio e normale; così com’è normale che missili a testata nucleare statunitensi stazionino a Ghedi e ad Aviano e che noi dobbiamo pagare di tasca nostra gli F35 che domani, magari con nostri piloti, andranno a bombardare chi Biden comanderà sia bombardato. Dal che la domanda di geografia elementare: quale città è più lontana da Kiev, Mosca oppure Washington? Chi è che spinge più lontano le sue mire imperialistiche?
Si dice da tempo che la Russia è vittima della “psicosi da accerchiamento”. Il dirlo fa parte dei normali esercizi di russofobia quotidiana. Certo, accerchiamento grazie a Dio non c’è: le frontiere orientali e meridionali della Russia non sono dominate dalla NATO, anche se qualche provocazione in Asia centrale onestamente è in corso. È tuttavia un fatto che anche i due soli casi georgiano e ucraino parlano chiaro; per non parlare del dispositivo della NATO nello scacchiere mediterraneo sudorientale, che ha orientato (cioè puntato) da tempo i suoi ordigni nucleari verso nordest.
Gli 007 statunitensi assicurano che l’attacco russo contro l’Ucraina avrà luogo mercoledì 16 prossimo venturo e che ciò costituirà un casus belli, per quanto Biden escluda – bontà sua – che ci sarà la guerra: però ha minacciato misure durissime in termini di sanzioni, senza curarsi delle conseguenze che tutto ciò avrebbe su di noi (a partire dalle bollette di luce e gas). Intanto, come misure prebelliche, uomini e capitali americani e occidentali stanno abbandonando l’Ucraina; e intanto si parla di manovre di Putin per “destabilizzare le alleanze occidentali” senza tener conto di quelle di Biden per destabilizzare il mondo russo.
Certo, molto si muove. L’incertezza del presidente francese Macron e le esitazioni tedesche a proposito della crisi sono una spia importante: l’UE sarà tutta compatta, allineata e coperta a fianco degli USA, ma i due principali paesi europei hanno i loro dubbi. Resta certo, inossidabile, la vocazione ascara nei confronti degli USA da parte di governo, classe politica e “paese legale” italiani. Ma siamo abituati anche a questo: la “fedeltà” alla NATO da noi è un obbligo indiscusso e indiscutibile (o vi risulta che qualcuno in parlamento abbia espresso dubbi o avanzato critiche?). Evidentemente si dimentica che l’adesione a quell’alleanza è la conseguenza di un atto diplomatico, di un trattato: e i trattati sono sempre e comunque verificabili e modificabili. Siamo certi che l’alleanza alla NATO “fino alla morte” (auguriamoci che questo sia solo un modo di dire) sia una buona scelta? Economicamente, senza dubbio non lo è. Sul piano dell’indipendenza, anzi, della ristretta sovranità nazionale, men che meno.
Continuiamo pure a pagare superbollette astronomiche, se ciò fa piacere al nostro supergoverno che risiede a Washington e nelle varie sedi di alcune lobbies multinazionali. Ma almeno chiediamoci che cosa ci guadagna Biden con la sua diplomazia demenziale a far sì che, giorno dietro giorno, l’alleanza per ora solo politica ma potenzialmente anche militare tra Russia e Cina si rafforzi. La Cina è presentissima, sia nel Mediterraneo sia nel continente africano. C’è davvero bisogno di essere degli esperti in geopolitica per concluderne che il pifferaio Biden ci sta invitando allegramente a quello che potrebb’essere un Totentanz? Ha ragione Adriano Celentano: “Scusi, vuol ballare con me? – Grazie: preferisco di no”.